Continua il nostro progetto Libere e Uguali che nel 2025 è arrivato alla seconda edizione e che vede la collaborazione scientifica dell’Università degli Studi di Milano, Fondazione Libellula, H-FARM, MyEdu e Valore D. Il terzo tavolo di lavoro, che si è tenuto il 27 maggio nell’Università degli Studi di Milano, aveva un duplice scopo: analizzare l’importanza per le donne dell’indipendenza economica e della genitorialità condivisa e individuare gli strumenti per promuoverle. Tante le esperte che hanno partecipato all’incontro, coordinato dalla direttrice di Donna Moderna Maria Elena Viola. Tutte hanno concordato sia sul ruolo cruciale che può svolgere l’educazione finanziaria impartita fin dalla più tenera età sia sulla necessità di abbattere stereotipi che rendono ancora fragile la presenza delle donne nel mercato del lavoro e sbilanciato il carico di cura in famiglia. Ma vediamo in modo più specifico le analisi proposte dalle esperte.
Indipendenza economica: poche donne lavorano

Il punto di partenza della discussione è avere la consapevolezza che troppe donne in Italia dipendono economicamente dal partner perché o non hanno introiti propri o non li gestiscono. II tasso di occupazione femminile nel nostro Paese è infatti del 53,1% mentre nella Ue è in media del 66, 3%. Non solo. Si rileva una spaccatura tra Nord e Sud tanto che nel Meridione solo una donna su 3 lavora. Come ha spiegato Olga Cola, presidente di Women Care ETS, «da noi le single sono quelle maggiormente partecipi al mondo del lavoro, quando però entrano in coppia si vede già un calo significativo delle occupate come se dessero meno priorità al lavoro. Poi, appena nasce il primo figlio, si assiste a un vero e proprio crollo di presenza femminile tra gli occupati».
Indipendenza economica: in coppia la donna si pensa più come moglie e madre che lavoratrice

Contano certo alcune difficoltà nell’accesso al mondo del lavoro, ma il tema è soprattutto culturale. Quando si forma la coppia si definiscono i ruoli, alla donna spettano le attività di cura, mentre l’uomo è proiettato nella carriera. Lo conferma la ginecologa e sessuologa Chiara Gregori secondo la quale «una volta che da coppia ci si ritrova a essere genitori, immersi quindi in una realtà nuova e complessa, cala l’interesse per luoghi di lavoro poco stimolanti. Occorre creare luoghi di lavoro dove le persone stiano bene e possano portare un valore aggiunto oltre, ovviamente, promuovere azioni di empowerment per le donne».
Indipendenza economica: secondo un pregiudizio diffuso spetta agli uomini guadagnare

L’empowerment femminile è infatti determinante se si vogliono superare tanti stereotipi che frenano la partecipazione delle donne ai settori più promettenti e remunerativi del mercato del lavoro. Gli ultimi dati di Eurobarometer dicono che il 46% degli italiani pensa che il ruolo più importante per gli uomini sia guadagnare soldi, mentre il 38% ritiene che ruolo principale delle donne sia occuparsi delle questioni familiari e a questo proposito Giovanna Badalassi, esperta di economia di genere e cofondatrice di Ladynomics.it, ricorda che «l’autorizzazione maritale perché una donna potesse vendere una sua proprietà è stata abolita solo nel 1919». Una esempio che prova quanto gli stereotipi siano sedimentati nostro inconscio.
I padri sono frenati dal prendere il congedo di paternità

Va tenuto presente che considerare l’uomo degno di rispetto solo se guadagna e ha un ruolo prestigioso tiene ingabbiati anche i maschi dentro uno stereotipo. Frutto di questa visione è anche la critica che molti rivolgono ai padri che chiedono di poter beneficiare del congedo di paternità: varie ricerche – come sottolinea Marzia Scuderi, responsabile dei progetti di cura di Fondazione Libellula, – mostrano che quegli uomini vengono considerati dei lavativi.
Persino le donne Ceo non sono valutate per i loro veri meriti

