Una ragazza controlla i suoi social sullo smartphone, prima del colloquio con il recruiter

Se cerchi lavoro, attenta ai (tuoi) social!

I recruiter - lo mostra una nuova ricerca - sempre più spesso controllano i profili social di un candidato e, se i suoi post non li convincono, scartano il curriculum. Ma qui gli esperti spiegano come gestire bene i social per farsi assumere

Quando ci si candida per un posto di lavoro si pensa a scrivere bene il curriculum e ci si prepara per il colloquio con i recruiter, ma oggi serve anche grande cura nella gestione dei propri social. Il motivo? Cresce il peso del “social recruiting”: sempre più selezionatori del personale vanno a scandagliare i tuoi post sparsi tra i vari social network e, sulla base di quanto vedono, fanno pendere l’ago della bilancia pro o contro la tua candidatura.

La metà dei candidati è scartata a causa dei post sui social

Una recente indagine di The Adecco Group, condotta su un campione di circa 500 recruiter, ha infatti evidenziato il ruolo cruciale dei social media nel processo di reclutamento odierno, al punto che il 51% dei selezionatori dichiara di essere stato influenzato negativamente durante il processo di recruiting dopo aver controllato il profilo social di un candidato. Un dato in crescita notevole rispetto a 10 anni fa, quando pesava solo per il 12% dei recruiter, ma anche rispetto al 2021, quando si attestava intorno al 30%. I recruiter intervistati dichiarano che, una volta ricevuto un curriculum ritenuto interessante, vanno ad analizzare la presenza online del candidato su due fronti: verificano per il 65% dei casi l’esperienza professionale e per il 47% quanto viene postato.

I recruiter controllano foto e contenuti sui social

Ma quali sono i contenuti “killer di candidature”? Il 37% degli intervistati dichiara che la causa è stata la presenza di foto ritenute inappropriate, per il 27% alcuni tratti di personalità visibili dai contenuti pubblicati, e per il 17% manifestazioni esplicite discriminatorie di natura sessuale e/o razziale nelle interazioni dei candidati. «L’utilizzo dei social media da parte dei candidati influenza sempre più le decisioni di reclutamento» afferma Lidia Molinari, People Advisor Director di Adecco Italia.

«I dati ci dimostrano che il “Social screening” è uno strumento decisivo nel processo di selezione per oltre la metà dei recruiter, che sfruttano i social media non solo per la ricerca dei talenti, ma anche per la verifica dei candidati. Per questo consigliamo a chiunque sia alla ricerca di una opportunità lavorativa, lo sviluppo di un personal branding sui social che tenga conto della selezione dei contenuti prima che essi vengano pubblicati e di porre attenzione alle modalità di interazione in rete».

La nostra immagine sui social deve essere coerente con il nostro lavoro

Concretamente, quindi, come porsi di fronte al social recruiting il cui impatto può essere sottostimato o, all’opposto, creare ansia? «Bisogna capire che tipo di immagine vogliamo dare e quale figura impersonare nella nostra ricerca di lavoro» dice la career mentor e content creator Fabiana Andreani, che si definisce “specialista in orientamento e lavoro per under 35. Quella che ti parlo di CV e colloqui su TikTok”. «Eviterei le bigotterie a priori: se, per esempio, faccio il personal trainer, non dovrebbero esserci problemi se mi mostro a petto nudo con i tatuaggi e in pose epiche. Le medesime immagini possono non essere funzionali in altri contesti. Teniamo però conto del fatto che ciò che online è pubblico, ma sui social ci sono anche strumenti di gestione della privacy, sta a noi usarli».

Certo è che il confine tra vita professionale e privata in qualche caso può risultare scivoloso: «Se posto contenuti che non sono in linea con i valori proclamati dall’azienda per la quale mi candido, può essere che io non venga accettata. L’affermazione che si sente spesso “io online sono una persona, non un dipendente” implica un equilibrio delicato». I piani, personale e professionale, spesso infatti si intersecano, per esempio se ci si mostra in contesti privati in qualche modo però in connessione con il nostro lavoro.

I consigli per usare bene Linkedin (e non solo)

I canali social possono essere strumenti di lavoro e diventare una vetrina delle proprie skills: «Se mi occupo di marketing e sono su Instagram e TikTok, posso dimostrare che per me sono una fonte di valore e conosco bene le loro dinamiche» spiega Fabiana Andreani. Non stupisce però che, tra i canali social maggiormente impiegati per la ricerca di candidati, LinkedIn si confermi al primo posto: lo utilizzano il 96% dei recruiter.

E proprio consigli sulla gestione di LinkedIn li offre Luca Maniscalco, esperto di marketing, digital & social media consultant e autore di Afferma il tuo brand con LinkedIn e Il lavoro che c’è (entrambi Flaccovio editore): «LinkedIn è cambiato molto negli anni: nato come social network dei curricula, adesso funziona molto bene anche come networking per il business, per trovare magari partner o fornitori. All’inizio erano presenti soprattutto figure di middle management, ora anche junior e top management. Consiglio ai giovani fin dai 20 anni di avere un profilo su LinkedIn e di seguire i professionisti che hanno 5-6 anni più di loro, perché possono essere fonte di informazioni preziose»., Un elemento interessante che emerge dalla ricerca di The Adecco Group è che il 60% dei recruiter consulta LinkedIn alla ricerca di candidati passivi, cioè quei professionisti che non stanno cercando lavoro attivamente e che non si aspettano di ricevere una proposta. «Per questo è importante avere un piano editoriale che mantenga viva la propria visibilità su LinkedIn e permetta ai recruiter di arrivare facilmente al nostro profilo» aggiunge Luca Maniscalco.

Anche i recruiter devono gestire bene i social network

A proposito di recruiter, Fabiana Andreani ricorda che «a occuparsi di selezione sono persone di solito giovani e loro stesse utilizzano molto i social». Luca Maniscalco chiude con un consiglio proprio per i recruiter, perché è giusto scartare candidati che non convincono, «ma bisogna ricordare anche che ogni social ha un proprio registro espressivo e un post su TikTok non ha lo stesso tono di uno su LinkedIn. Il rischio, altrimenti, è quello di farsi scappare dei talenti». E in quest’epoca di “talent shortage”, nessuno può permetterselo.

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