Mani ospedale leucemia

Leucemia: il trapianto come cura

Il midollo di un donatore non è più l’ultima spiaggia. Per i pazienti ad alto rischio, anche over 60, si valuta in anticipo di intervenire così e i risultati sono confortanti. Aumenta la possibilità di guarire, ma servono più donatori

Leucemia: la storia di Alessandro Baricco

«Quello che so, è che sono stati 41 giorni duri, ma ora è tutto fantastico. (…) La mia agenda dice che tornerò in pubblico il 29 ottobre 2023, al Teatro della Scala, nel frattempo tutto mi sorprenderà». Le parole di Alessandro Baricco hanno il sapore delle cose dette da chi ritorna alla vita dopo mesi di buio. Le abbiamo lette sui suoi profili social e poi sui giornali, all’indomani di ferragosto, quando lo scrittore ha annunciato nel suo modo gentile di essersi sottoposto al secondo trapianto di midollo, per una leucemia. Baricco ha 65 anni e solo 20 anni fa una procedura di questo tipo in un uomo della sua età sarebbe stata impensabile. Invece le parole rivolte al suo pubblico e i riferimenti ai prossimi appuntamenti che lo aspettano testimoniano quanta strada è stata fatta.

L’importanza del trapianto contro la leucemia

Ogni anno il trapianto di midollo restituisce la speranza di vita a più di 1.900 malati solo in Italia, per lo più affetti da leucemia. E se nella maggior parte dei casi la donazione avviene da un fratello o una sorella, come è successo a Baricco per il primo intervento (sul secondo lo scrittore non si è soffermato), le esistenze di migliaia di pazienti dipendono dalla generosità di perfetti estranei. Persone che scelgono spontaneamente di donare le proprie cellule staminali emopoietiche a chi ne ha bisogno.

Leucemia: la storia di Alice

È stato uno di loro a salvare quattro anni fa la vita ad Alice, che oggi ne ha 40, ma ama ripetere che lei è nata due volte, il 27 luglio del 1983 e l’11 aprile 2019, il giorno in cui ha ricevuto un “pezzo” del suo donatore, come ama dire lei. «Ero malata, malatissima» racconta. «Avevo trascurato per mesi dei sintomi che non preannunciavano nulla di buono e quando un giorno sono finita in Pronto soccorso, mi hanno diagnosticato la leucemia mieloide acuta in stadio avanzato. I medici sono stati molto chiari, davanti a me avevo pochi mesi di vita, l’unica era tentare un trapianto di midollo».

Il destino fa strani giri, anche Alice dieci anni prima si era iscritta all’Admo, l’associazione donatori di midollo osseo, ed era diventata una potenziale donatrice. «Avevo ascoltato la storia di una bimba che aveva urgente bisogno di trapianto e mi ero fatta avanti. Quando ho avuto quella diagnosi catastrofica è stata la prima cosa a cui ho pensato: speriamo che qualcuno faccia lo stesso per me». È andata così. Dopo tre mesi, nella banca dati mondiale è stato trovato un Dna compatibile al 100%. «Il mio “dono” è arrivato in elicottero, in una sacca» dice con la voce ancora carica di gioia «ed eccomi qua. Non è stata una passeggiata, naturalmente. Il trapianto, che poi non è che una trasfusione, è andato bene, ma dopo due mesi nel mio sangue ancora circolavano cellule malate. Per uscirne ci sono voluti due anni e mezzo di una chemioterapia che mi ha stremato e oggi le cellule malate non ci sono più. Per dichiararmi guarita serviranno dieci anni, nel frattempo ho di nuovo la mia vita».