Sempre a proposito di stereotipi Antonella Sannella, direttrice esecutiva di H-FARM College, mette in luce un elemento che si evince dalle ultime ricerche su donne Ceo: «Questi studi enfatizzano la loro capacità di conciliare lavoro e famiglia e di lavorare in team. In realtà, la maggioranza delle Ceo hanno raggiunto quel ruolo per altri motivi. Si tratta di riflettere bene quindi anche su come vogliamo parlare ai giovani di donne in ruoli dirigenziali, si devono dare modelli di donne che sono non solo resilienti ma hanno una visione strategica».
Il lavoro delle donne troppo spesso è sottopagato
Il problema però non è solo il modo in cui vengono rappresentate le donne che sono riuscite a salite la scala gerarchica. Per Giovanna Badalassi «va superata la segregazione orizzontale per cui la maggior parte delle donne è impiegata in lavori di cura, dalla scuola alla sanità, che sono pagati meno perché sono visti come ancillari rispetto a quelli produttivi». Maria Elena Viola riflette sulla contraddizione della nostra società dove la presenza di molti anziani dovrebbe al contrario valorizzare anche economicamente proprio chi si occupa della loro assistenza. La buona notizia è che sta crescendo una nuova generazione di donne che studiano e lavorano in ambito STEM, ma al momento la massa critica femminile resta ancorata a posizioni di basso profilo nel mercato del lavoro e non va dimenticato anche che la stragrande maggioranza dei contratti part-time sono di donne.
La violenza economica danneggia tutta la società
Qual è la conseguenze del fatto che le donne non guadagnano o guadagnano poco? Sono vulnerabili ed esposte alla violenza economica. Questo ha dei costi individuali, anche emotivi, altissimi per le donne vittime di violenza ma anche per le casse dello Stato, basti pensare ai costi sociali e sanitari. Un dato, presentato da Martina Semenzato, Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, fa riflettere.
«Il 62% delle donne che accedono a un centro antiviolenza non è economicamente indipendente o, se aveva qualche entrata personale, l’uomo maltrattante è riuscito a portarla sotto il suo controllo. Capita anche che la donna si ritrovi a fare da prestanome a società fallimentari gestite da lui. Tralasciando i casi di abusi domestici, ci sono donne che per anni lavorano nell’azienda di famiglia senza retribuzione, quindi senza contribuzione ai fini della pensione, e prive di un conto corrente autonomo. Nel caso di separazione la loro situazione economica è di fatto insostenibile».
Serve più educazione finanziaria fin da bambini
Di fronte a questa situazione tutte le esperte sottolineano il ruolo cruciale che può essere svolto dall’educazione finanziaria. Secondo Marzia Scuderi occorre agire fin dall’infanzia insegnando l’utilizzo del denaro e in generale a far sì che i bambini e le bambine possano immaginarsi fuori da contesti stereotipati. Non di tratta di impedire alle ragazze di intraprendere percorsi di studio che le portino poi a ruoli di cura, ma permettere loro di scegliere quello che davvero vogliono fare. Chiara Gregori aggiunge che le maestre del nido devono essere le nostre migliori alleare nell’educare fin da piccoli bambini e bambine evitando di instillare in loro visioni che portano poi ad assumere ruoli costruiti attorno a pregiudizi.
L’Università Statale di Milano ha un progetto per l’educazione finanziaria degli studenti

