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Lavoro e benessere: ecco cosa emerge dal nostro evento I feel good

Il lavoro deve essere solo un dovere o anche un piacere? Ne abbiamo parlato all'evento I feel good con Valentina Sangiorgi di Randstad Italia e Alessio Carciofi, esperto di benessere digitale

Per tante persone – lo confermano varie ricerche – stare al lavoro è sempre più difficile: insoddisfazione, difficoltà nel conciliare vita privata e professione, eccessivo carico di impegni portano spesso al burnout e persino alla decisione di licenziarsi.

Come combinare lavoro e benessere: ne parliamo all’evento I feel good

Ma come è possibile ribaltare la situazione e far sì che lavoro e benessere si combinino? Questa domanda è stata al cuore del talk Lavoro: dovere o piacere? che ha visto discutere insieme alla direttrice di Donna Moderna Maria Elena Viola e alla giornalista Myriam Defilippi due esperti del settore: Valentina Sangiorgi, Chief Human Resources Officer di Randstad Italia, multinazionale olandese che si occupa di ricerca, selezione e formazione di risorse umane, e Alessio Carciofi, autore, docente e advisor in corporate & digital wellbeing, tra i massimi esperti in Europa di benessere digitale.

Come è cambiato il rapporto tra noi e il lavoro

Valentina Sangiorgi ha subito chiarito che «non è tanto aumentato il malessere, ma è aumentata la nostra volontà di non accettarlo più. Siamo diventati più bravi a riconoscerlo e a volerlo estromettere dalla nostra vita professionale. La pandemia e tutto ciò che ha comportato ha fatto emergere in modo chiaro domande che da tempo albergavano in noi. Ci siamo interrogati sul senso del lavoro e sul bilanciamento tra esso e la nostra vita privata». Se un tempo si andava a lavorare per lo stipendio la carriera e ora al centro del rapporto del lavoro diventa sempre più urgente un allineamento tra valori del singolo e valori aziendali «La generazione Z è quella che ha fatto emergere questi bisogni. E – diciamolo – ha fatto bene». Concorde il parere di Carciofi: «Quando ci perdiamo nelle praterie digitali rischiamo di allontanarci dai nostri valori, valori che la generazione Z rivendica con più consapevolezza».

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Come riconoscere i segnali di malessere sul lavoro

Alessio Carciofi ha poi messo in luce come «il burnout sia un viaggio in solitaria: tutti gli altri si accorgono che tu ne soffri tranne tu stesso. Per questo diventa importante riconoscere i segnali di malessere, uno di questi è la scarsità di tempo. Se quando ci viene chiesto o proposto di far qualcosa e reagiamo sempre dicendo “Non ho tempo” significa che siamo sopraffatti dagli impegni e dobbiamo trovare momenti di vera pausa. Come il computer, se apriamo tantissime finestre, procede più lentamente, così noi, se non lasciamo spazi liberi al nostro cervello per rielaborazione stimoli e informazioni, poi fatichiamo ad andare avanti. Siamo spesso schiavi degli algoritmi invece dobbiamo tornare ad ascoltare il nostro corpo». Che altrimenti reagisce, per esempio “impedendoci” di dormire: «Sono 18 milioni gli italiani che soffrono di problemi di insonnia» ha confermato Carciofi.

Come possono fare lavoratori e aziende per un maggior benessere

Ci eravamo illusi che con la diffusione dello smart working molti di noi avrebbero trovato un miglior equilibrio tra vita privata e lavoro, ma per non è stato così, siamo stati fagocitati da messaggi e chiamate che arrivano dai vari device che ci seguono ormai dovunque. «Il problema non è tanto se lo smart working sia giusto o sbagliato, ma come lo gestiamo. La tecnologia deve essere un’alleata, non deve diventare un competitor. Ricordiamoci che è sempre gestita da persone, dall’umano. Quello che manca è una vera educazione all’uso del digitale» ha commentato Carciofi. Sul ruolo delle aziende Valentina Sangiorgi ha aggiunto: «Secondo un sondaggio, il 15% dei dipendenti soffrono di varie forme di malessere, ma se vengono interrogati gli hr sostengono che a loro risulta che solo l’1% dei lavoratori abbia problemi. Questo cosa significa che bisogna chiedere aiuto, rivolgendosi agli uffici delle risorse umane e ai servizi di counseling se occorre. Questo lo dico soprattutto per le donne che culturalmente sono meno abituate a chiedere qualcosa per sé, non credono di meritare di più di quanto hanno. Occorre anche però che le aziende affrontino il problema, perché solo con dipendenti che stanno bene si produce bene. In questo periodo in molti settori constatiamo che è difficile trovare personale. Se una risorsa – in questo caso il personale – è scarsa, l’azienda deve fare il possibile per procurarsela e trattenerla. Va letto anche in modo positivo: sempre più le aziende dovranno assumere donne e over 50 e creare le condizioni migliori perché possano lavorare bene, vivendo loro stessi bene il loro lavoro».

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