Ci diamo appuntamento con Chiara Pavan al telefono, all’ora di pranzo e insieme alla sua voce squillante sento un piacevole rumore di sottofondo: piatti, pentole, posate, chiacchiere. Proviene dalla cucina di Venissa, osteria, wine resort e ristorante stellato (oltre alla “classica” Stella Michelin, ha ottenuto anche la Stella Verde) sull’isola di Mazzorbo, nel cuore della Laguna di Venezia.
Chiara Pavan e la cucina ambientale
Il rumore di sottofondo è quello della “brigata” al lavoro – 16 persone in tutto che aiutano a preparare i piatti – mentre la voce squillante appartiene a Chiara Pavan, 38 anni, veronese, una laurea in Filosofia tra Pisa e Parigi, un diploma conseguito ad Alma, Scuola di alta cucina di Colorno, in provincia di Parma. Occhi profondi e frangetta ribelle, la cheffe (sì, si scrive proprio così!) che ha appena partecipato al Pianeta Terra Festival di Lucca, insieme al compagno chef Francesco Brutto intreccia le fila e le sorti di quella che lei chiama «cucina ambientale», dove le parole piatto, made in Italy («Anzi, made in Burano!») e sostenibilità vanno a braccetto per salvaguardare il Pianeta e ridurre l’inquinamento. Ma non la soddisfazione di assaporare una delle sue creazioni. Un piacere, quello per il cibo, che lei nomina più volte. E quando le chiedo perché, la sua risposta è genuina come la salicornia che ha appena raccolto e che sta pulendo con il suo coltellino portafortuna: «Quella con la cucina è una storia d’amore. Un percorso fatto di passione, odio, sopportazione, dedizione. Il cibo mi piace e, quando dico così, mi riferisco a tante cose: mi piace il gusto, la convivialità di un pranzo, in famiglia o tra amici, mi piace come possa raccontare un luogo, adoro le tradizioni e mangiare bene».
Il padre di Chiara Pavan le ha insegnato il gusto per il buon cibo
Del resto, ha avuto un ottimo maestro: suo papà che, pur facendo lo psichiatra, è bravissimo ai fornelli. Il piatto che gli riesce meglio? «Il cous cous, il risotto con il sedano rapa e i “sugoli”, un dolce veronese, un budino fatto con il succo d’uva». E per raccontare la storia d’amore di Chiara con la, cucina, partiamo proprio da lì, dagli inizi.
Come ha cominciato?
«Non è certo merito di mia mamma, (ride, ndr). Lei era bravissima a fare grandi polpette bruciate! Ho iniziato da autodidatta, grazie a un palato allenato fin da piccola da mio papà. Come lui sono curiosa e sono una grande mangiona. Poi è subentrata la voglia di cucinare e, soprattutto, di guadagnare: ho iniziato a lavorare nelle trattorie per mantenermi agli studi. Una volta laureata, ho deciso di iscrivermi ad Alma. Da lì sono partita con gli stage: da Valeria Piccini e Massimo Bottura».
Prima di arrivare a Venissa, era in Alto Adige da Zum Löwen. Perché ha deciso di cambiare?
«Avevo voglia di dare una svolta alla mia vita, di lavorare con qualcuno di più giovane, di provare una cucina più fresca. Lessi l’annuncio di Francesco Brutto (oggi suo compagno e cochef, ndr), e mi candidai. Mi prese. Nel 2017 mi ha messo qui e poi ci siamo messi insieme. Meglio di così!».
Com’è lavorare con il suo compagno?
«Bello. Spesso mi chiedono se i piatti di Venissa siano miei o suoi. E io rispondo: “Di tutti e due”. Francesco è istintivo, creativo, ama uscire dalle regole. Io sono riflessiva, studiosa, non mi accontento mai. Mi piace continuare a ripensare ai piatti che abbiamo creato, per migliorarli. Ogni ricetta è sempre perfettibile. Con Francesco però condividiamo lo stesso amore per i vegetali e per le fermentazioni».
È una perfezionista, mi sembra di capire…
«Sì, è uno dei miei pregi e dei miei difetti. Sono anche un po’ impaziente e soprattutto soffro della sindrome dell’impostore: nonostante la Stella e la Stella Verde Michelin continuo a dirmi: “Prima o poi mi scopriranno” (ride di gusto, ndr)».
Il ristorante di Chiara Pavan ha ricevuto la Stella per la sostenibilità ambientale
Cos’è la Stella Verde che avete ricevuto nel 2022?
«È il riconoscimento che viene assegnato per la sostenibilità ambientale. Che per me significa virare il menu in una direzione “plant-based”, per lo più vegetariano cioè. Qui, al Venissa non cuciniamo carne oramai da quattro anni ma i nostri piatti sono ugualmente saporiti. Merito delle fermentazioni, delle muffe, dell’uso della griglia e del tartufo, per esempio. I nostri ospiti ne sono entusiasti: finiscono la cena sazi ma leggeri. E dormono molto meglio!».
Sostenibilità, per lei, significa anche altro.
«Sì. Fare qualcosa di concreto. Ho bandito la plastica. Niente cotture sottovuoto, ma lente essiccazioni, così ottimizziamo i forni sempre accesi. E poi scelgo solo prodotti stagionali e locali per una cucina ambientale. Niente limone né cioccolato, per esempio».
Com’è esattamente questa sua cucina?
«È una “cucina di paesaggio”, che descrive il luogo in cui viene fatta e che cerca di prendersi cura dell’ambiente purtroppo sempre più fragile».
Nella sua cucina Chiara Pavan usa prodotti locali della Laguna
Ci può fare un esempio?
«Le materie prime che uso come cavoli, mele cotogne, nespole, giuggiole, vengono in gran parte dai dieci orti sociali dell’isola, coltivati dal team del ristorante e da famiglie del posto. Il problema è che la siccità di quest’anno ci ha dato filo da torcere: sono morti 20 alberi da frutta e un terzo dei vigneti. Il terreno è troppo salato. Per fortuna la nostra carciofaia, fatta da più di mille piante, sta bene».
Nei suoi piatti ci sono anche pesci appartenenti alle cosiddette specie invasive.
«Sì, oltre alle erbe spontanee dell’isola, come la salicornia, saporitissima, i giunchi di laguna e le radici dei carciofi, che sono dolcissime, utilizziamo anche i pesci delle specie invasive. Quest’anno abbiamo dedicato addirittura un menu ad hoc che comprende il granchio blu, con cui facciamo un pancake ripieno, il pesce serra, che serviamo come tartare, e la rapana venosa, un lumacone originario del Mar del Giappone, che cuciniamo alla griglia».
E le meduse?
«Ci sto lavorando, anche se non sono ancora commercializzabili. Il problema è che si sciolgono anche se le congeli. Al momento ho provato questa ricetta: le ricopro di sale per qualche giorno, le sbollento in pentola per quattro minuti e poi le abbatto. A quel punto, le arrostisco. Hanno una texture magnifica, croccante tipo i nervetti, ma sanno di poco, vanno accompagnate con qualcosa di saporito».
Mi fa venire voglia di provarle. Prima di salutarla, però, qual è il suo piatto preferito?
«Il riso con le verdure e tanta salsa di soia. Adoro anche le mele cotogne, perfette da usare negli gnocchi al posto delle patate o per fare un soufflé».