A visible man: il memoir di Edward Enninful, direttore di Vogue UK

È stato il primo direttore nero di Vogue UK. Colui che ha dato spazio alle persone che il fashion system aveva sempre escluso. Per genere, razza, classe, corpo… Gli “altri” li chiama nel suo memoir. «Come me»

Camminando nella più centrale via dello shopping a Milano, tra Corso Vittorio Emanuele e il Duomo, qualche giorno fa ci si imbatteva nella sua gigantografia che arrivava a sfiorare le guglie. Gli occhi chiusi, il dolcevita nero e una scritta: A visible man. Il protagonista del ritratto, scattato dal fotografo Rafael Pavarotti, è Edward Enninful, fino a ieri editor-in-chief di Vogue UK, oggi consulente globale di Vogue, anche se sul suo profilo social la cosa non è ancora ufficializzata. E quell’immagine la ritroviamo anche sulla sua autobiografia, uscita in Italia per Baldini+Castoldi e presentata durante una serata super glam alla Milanesiana, il festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi.

Edward Enninful

Chi è Edward Enninful

Ma chi è questo “uomo visibile”? Il primo direttore di colore nella storia della rivista inglese, che tra l’altro ha curato nel 2008 per Vogue Italia “The Black Issue”, numero monografico diventato cult al punto da essere ristampato più volte. Il signore distinto che nel 2016 ha ricevuto dalla principessa Anna la medaglia dell’Ordine dell’Impero Britannico per i servizi resi alla promozione della diversità nella moda e che in quella occasione, in completo di Alexander McQueen, ha rischiato di rimanere letteralmente in mutande perché, racconta, «non avevo le bretelle indispensabili sui pantaloni di alta sartoria». Al di là di questo, Enninful, che di recente abbiamo visto all’incoronazione di Carlo III al fianco di Katy Perry, è un omone alto con lo sguardo dolce che veste sempre di nero e sorride spesso, ma di un sorriso timido, riservato.

La storia della sua vita sembra una favola

Nato in Ghana nel 1972, padre militare e madre sarta, quinto di sei fratelli, emigra nel 1985 a Londra dopo il caos seguito al colpo di Stato che nel 1978 depose il presidente Acheampong. Alla madre, che in Ghana confezionava abiti per attrici e first lady, Enninful deve l’amore per la moda e quell’occhio che gli fa intuire subito se un outfit è giusto: «Basta che Rihanna o Taylor Swift cambino di un millimetro la loro espressione perché io capisca se è amore o odio». Da piccolo scappa per andare a sfogliare le riviste straniere nel salone della zia parrucchiera. Disegna abiti, ma ancora non pensa che la moda sia una possibilità di carriera.

Londra negli anni ’80

Finché non arriva in Inghilterra. Londra è l’incontro con la metropoli moderna e organizzata, è l’esplorazione di gente e cultura nuove, ma è anche fare i conti con la propria diversità – «Sono tutti bianchi» è stata la sua prima impressione, appena sbarcato in aeroporto – e affrontare la complessità di una città che negli anni ’80 è una fucina di idee e creatività. A 16 anni viene notato sulla metropolitana da «un uomo bianco dall’aspetto dimesso con la testa rasata» che gli chiede di fare il modello per un servizio di moda: è Simon Foxton, stylist della rivista cult i-D, l’uomo che gli cambia la vita.

I giornali indipendenti degli anni ’90

Negli anni ’90 i-D è un laboratorio di stili e sperimentazioni. Fare il modello è frustrante per Edward Enninful, nero e gay. Viene spesso scartato ai provini e decide quindi di passare dall’altra parte della macchina fotografica, come assistente e stylist. Impara presto e a 18 anni diventa fashion director. Sono gli anni in cui vengono scoperte e celebrate Naomi Campbell e Kate Moss, sue care amiche, in cui sul magazine nasce un’idea di moda nuova, più vicina alla realtà. «Inorridivo davanti all’immaginario commerciale della moda degli anni ’80, al suo trucco kitsch e marcato e alle signore saltellanti dai sorrisi di plastica» scrive. «Un trionfo di falsità quando ciò che agognavo era la verità. Nel nostro sudicio angolo di Londra eravamo rimasti alla ricerca dell’autenticità. La nostra generazione bramava un cambiamento radicale, e io glielo avrei dato».

Sono gli anni del grunge, il movimento post-punk che nella musica americana trova il massimo esponente in Kurt Cobain e i suoi Nirvana, «ma aveva un’etica parallela nella moda e sembrava che il punto di partenza del movimento fosse ammassato attorno alla mia scrivania. L’estetica si ispirava al punk, ma con una malinconia introspettiva e una vulnerabilità emotiva».

Edward Enninful arriva a Vogue

Da i-D Edward Enninful arriva poi a Vogue Italia, dove realizza i primi servizi insieme al fotografo star Steven Meisel. La direttrice Franca Sozzani lo nota, anche se al primo approccio durante una festa lo snobba perché non l’aveva riconosciuto. Una vita che sembra in discesa, ma non mancano gli inciampi. Inviato alle sfilate di Parigi per i-D, viene fermato dalla polizia, il primo giorno di lavoro come direttore di Vogue UK la guardia gli dice di passare dall’entrata di servizio. Sperimenta il razzismo in diverse forme, «mi sentivo sempre “l’altro”» scrive. In un mondo, quello della moda, che fino al giorno prima era rigorosamente bianco e upper class era facile diventare vittima della sindrome dell’impostore.

La sindrome dell’impostore

Nell’autobiografia Enninful racconta di averla sentita quasi sempre. Ha avuto momenti luccicanti e momenti bui: racconta della sua malattia, l’anemia falciforme, della depressione e dell’alcolismo, delle feste fino al mattino e degli eccessi. E di quello che lo ha spinto a ritrarre le persone vere: «Ho sempre pensato che noi dobbiamo essere rappresentati su tutte le piattaforme come una cosa ovvia. E con “noi” intendo chiunque si sia mai sentito “escluso” dalla moda, sia per motivi di genere, razza, classe, condizione economica, corporatura, età, disabilità o semplicemente perché gli è stata negata una voce».

Riproduzione riservata