Il museo? Meglio di un antistress!

Diceva Picasso: «L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita». Tradotto ai giorni nostri: andare al museo scioglie le tensioni, abbassa l’ansia, regala benessere. E la scienza lo dimostra

Il “super potere” del bello

Che vedere il bello, in un museo, a casa, in giro per la città, mi facesse stare bene è una consapevolezza che mi porto dentro da tempo. E che cerco di trasmettere, a volte magari in modo maldestro, alle mie figlie: nonostante le loro sonore proteste, appena posso le trascino a vedere mostre, murales di street art e improbabili gallerie d’arte o spettacoli teatrali. E il copione che si ripete è sempre lo stesso: entrano con il muso, a volte anche con le lacrime, ed escono con il sorriso. Una magia (e una bella soddisfazione per noi mamme) che neanche l’ennesimo giocattolo nuovo o l’ultimo videogioco in commercio riescono a realizzare. Certo, non sono la prima ad aver scoperto il “super potere” del bello. Pablo Picasso, diceva: «L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita quotidiana»

Il wellbeing finalmente sbarca al museo

La cosa interessante, però, è che in questi ultimi anni, forse anche in risposta alla pandemia, sono stati realizzati diversi studi scientifici che dimostrano come l’arte migliori davvero le nostre vite, aumentando il benessere e diminuendo lo stress. E così il museo – inteso da sempre come spazio di apprendimento ed educazione, e spesso come luogo statico, noioso, prevedibile – si sta trasformando in un ambiente di relax dove prendersi cura di sé e allontanare le tensioni.

Il museo è meglio di un farmaco antistress

Una prospettiva rivoluzionaria che inizia a dare i suoi frutti. Al Guggenheim di Bilbao da luglio c’è un programma di “wellbeing” che invita i visitatori a trarre il massimo benessere dalle opere d’arte partecipando a sessioni di yoga all’interno delle sale e visite guidate speciali con esercizi di respirazione. In Canada, dopo un progetto pilota, i medici di famiglia possono prescrivere ricette con gite al museo come farmaci antistress. E adesso anche qui in Italia si sta muovendo qualcosa in questa direzione.

Come è nata l’idea dello studio ASBA

Il merito? Di uno studio condotto dalle Università Statale e Bicocca di Milano e dalla Sapienza di Roma che abbina l’arte a pratiche di meditazione come la mindfulness. Insomma, un mix imbattibile. Il progetto multidisciplinare si chiama ASBA (Anxiety, Stress, Brain-friendly museum, Approach) ed è nato dall’intuizione della professoressa Raffaella Folgieri, che insegna Intelligenza Artificiale al dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, e della dottoressa Annalisa Banzi, storica dell’arte presso il Cespeb (Centro Studi sulla Storia del Pensiero Biomedico) dell’Università di Milano-Bicocca.

Cosa vuole dimostrare questo studio innovativo

«Che il bello ci faccia stare bene lo sappiamo da anni. Ma noi volevamo misurare scientificamente “l’effetto museo” e capire cosa succede nel nostro cervello» spiega Folgieri. «Così nell’ottobre dell’anno scorso abbiamo lanciato questo progetto innovativo, che andrà avanti fino ai primi mesi del 2024, perché vogliamo raccogliere tanti dati e provare a trasformare quest’esperienza in una terapia medica prescrivibile, come sta succedendo in Canada».

Perché la mindfulness al museo fa bene

Ma capiamo meglio come si è svolto lo studio. Tra novembre e febbraio 80 volontari di età compresa tra i 18 e i 70 anni hanno partecipato al progetto ASBA prendendo parte a sessioni gratuite di mindfulness di un’ora circa che si sono svolte nel Museo di storia naturale e nella Galleria d’arte moderna di Milano. «La scelta di spazi così diversi tra loro è particolarmente innovativa poiché, se esistono già diversi lavori che coinvolgono i musei artistici, si sa ancora poco sulla fattibilità di protocolli simili all’interno di musei che espongono, per esempio, diorami e oggetti di interesse scientifico» spiega la professoressa Folgieri.

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All’inizio e alla fine di ogni incontro i partecipanti, 15 a gruppo, sono stati sottoposti alla misurazione dei livelli di ansia e stress mediante questionari, ma soprattutto attraverso strumenti hi-tech in grado di rilevare gli indici fisiologici. «Abbiamo utilizzato delle brain computer interface, che consistono in una semplificazione dell’elettroencefalografo medico. In pratica, sono cerchietti leggerissimi che registrano le risposte inconsce del nostro cervello, delle specie di macchine della verità» dice l’esperta. E mentre me lo racconta mi vedo già, a settembre, quando iniziano nuovamente le sessioni di ricerca, indossare con grande fierezza e curiosità questo cerchietto elettronico per capire come funziona il mio cervello (info e date per iscriversi sul sito www.cespeb.eu/prenotazioni-progetto-asba).

Cosa dicono i dati

I dati raccolti finora sono molto incoraggianti. «Nei partecipanti all’indagine abbiamo rilevato una diminuzione dei livelli di stress e ansia anche del 25%» spiega la professoressa. Ma a essere positivi, oltre ai numeri, sono soprattutto i commenti. «Diverse persone ci hanno chiesto di poter fare più sessioni perché si sentivano davvero bene» racconta Raffaella Folgieri. «E tra le osservazioni che ci venivano riferite più spesso c’era lo stupore e la felicità di vivere l’arte con occhi diversi, con maggiore consapevolezza, con un coinvolgimento più profondo, sereno e personale, lasciando parlare le sensazioni e le emozioni del corpo. E dimenticando, anche se per poco, le preoccupazioni quotidiane».

Oltre alla mindfulness c’è anche altro

La mindfulness è solo la prima modalità applicata ai due musei milanesi: la sperimentazione a settembre continua con altre tecniche, come le Visual Thinking Strategies, un metodo di apprendimento che consiste in una discussione di gruppo, guidata da un facilitatore davanti a un oggetto o a un’opera del museo, che migliora l’autostima, riduce l’ansia e sviluppa il problem solving. Io mi sono già prenotata per una delle sessioni di settembre. E non vedo l’ora di provarla. Se, oltre a ridurre lo stress, riuscissi anche a migliorare un po’ l’autostima, be’, non sarebbe affatto male!

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