È una bella giornata di primavera e Annamaria Mancuso, 65 anni, ha tanti motivi per essere felice: è al parco con la nipotina di un anno e mezzo e una proposta di legge per la quale ha combattuto a lungo insieme a tante associazioni di malati potrebbe presto rafforzare le tutele sul lavoro per chi ha una grave malattia.
Più tutele sul lavoro per chi combatte una malattia
Mentre parliamo, ricorda quando suo figlio aveva all’incirca la stessa età della bimba e lei, a 32 anni, si ammalò per la prima volta di tumore. «Non pensavo che lo avrei visto crescere e invece l’ho visto laurearsi, sposarsi, diventare papà…». Un anno dopo la scoperta della malattia, Annamaria fonda Salute Donna ODV (salutedonnaonlus.it) che ora ha 23 sedi in tutta Italia. Il tumore è poi tornato, per ben due volte, ma lei ha continuato a battersi per il riconoscimento dei diritti e della dignità, anche professionale, di tanti pazienti. Le attività di advocacy del gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, a cui aderiscono circa 50 associazioni e di cui lei è coordinatrice, stanno dando frutti. È infatti stata approvata alla Camera – e si spera a breve anche in Senato – la proposta di legge per offrire maggiore sicurezza e stabilità professionale a chi è affetto da patologie oncologiche o invalidanti o croniche.
Con questa legge il periodo di assenza e i permessi per curarsi aumenteranno
«Il periodo di comporto – quello durante il quale un lavoratore assente per malattia o infortunio non può essere licenziato – ora è di 6 mesi: diventerebbe di 2 anni, anche se saranno retribuiti solo i primi 6» spiega Annamaria Mancuso. «Sarà anche previsto un incremento di 10 ore di permessi retribuiti per quanti sono soggetti a visite ed esami ravvicinati: si passerà quindi dalle 18 attuali annue a 28. Poter seguire le cure per tutto il tempo necessario senza il rischio di perdere il lavoro è una conquista di civiltà che, secondo vari studi, coinvolge nel nostro Paese circa 4 milioni di persone: tanti sono i lavoratori con tumore o patologie croniche. Io adesso sono in pensione, ma quando lavoravo ho mantenuto il posto perché, anche se stavo male, dopo 6 mesi rientravo per un po’, poi riprendevo le cure».
Per i malati il lavoro è una salvezza dal punto di vista economico e psicologico
Lo conferma con la sua esperienza, Chiara, 45 anni, volontaria di Salute Donna ODV a Forlì: «A 31 anni, nel pieno sviluppo della mia carriera, mi è stato diagnosticato un tumore al seno. Ora lavoro in smart working e sono senza evidenza di malattia, ma continuo a fare cicli di cure. L’approvazione della legge che concede più ore di permesso sarebbe un gran beneficio per me. Per noi malati il lavoro è una salvezza sia dal punto di vista economico sia per la nostra testa: ti distrae, ti fa sentire al pari degli altri e preziosa per la società. Una mia amica assunta in una grossa azienda, alcuni mesi dopo la diagnosi di tumore, ha chiesto la pensione anticipata: con la malattia l’avevano demansionata e lei non ce l’ha fatta a stare in un posto dove si sentiva inutile. A fare la differenza spesso è anche la sensibilità del datore di lavoro».
Non è facile dover dire sul lavoro che si è malati
Sulla valenza psicologica del poter mantenere il proprio impiego quando si è malati concorda Nicoletta Cerana, presidente nazionale di ACTO Italia, Alleanza contro il Tumore Ovarico, associazione che fa parte del gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” e che dal 2010 si occupa del tumore ovarico e di tutti quelli ginecologici, anche di cervice, endometrio, vulva e vagina, «di cui purtroppo si parla ancora molto poco» avverte. E aggiunge: «Siamo riuscite a conquistare i nostri spazi nel mondo professionale, questa legge è un rafforzamento della tutela del malato oncologico e una riaffermazione dell’importanza del lavoro per le donne. L’allungamento dei tempi di comporto è un adeguamento ai progressi della medicina, perché oggi si convive più a lungo che in passato con la malattia. Dovrebbero allinearsi anche la legislazione del lavoro e il contesto culturale. Perché non è un momento facile quello in cui devi dire: “Sono malato”».
Tanti lavoratori a causa della malattia finiscono con il licenziarsi
Il rischio di stigma che si corre nell’esporre la propria fragilità è ben sintetizzato da Antonella Celano, presidente nazionale di APMARR Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare APS ETS, una delle associazioni promotrici della proposta di legge: «Tempo fa abbiamo effettuato un sondaggio su malattie reumatologiche e mondo del lavoro. Molti hanno ammesso di non aver detto al capo o ai colleghi di avere una patologia cronica. C’è chi tace e c’è chi non fa mai un’assenza ed esegue persino compiti eccessivi per la sua condizione, per esempio sollevare pesi. Il motivo? Si teme di subire mobbing o di non fare carriera. Il problema si pone soprattutto nel settore privato, certo è che tante persone finiscono con il non avere scelta e si licenziano». La legge porterebbe l’Italia a essere d’esempio ad altri Paesi: «A marzo ho partecipato a un convegno della Società europea di ginecologia oncologica dove si è affrontato il tema del lavoro» spiega Nicoletta Cerana «e posso dire che le nostre norme sono tra le più avanzate in Europa».
Oltre a questa legge servono supporti anche ai caregiver che si occupano dei malati oncologici
Certo, la strada è ancora lunga, ammette Annamaria Mancuso: «Bisognerà poi arrivare ad avere retribuiti tutti e 24 i mesi del periodo di comporto e serviranno più tutele anche per i caregiver di malati oncologici. Io stessa ne ho sperimentato le difficoltà assistendo mio fratello, malato anche lui di tumore, fino purtroppo alla sua scomparsa».
Per una libera professionista il tumore è un dramma anche economico
C’è poi chi solleva un altro tema importante. Il 9 aprile a Roma si è svolta una tavola rotonda dal titolo Come la tossicità economica influenza la qualità della vita nelle donne con tumore al seno, organizzata in occasione del decennale di Women for Women against Violence dalla presidente dell’associazione Consorzio Umanitas Donatella Gimigliano. «Ogni anno in Italia muoiono per tumore al seno 12.000 donne» ricorda Donatella Gimigliano. «Io, come succede a molte altre, in particolare libere professioniste, per 12 anni ho vissuto una doppia violenza: quella del cancro al seno che ha colpito me e i miei familiari e quella della tossicità economica. La mia vita professionale si è fermata, mi sono ritrovata in una situazione debitoria grave e ho anche subito uno sfratto esecutivo. Lo Stato, che avrebbe dovuto proteggermi, non mi ha dato respiro. È tempo di curare la malattia, ma anche le condizioni che la rendono più insidiosa».
Sostieni così la ricerca contro il cancro
Domenica 11 maggio, in occasione della Festa della Mamma, in tante piazze d’Italia potrai acquistare l’Azalea della Ricerca di Fondazione AIRC per sostenere i ricercatori impegnati a trovare diagnosi sempre più precoci e terapie più efficaci per i tumori che colpiscono le donne. Per sapere dove ti aspetta l’Azalea della Ricerca, basta consultare il sito airc.it.