Silvia Romani, professoressa ordinaria di Religioni e mitologia del mondo classico dell’Università degli Studi di Milano, spiega che «in Statale è attivo il progetto Count with us per sostenere l’educazione economico-finanziaria della comunità studentesca, alle prese con le difficoltà che possono impattare sul benessere personale e sulla regolare carriera accademica». Citando poi il progetto – sempre della Statale – di educazione carceraria sottolinea come spesso le donne delinquano perché si trovano intrappolate in situazioni di fragilità economica.
L’educazione finanziaria va promossa come le materie STEM
Elisa Castelli, responsabile di redazione MyEdu, affronta il problema della sensazione molto diffusa tra le donne di essere inadeguate a occuparsi di denaro e del fatto che la scuola non sia ancora vista come luogo dove imparare l’educazione finanziaria. Su questi temi è fondamentale approcciarsi ai ragazzi per farli crescere come cittadini consapevoli, «per questo My Edu ha proposto un corso di educazione finanziaria per gli studenti dele medie con argomenti che vanno dal conto corrente al funzionamento dell’economia dello Stato. Proprio come si è diffusa la consapevolezza dell’importanza delle STEM così occorre aumentare la sensibilità verso l’educazione finanziaria a partire dai più giovani».
La Gen Z è più fragile dal punto di vista economico

A proposito di giovani, Ulrike Sauerwald, responsabile Centro studi di Valore D, cita la ricerca Oltre le generazioni da loro realizzata nel 2024 tra 18.000 persone con lavoro da dipendente. «Da essa» spiega «è emerso un dato davvero preoccupante che riguarda la Gen Z: metà dei suoi appartenenti ha solo un contratto a tempo determinato, questo li rende fragili finanziariamente ed è per loro difficile per esempio accendere un mutuo».
Le più giovani hanno capito che il lavoro dà indipendenza economica
La stessa ricerca mostra che con le giovani generazioni c’è un cambio di paradigma: «le donne» continua Sauerwald «tengono al lavoro più che gli uomini, ne hanno capito l’importanza come base per la loro liberà e indipendenza, mentre hanno ridotto il valore attribuito alle amicizie e allo sport. Gli uomini invece continuano a investire molto tempo e interesse nelle amicizie e nello sport che spesso poi portano a relazioni utili anche per il lavoro». Per poter avere dipendenti motivati e produttivi diventa oggi fondamentale per le aziende creare un ambiente inclusivo e volto al benessere delle persone.
Le aziende possono favorire la parità di opportunità tra uomini e donne

Un esempio di come un’azienda possa promuovere la parità di genere lo porta Manuela Giusti, Direttrice People Relations & Compensation di WindTre, raccontando che occorre procedere su due fronti sia al momento dell’assunzione sia a livello di promozione. Il compito non è sempre facile, in particolare per un’azienda tech alla ricerca di profili STEM: sappiamo bene che la percentuale di laureati STEM è fortemente sbilanciata a favore dei maschi. Nel percorso che come azienda ha portato WindTre a conseguire la UNI PdR 125, Certificazione della parità di genere, si sono resi conto che pochi dipendenti richiedevano il congedo di paternità. Oggi, dopo gli sforzi per diffondere una cultura della genitorialità condivisa, i risultati si vedono perché è aumentato il numero di giorni di congedo richiesti dai neopapà loro dipendenti.
Per l’indipendenza economica e la genitorialità condivisa serve uno sforzo corale
Il lavoro da fare in questo come per affrontare altri problemi similmente complessi, è quindi prima di tutto culturale. Come suggerisce Marzia Scuderi, «serve un’azione congiunta tra aziende, scuole, famiglia capace di dare gli strumenti di educazione finanziaria e abbattere tanti stereotipi». «Oggi – nota Giovanna Badalassi – assistiamo a un paradosso: una figlia femmina ha più diffcoltà se decide di lavorare ma ha più libertà perché può scegliere se lavorare o no. Un maschio ha meno difficoltà a entrare e stare nel mercato del lavoro, ma non è di fatto libero di scegliere, perché il messaggio che la società gli manda è: o sei un maschio alpha o sei un fallito». Questo approccio va modificato variando anche la finalità a cui si mira. Secondo Giovanna Badalassi: «preservare il benessere è l’obiettivo su cui ci vorremmo ritarare e non solo quello dei soldi per l’accumulo».
Con la collaborazione scientifica di Università degli Studi di Milano, Fondazione Libellula, H-FARM, MyEdu, Valore D
Partner: Banca Mediolanum, Generali, Jeep, Mundys, WindTre