Che la malva (Malva sylvestris) fosse una pianta officinale, da bambina, mi era sconosciuto. Allora andavo per campi con nonna (quella nonna con la quale persi i contatti a soli 5 anni, quindi ero davvero piccina e i ricordi possono esser un po’ romanzati dalla mia memoria…) raccogliendo cicorie e tarassaco da spadellare, ma anche camomilla e malva da essiccare per le tisane dell’inverno. Questa era una pratica di uso comune tra le donne di campagna che “hanno fatto la guerra”: cibo e cure di sussistenza in quei tempi bui erano serviti a tutti, anche se poi velocemente dimenticati proprio perché legati a ricordi da dimenticare…
Un ricordo di me bambina

Io, che vedevo tutto per la prima volta, ero affascinata dal fiore azzurro cielo della cicoria, dai “palloncini” effimeri del tarassaco, dal profumo inconfondibile della camomilla e dalle corolle fiabesche della malva, che poi mi piaceva disegnare e colorare con una tonalità sempre troppo accesa (i pennarelli non avevano quella sfumatura così precisa e molto fredda tra rosa e blu).
Tra tutti i fiori di campo, la malva vista da vicino mi sembrava quasi una specie tropicale, molto diversa dagli altri: scoprii solo dopo (quasi 50 anni dopo!) che la mia intuizione era in parte vera: lei appartiene alla stessa grande famiglia degli ibiscus, le Malvaceae appunto.
Malva: una ospite facile in ogni giardino

Quando sono arrivata al Giardino Felice, forse a causa delle erbe alte più di me e di una situazione di abbandono decennale, la malva proprio non si faceva vedere (o forse ero io a non vederla, perché offuscata da tutto quel daffare). Mi accorgevo che l’habitat era “il suo”, perché la osservavo fiorire un po’ ovunque, anche sui bordi della strada in quell’interregno selvatico tra asfalto e terra battuta che mediamente, se sei nato pianta, è un luogo ostile.
Ma mano a mano che le mie terrazze venivano in parte ripulite, lei iniziò ad affacciarsi per non lasciarmi più.

La malva cresce bene in habitat piuttosto diversi, ma dà il meglio di sé nei prati di campagna poco sfalciati, molto assolati ed aridi, dove da giugno in poi è difficile vedere fioriture così accese ed appariscenti come la sua.
Io la consiglio per bordure di fiori misti -di ispirazione inglese ma molto mediterranei, cioè a scarso bisogno idrico- insieme ad altre corolle belle e autosufficienti come achillea, fiordaliso, calendula e nigella.

Può esser coltivata con successo anche in vaso, partendo da seme, annaffiandola di tanto in tanto (senza esagerare, si potrebbe altrimenti ammalare). Se decidete di ospitarla in contenitore, ricordatevi che può raggiungere anche il metro di altezza: le sue corolle portate su steli sottilissimi ed eleganti rallegreranno il vostro terrazzo per mesi (anche se già a primavera le sue foglie lobate simili a piccoli ventagli sono un gran bel vedere).
Per questa facilità di coltivazione, ma anche per le altre sue interessantissime proprietà, può senza dubbio esser inserita tra le botaniche-simbolo del giardino del futuro.
Giardino del futuro: che cos’è?

Il giardino del futuro, che può esser anche un terrazzo, un balcone…e che dovrebbe già far parte del nostro presente, è una idea di progettazione “consapevole”. Prevede l’utilizzo di piante giuste per il luogo: “right plant, right place”, il motto della paesaggista inglese Beth Chatto dovrebbe entrare nelle nostre teste come un mantra.
Ma come si fa? Scegliendo botaniche in grado di autogestirsi (o quasi, se in vaso non sarà mai possibile al 100%) nei propri bisogni idrici, nutritivi e riproduttivi (si, alcune piante fanno tutto da sole, riseminandosi o allargando la famiglia in altri modi: se l’ambiente è ospitale, vi dimostreranno la loro gioia moltiplicandosi ovunque).

Per me il giardino del futuro va molto oltre questa prima considerazione “buona e giusta” e ormai accettata dai più. Io lo considero anche un luogo dove poter crescere il proprio cibo, coltivare erbe officinali per poter curare piccoli malanni, botaniche per poter tingere o intrecciare. Insomma, uno spazio -piccolo o grande- che sia anche funzionale oltre che molto bello.
Ecco, la malva potrebbe diventare la pianta simbolo di questo ipotetico giardino: se ne mangiano foglie e fiori, la si usa largamente in erboristeria, la si coltiva con semplicità estrema e…è in grado di portare bellezza ovunque, anche tra le crepe di un muro, adattandosi pure alla vita “grama” di città.
Pillola verde: perché seminare?

La malva -anche dal punto di vista riproduttivo- fa tutto da sola. I suoi semi hanno un’alta capacità germinativa e molto spesso si risemina da sola nell’orto giardino, divenendo addirittura invasiva. Se però la coltivate in vaso, meglio riseminarla ogni anno ad inizio primavera: nonostante non sia una botanica annuale, la sua vita è comunque molto breve.
Curiosità: bella, buona e che fa bene

Poche erbe spontanee sono altrettanto utilizzate nella medicina popolare come la malva, o meglio, poche lo sono ancora, perché per molte botaniche si è persa sia l’abitudine che la facilità di reperirle in campo.
In erboristeria e nelle “cure tradizionali” della malva si utilizzano foglie e fiori. Il modo più pratico (e casalingo) per beneficiare delle sue proprietà è l’infuso. Sebbene la sua azione più conosciuta sia quella emolliente, ha pure proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e di aiuto all’apparato gastrointestinale.

Io aggiungo i suoi petali alle insalate estive per dare un tocco in più di colore, mentre in primavera spadello le foglie insieme ad altre specie selvatiche. E se voglio decorare la tavola sotto al solleone… preparo decine di micro-bouquet unendo le sue corolle alle spighe che in questo momento dell’anno sono già color dell’oro.