Un'interprete al lavoro

Molto più di una traduzione: il lavoro dell’interprete

È un mestiere affascinante che offre buone possibilità di impiego. Ma per diventare interprete conoscere le lingue alla perfezione è solo il primo passo. Servono curiosità, disinvoltura e intelligenza emotiva (più potente di quella Artificiale)

Interprete, professionista “invisibile”

C’è un lavoro che per farlo bene è necessario “sparire”, perché l’obiettivo è proprio far dimenticare di esserci. No, non parliamo degli illusionisti, ma di coloro che rendono possibile il dialogo fra persone di lingue diverse e che spesso, nonostante il loro (super) potere, rimangono nascosti: gli interpreti. Qualche volta li vediamo in carne e ossa, a sussurrare all’orecchio di politici stranieri in visita istituzionale o di star in tour promozionale (una specialità che si chiama “chuchotage” o interpretazione sussurrata). Pensiamo all’interprete Olga Fernando, più volte in tv accanto ai Presidenti della Repubblica italiana in viaggi ufficiali all’estero oltre che traduttrice per leader mondiali, dalla regina Elisabetta a Barack Obama. Lei, però, è un’eccezione. Nella maggior parte dei casi, infatti, di questi professionisti sentiamo solo le voci che traducono in tempo reale discorsi di cui altrimenti non capiremmo nulla.

Bisogna essere curiosi di tutto

Sembra magia, ma non lo è. Alle loro spalle ci sono anni di studio, lavoro sul campo e una formazione continua che davvero non finisce mai. «Bisogna essere curiosi di tutto, perché capita di dover tradurre conversazioni sugli argomenti più disparati, ed è necessario conoscere bene il vocabolario di ogni settore» ripetono come un mantra gli interpreti in servizio a Bruxelles, che abbiamo incontrato in occasione del Multilingualism Day 2023, un evento dedicato a chi lavora a supporto della diversità linguistica all’interno dell’Unione europea. Dove le lingue ufficiali sono 24, quante gli Stati membri, e per le traduzioni in 552 combinazioni possibili sono impiegati 270 interpreti e traduttori, oltre a una rete di 1.500 accreditati esterni. Certo, al di fuori delle istituzioni Ue – che, almeno nel nostro continente, rappresentano il posto di lavoro più ambito da chi esercita la professione di interprete o vorrebbe farlo – ci sono settori in cui è possibile specializzarsi, dal giuridico al medico-scientifico passando per il marketing e il commerciale. Tuttavia conoscere più ambiti aumenta esponenzialmente le opportunità di impiego, e questo è determinante soprattutto se si lavora da freelance (come avviene nella maggior parte dei casi).

L’interprete traduce unicamente nella propria lingua

Parlare fluentemente due o più lingue straniere è condizione necessaria ma non sufficiente. «La qualità imprescindibile per fare questo mestiere è padroneggiare alla perfezione la propria lingua d’origine ed essere in grado di districarsi con disinvoltura tra i suoi vari registri e terminologie. Perché è soprattutto con la lingua madre che si lavora» osservano gli interpreti che abbiamo incontrato a Bruxelles. Salvo rari casi (per esempio, se si è bilingui), si traduce unicamente nella propria lingua – non in quella straniera – e per farlo bene bisogna conoscerla al meglio. Non è una cosa da poco. Tra gli interpreti dell’Unione europea, per esempio, ancora aleggia il ricordo del “tonno-gate”, quella volta in cui quasi nessuno di loro riuscì a tradurre dall’inglese “big eye tuna”. In italiano diventò “occhione”, che però non è un tonno ma un’altra specie di pesce. Il “big eye tuna” si chiama invece “tonno obeso”, ma vai a saperlo se non sei Sampei. E allora come ci si comporta in questi casi? «Sul momento si cerca di improvvisare, poi magari ci si corregge e ci si scusa. Di certo non bisogna farsi prendere dal panico» risponde Piergiorgio Ginefra, che a Bruxelles fa l’interprete da quasi 20 anni, traducendo in italiano da 9 lingue, tra cui lo sloveno. «Per avere più chance di lavoro al Parlamento europeo è meglio conoscere almeno uno degli idiomi meno noti» consiglia.

Non solo tecnica, ma anche autocontrollo ed empatia

E se bisogna tradurre qualche espressione imbarazzante o volgare? O un pensiero che proprio non si condivide? «Per sfogarsi ognuno ha una sua strategia, la mia è muovere velocemente la gamba dentro la cabina, anche se dalla cuffia chiaramente non deve trapelare nulla. Se però tra gli interlocutori volano parole grosse, allora si può aggiungere un “dice testualmente l’oratore”, così da prendere le distanze e far capire che non siamo noi ad aver usato certe espressioni».

Oltre alle competenze tecniche, insomma, bisogna tenere allenate anche una serie di doti personali, tra cui l’autocontrollo e l’empatia. «Bisogna essere un po’ istrionici e imparare a gestire lo stress e la pressione» continua Piergiorgio Ginefra. «Ed è fondamentale saper usare la voce nel modo giusto, per non annoiare chi ascolta. Molti colleghi frequentano corsi di dizione o di teatro: non è una formazione necessaria, però aiuta».

L’Intelligenza Artificiale? Non è una minaccia

Anche per questo, secondo lui, nella professione di interprete il fattore umano è fondamentale e l’Intelligenza Artificiale non costituisce una minaccia, almeno per ora. «Noi non ci limitiamo a tradurre parole, trasferiamo anche enfasi e intonazione, elementi che sono alla base di ogni comunicazione non verbale e che la macchina non può riprodurre». Su questo punto a Bruxelles sono tutti concordi: l’Intelligenza Artificiale è uno strumento sempre più valido a supporto di interpreti e traduttori, ma non andrà a sostituire nessuno. «Parlare un’altra lingua è innanzitutto una questione di accuratezza e intelligenza emotiva, non di certo Artificiale» afferma convinto Valter Mavric, sloveno, direttore generale del reparto Traduzione al Parlamento (e naturalmente lo dice in un italiano splendido). «Per questo io consiglio di studiare le lingue a tutti, non solo a chi vuol lavorare in questo settore: apprendere idiomi diversi migliora le capacità cognitive, allena il cervello e apre la mente. Ma soprattutto crea coesione tra culture differenti, cosa di cui mai come in questo momento abbiamo un grande bisogno».

Il percorso di studi per diventare interprete

Per diventare interprete si può conseguire la laurea triennale in Mediazione Linguistica e poi la magistrale in Traduzione e interpretariato, oppure la Laurea in Lingue e Letterature straniere, seguita da un corso di specializzazione in interpretazione. Dopo la specializzazione non ci sono albi a cui iscriversi, ma alcune associazioni come AITI, l’Associazione italiana interpreti e traduttori (aiti.org), forniscono supporto agli iscritti, tutelando l’aspetto deontologico della professione. E propongono corsi e webinar.

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