«Essere Andy Warhol non è così importante». Se lo dice lui, che è stato veramente Andy Warhol, l’unico, l’originale… Non inimitabile, visto che in molti hanno cercato di emularlo. Ma la massima non finisce qui. «Se non fossi stato famoso» continua «non mi avrebbero sparato. Il motivo? Essere Andy Warhol». In queste poche parole ci sta tutto: una certa imprevedibile ritrosia, l’insicurezza, la paura e un evento che ha fatto da spartiacque definendo un prima e un dopo nella vita del padre della pop art, come si scopre in un nuovo film.

Nel film, Andy Warhol visto da parenti e amici
Andy Warhol. American Dream (Nexo Studios), il docufilm che prova a seguire le tracce del più noto rappresentante della Pop Art, fin dalla nascita sarà al cinema il 6 e 7 maggio (poi in streaming). Lo raccontano i nipoti, Donald e James Warhola (questo il nome di famiglia originale), figli dei fratelli maggiori, e tutta una serie di studiosi, critici, galleristi e amici che provano a costruire, come in un puzzle infinito, l’uomo e l’artista. Non aspettarti la solita storia corredata dai grandi classici dell’arte moderna: bisogna essere preparati, avendo bene in mente almeno le opere più famose, per capire come ci si è arrivati partendo da una squallida, ma affettuosa, casa nella periferia di Pittsburgh dove Warhol nasce in un non meglio precisato giorno del 1928. Per convenzione si è scelto il 6 agosto, ma Andy ha sempre giocato sul fatto che la mamma Julia avesse aspettato un po’ di tempo prima di registrarlo all’anagrafe. Da qui una delle frasi più famose: «Vengo dal nulla».
Alle origini della famiglia Warhol
Siamo negli anni ’20: il padre Ondrej parte dall’Europa per l’America lasciando in patria la moglie incinta, torna a casa e riparte con lei. Nel film su Warhol i nipoti vanno in visita a Medzilaborce, oggi in Slovacchia, terra d’origine della famiglia. E si capiscono molte cose: povertà, campagna e chiese bizantine. In fondo, lo stesso scenario che i Warhola trovano oltreoceano. Per fortuna Ondrej è un uomo tutto d’un pezzo, un gran lavoratore che non ha mai fatto mancare il pane ai figli. Minatore e carpentiere, i figli maggiori ne seguono le orme. Solo Andrew, detto Andy, vorrà studiare. Bambino e adolescente malaticcio, è da subito il cocco di mamma, che gli starà addosso per tutta la vita, anche quella adulta, con la sua fede religiosa (le icone non sono forse le antenate dei ritratti pop?) e l’infinito affetto. Il tour nella casa dove Andy è nato e cresciuto è illuminante: tappezzerie e fiori, letti di ferro battuto, la cameretta claustrofobica.

Da Pittsburgh a New York
Avendo espresso da subito una notevole vena artistica, il nostro eroe se ne va alla volta di New York. Dove scopre Duchamp e la sua latrina, intitolata Fontana, che è il fondamento della sua filosofia artistica. Un esempio? Quando risponde sereno a chi gli chiede il perché abbia ritratto una sedia elettrica: «Sareste sorpresi di quante persone vogliono appenderne una nel loro salotto: l’importante è che si abbini alle tende». Cinico? Piuttosto realista. Non dimenticherà mai da dove viene. La fatica della povertà che caratterizza anche i primi anni newyorkesi, quando divide un appartamento con altri 14 come lui in cerca di fortuna.
Gli esordi di Andy Warhol a Harper’s Bazaar
Ma Andy ha talento da vendere, nel vero senso della parola. Conosce una redattrice di Harper’s Bazaar e la prima volta che si presenta al colloquio dal book dei disegni esce uno scarafaggio. Che vergogna! Ma la cosa impietosisce Carmel Snow, la più famosa giornalista di moda, che gli commissiona subito una serie di disegni di scarpe. Allora Warhol era un magnifico illustratore fashion: le mille luci di New York, i neon coloratissimi, le pubblicità ovunque, l’abbondanza di oggetti e di marchi a portata di tutti entrano nel suo immaginario stravolgendo la delicatezza del tratto usato per i disegni di Vogue e trasformandolo nel ribelle che conosciamo. La bibita Coca-Cola, il detersivo Brillo, la zuppa Campbell diventano opere d’arte.

Il ruolo della madre Julia
Ci vuole un po’ per la fama. La prima mostra personale alla Hugo Gallery, 15 disegni dedicati a Truman Capote di cui sarà sempre amico, è un fallimento totale, non ci va nessuno e non vende un pezzo. Siamo nel 1952, due anni dopo è la volta della Loft Gallery e le cose iniziano a cambiare. Arrivano i primi lavori e la madre va a vivere da lui: resteranno insieme per sempre, ma lei non mise mai piede alla Factory. Meglio per Andy, che pensa che «niente dovrebbe essere nascosto a parte le cose che non vuoi che tua madre veda». Lavorano anche insieme: molte delle scritte un po’ infantili che appaiono in alcuni disegni e annunci pubblicitari sono frutto della calligrafia di Julia. Del resto è lei che, in famiglia, ha sempre avuto un che d’artistico. Quando rimane vedova con i figli ancora ragazzi, sbarca il lunario costruendo e vendendo fiori fatti con materiale riciclato, carta e lattine, proprio quelli con i nomi visti al supermercato.

L’ispirazione di supermercati e tabloid
Ecco da dove arriva la passione del padre della pop art per le grafiche dei prodotti di consumo. Ma anche le facce delle star di Hollywood e i fatti di cronaca che diventeranno quadri miliardari fanno parte della sua educazione: madre e figlio sono grandi lettori di tabloid e collezionano compulsivamente, ritagliandole da lì, immagini di persone famose ma anche di incidenti stradali e omicidi. A questo proposito, Andy Warhol ha rischiato di morire ammazzato da un’amica, Valerie Solanas, scrittrice fallita che nel 1968, con lui all’apice del successo, gli spara. E il fattaccio è importante non solo perché costa due mesi in ospedale (lui che, da buon ipocondriaco, odiava medici e medicine).

L’attentato a Andy Warhol
Il colpo segna la fine della famosa Factory che ha richiamato per anni la più interessante gioventù newyorkese. Nel film su Andry Warhol se ne parla molto, dagli inizi con pochi amici al momento di massimo splendore in cui viene tappezzata di stagnola d’argento dal fotografo Billy Name e tutti vogliono vivere di luce riflessa, fino al cambio di indirizzo: una casa ufficio quasi asettica, dove nel 1973 nasce Interview, la rivista che ha cambiato per sempre la storia dell’editoria.

Nello stesso anno cessa l’attività dei Velvet Underground, gruppo musicale capitanato da Lou Reed (hai in mente la mitica copertina dell’album con la banana?). Mesi prima se n’era andata mamma Julia ed è chiaro che tutto per Andy Warhol debba cambiare. Per continuare a «essere la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto». Warhol muore per le conseguenze di una stupida operazione il 22 febbraio 1987. Se vuoi sapere tutto di lui e temi di non riuscire ad andare al cinema, potrai rimediare leggendo il magnifico articolo scritto dalla critica d’arte Ada Masoero su Archimagazine in occasione di una mostra del 2008. Lo trovi online, e merita.