I progressi medici

Oggi, per un malato di leucemia ricevere sangue midollare significa aumentare le proprie chance di guarigione e questo anche grazie ai progressi della ricerca e della medicina, che hanno moltiplicato le possibilità di successo della procedura e ridotto i rischi. «La mortalità trapiantologica è diminuita drasticamente, se la media negli anni ‘90 era superiore al 30%, negli ultimi 10 anni parliamo di un tasso inferiore al 10%» spiega il professor Fabio Ciceri, direttore del Cancercenter e dell’Unità di ematologia e trapianto di midollo osseo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, uno dei più all’avanguardia in Europa, lo stesso dove anche Baricco è stato sottoposto al trapianto. Oggi anche complicanze temutissime come la
Graft-versus-host disease (Gvhd), una malattia causata dalle cellule ospiti che attaccano l’organismo del ricevente, fanno meno paura. «Le terapie per combattere la Gvhd indeboliscono il paziente esponendolo a pericolose infezioni e questa resta ancora la causa più comune di insuccesso, ma le cose sono migliorate enormemente, perché abbiamo a disposizione farmaci antinfettivi più efficaci e nuovi immunosoppressori».

A differenza del passato, poi, il trapianto non è più l’ultima carta da giocare in caso di fallimento delle cure, ma un’opzione concreta da valutare già dopo la diagnosi. «Abbiamo a disposizione sempre più strumenti che ci consentono di individuare in fase precoce i pazienti più ad alto rischio, quelli per i quali la chemio da sola potrebbe non bastare, e a questi offriamo il trapianto subito, quando la malattia non è ancora progredita» prosegue Ciceri. «Difatti, i tassi di recidiva precoce stanno diminuendo. La sopravvivenza libera da malattia sta migliorando anno per anno intorno all’1%. Dieci anni fa era al 60%, oggi è al 70%». Come dire che in 7 pazienti su 10 la leucemia non si ripresenta.

Trapianto di midollo: servono più donatori

È per tutte queste ragioni che la disponibilità di quanti più donatori possibili diventa fondamentale, anche in virtù del fatto che trovare consanguinei, cioè sorelle o fratelli, sarà sempre più difficile, perché le famiglie sono sempre meno numerose. L’Italia, ci conferma Rita Malavolta, presidente di Admo, è un Paese generoso anche da questo punto di vista, ma non basta. «Quando l’associazione nazionale è nata, nel 1991, gli iscritti erano 2.500, oggi sono 560.000 in tutta Italia, di cui 480.000 potenziali donatori» spiega. «Ma ne servirebbero di più, e in tutte le aree. L’Italia è stata attraversata da tantissimi popoli nella sua storia, abbiamo moltissimi corredi genetici rari, che cambiano da comune a comune, ed è utile avere donatori nell’area di nascita del paziente. Ci sono però ancora molte false credenze sulla donazione, che generano paure, ma va detto che anni di studi dimostrano che non ci sono rischi per chi dona. E farlo oggi è più facile». Nell’80% dei casi non è più necessario prelevare il sangue dalle ossa del bacino, procedura che richiedeva un piccolo intervento, ma è sufficiente un prelievo di sangue, che ha modalità molto simili a quelle della donazione di plasma.

Per le donazioni si cercano giovani

È soprattutto ai giovani che le campagne di sensibilizzazione si rivolgono, perché l’età dei donatori è tra i fattori che più condizionano il successo di un trapianto. Anche Alice è stata salvata da un diciannovenne. «L’ho scoperto per caso, donatore e ricevente non si possono conoscere. Prima della trasfusione mio marito fotografò la sacca e, a distanza di tempo, zoomando e sbirciando sull’immagine abbiamo letto che lui, il mio “fratellino” lo chiamo io, aveva compiuto da poco 19 anni, ed è un ragazzo israeliano. Pensa, avevo sempre desiderato un fratello minore». Alice pensa a lui tutti i giorni. «Vorrei poterlo abbracciare forte, ma so che non sarà mai possibile. Allora sai che faccio? La mia riconoscenza va a tutti i volontari che incontro. Per me è come se ognuno di loro fosse il mio salvatore».

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