Ci sono incontri che sembrano destinati a sovvertire ogni aspettativa. Avevo preparato domande, parole, pensieri, ma è lei a iniziare, spiazzandomi con la sua consueta lucidità e ironia: «Cosa significa per te la sorellanza?» mi chiede a bruciapelo. Da lì, tutto si muove in una direzione diversa, più intima, più libera. Perché Ornella Vanoni, signora della musica italiana, è una presenza che attraversa i decenni senza mai perdere il coraggio di essere se stessa: disarmante, sorprendente. Figure come lei non sono semplicemente venerati maestri: per età, meriti e libertà conquistata abitano una dimensione privilegiata. Hanno superato ogni ruolo, ogni definizione. Sono anziani saggi con la leggerezza dei bambini. Un mix magnifico. In un giorno speciale – quello in cui Ornella Vanoni riceve la laurea magistrale honoris causa in Musica, Culture, Media e Performance dall’Università degli Studi di Milano – la nostra intervista si trasforma in qualcosa di più, un dialogo tra donne, generazioni, punti di vista.

La laurea di Ornella Vanoni e un incontro fuori copione

E oggi che la sua voce è qui, vibrante, non resta che ascoltare. Con gratitudine. E con quella meraviglia che nasce davanti a chi non smette mai di mettersi in gioco. Come quando Ornella mi sorprende con quella domanda inattesa: «Cosa significa per te la sorellanza?». Avrei voluto rispondere. Ma non me ne ha lasciato il tempo. Ha sorriso, poi ha aggiunto: «Non avevo un pubblico femminile dalla mia parte. Le donne sono arrivate con il tempo. E adesso, a 90 anni, devo dire che ricevo più attenzione dai miei amici gay piuttosto che dalle mie amiche». In quell’istante ho capito che la sua domanda era un modo di accogliermi. Un’introduzione fuori copione, spontanea, piena di quella lucidità affilata e tenera che la contraddistingue. Era l’inizio dell’intervista, sì, ma sembrava piuttosto un invito: a entrare nel suo mondo, a mettersi a nudo, con leggerezza ma facendo sul serio. Così, mentre beve un bicchiere d’acqua, provo a riprendere il filo, partendo dall’occasione che ci ha portate qui.

Che palle studiare!

Le hanno appena conferito la laurea magistrale honoris causa in Musica, Culture, Media e Performance. Cosa rappresenta per lei?

«È una grande emozione. Soprattutto perché arriva da Milano, la città in cui sono nata e che ho amato per tanti anni. Anche se oggi non mi piace più come una volta: ci sono troppi grattacieli e manca quella dolcezza, quella grazia discreta che la rendeva speciale negli anni ’60».

Ha raccontato spesso dei tanti collegi che ha frequentato da ragazza. Che rapporto ha avuto con lo studio?

«Io non so studiare. Non ne sono mai stata capace. Sono una cialtrona. Ho iniziato davvero a leggere solo quando frequentavo il Piccolo Teatro. Qualcosa apprendo, certo, ma poi vado avanti per intuito, intenzione. Anche perché, diciamolo… Studiare, che palle!».

Dolcezza, l’unica consiglio che vale

Quell’approccio istintivo l’ha accompagnata anche nella musica. Ha attraversato linguaggi e generazioni, restando sempre fedele a se stessa. Oggi che panorama musicale vede? Cosa ascolta?

«Le do una bomba: sento che il rap sta passando di moda. Io lo ascolto. O meglio, cerco di capirlo. Mahmood, per esempio, mi piace, lo trovo divertente, mi fa tenerezza…».

All’improvviso si illumina, sorride e, con un filo di voce, comincia a canticchiare “5 cellulari nella tuta gold”. È un momento leggero, quasi delicato, che racconta molto più di mille parole. «Però evvivadio che è arrivato uno come Lucio Corsi, un cantautore vero».

Se dovesse dare un consiglio a una giovane cantante, oggi, quale sarebbe?

«Premesso che il mio consiglio non vale niente perché io non sapevo usare neanche il microfono, ero antipatica, mi muovevo poco, trattenevo la voce… Ma se proprio devo dire qualcosa: più dolcezza. È da lì che passa tutto».

L’amore? Uno spreco se sei prudente

Lei è una donna che ha amato molto nella sua vita. Che cos’è stato, per lei, l’amore?

«Una cosa necessaria. E in cui non vale la pena di essere prudenti. È uno spreco. Non sai niente se non ci passi dentro. È come non partecipare. Tra un passo indietro e un salto nel vuoto, io ho sempre saltato».

Adesso è innamorata?

«Questa è una domanda del cazzo (ride divertita, ndr). A 90 anni mi vergognerei a morte a farmi vedere. Però oggi, quando guardo il mio corpo, lo faccio con tenerezza. Gli parlo e gli dico: “In effetti non siamo più come prima”».

Lei ha detto che per molti anni si è amata poco.

«Ero malata di timidezza. Ho cominciato a superare l’insicurezza quando ho fatto le mie scelte e cantato da sola».

E come si impara a volersi bene davvero?

«Lavorando, lavorando, lavorando. Più lavori, più impari. Più impari, più ti senti sicura».

Col tempo anche volersi bene cambia. Nel suo libro Vincente o perdente parla della vecchiaia come di un momento in cui si impara a “vedere” davvero. È così?

«Io ci sono entrata di malavoglia, come tutti, in questa fase della vita. Ma ora credo di aver trovato il modo giusto per averci a che fare. Lo sente dalla mia voce. Da vecchi ci si può concedere il lusso di fermarsi. E se ti fermi, vedi. Vedi la meraviglia del mondo, non te la fai più sfilare di fianco distrattamente, come un paesaggio nel finestrino di un treno. Ma allo stesso modo vedi l’orrore, non scappi. Stai lì. E ti commuovi per nulla».

Una malinconia leggera, un’eredità luminosa

È vero. E capita anche a lei, quando parla della solitudine con un filo di voce che si apre come una crepa nella luce: «Mi prende una malinconia sottile la sera, in quei momenti, vorrei che oltre al mio cane ci fosse qualcuno accanto a me» conclude, con quella sincerità disarmante che non cerca effetto ma solo condivisione. L’ho guardata salire sul palco con l’eleganza di chi non ha più niente da dimostrare, ma ancora tanto da donare. Ho ascoltato le sue parole leggere e potentissime, come sa essere solo la verità detta con grazia. Dietro quegli occhi vivi, c’è una donna che ha attraversato decenni di musica e di vita con coraggio e libertà. Una maestra che insegna con leggerezza e profondità, capace di trasformare ogni parola in una lezione. E in quell’aula piena di applausi, mentre Ornella Vanoni riceve la laurea, ho capito che certi incontri possono cambiarti per sempre. Anche solo per il modo in cui ti ricordano come vorresti essere.