«L’adolescenza non è un’emergenza, ma una responsabilità collettiva». Non è una semplice frase scaturita dagli ultimi, sconvolgenti casi di cronaca, ma una presa di posizione politica, per aprire un dibattito che non può più essere rimandato. Nasce con questo spirito la Giornata nazionale dell’ascolto dei minori, istituita con una legge del 2024 e celebrata per la prima volta lo scorso 9 aprile. Per l’occasione, l’Istituto Demopolis ha presentato uno studio sulla diffusione dei crimini violenti minorili, che hanno segnato un aumento nel post-Covid.
Adolescenti e violenza: i dati
Che la pandemia abbia fatto da volano al disagio adolescenziale lo confermano anche i dati ministeriali, delle questure, delle forze di polizia: dal 2019 al 2023, tra i 14 e i 17 anni, sono aumentate del 40%-50% rapine per strada, lesioni e percosse, risse e violenze di gruppo. Non solo. Secondo Save the Children, il 52% degli adolescenti in coppia ha subito almeno una volta comportamenti violenti da parte del partner. E Fondazione Libellula rivela che il 40% dei ragazzi dai 14 ai 19 anni ritiene accettabile una reazione violenta dopo un tradimento o un abbandono. In conclusione, un adolescente su 5 ha “normalizzato” comportamenti abusanti o violenti nella sua quotidianità.
Reati commessi dai minori: quali i più frequenti?
I fronti aperti sono tanti: la violenza minorile, la violenza di genere, il dilagante fenomeno delle baby gang. E sono legati a fattori di rischio correlati come il consumo di alcol e droghe, l’abbandono scolastico e la bassa scolarizzazione, il disagio socio-economico, i social media che fanno da cassa di risonanza nella diffusione di odio, aggressività e modelli tossici. «Dopo la pandemia tra i minori sono aumentati soprattutto reati violenti come rapine, lesioni e risse» conferma Alfio Maggiolini, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano, professore di Psicologia dell’adolescenza all’Università Bicocca e autore del saggio Non solo baby gang. I comportamenti violenti di gruppo in adolescenza (FrancoAngeli). «I più frequenti sono i reati appropriativi, in cui l’obiettivo è sottrarre soldi e oggetti a chi viene considerato più fortunato».
La rabbia degli adolescenti
Continua, dunque, l’allarme Gen Z, ma le preoccupazioni degli addetti ai lavori dilagano anche nella generazione successiva, la Alpha, quella degli attuali 12enni, agli albori dell’adolescenza. Da cosa deriva tanta rabbia? Da sempre l’adolescenza è un periodo delicatissimo, in cui la risposta ribelle è anche un modo per imporre la propria personalità in fieri. Ma, secondo gli studi di settore, oggi queste emozioni sono amplificate quando in famiglia non si impara a identificare e a gestire le emozioni, le frustrazioni, i fallimenti; quando non ci si sente accettati dal gruppo; quando si avverte troppo la competizione sociale o da social media. Quando i genitori sono distratti o, al contrario, impongono troppe regole; quando si subiscono traumi che non vengono elaborati; quando si ha la sensazione di non riuscire a immaginare un futuro di realizzazione personale.
Adolescenti violenti e il ruolo della famiglia
E diventa sempre più difficile per gli adulti intercettare rabbia e disagio, soprattutto quando si tratta di ascoltare quello che gli adolescenti non dicono. «Bisogna creare spazi di ascolto e di dialogo» afferma Virginia Suigo, psicologa e psicoterapeuta per i servizi per la giustizia minorile in Lombardia e autrice del saggio Figli violenti. Parental abuse in adolescenza: valutazione e intervento (FrancoAngeli). «Ci domandiamo perché sono così fragili, spaventati. Perché si isolano o, al contrario, vivono relazioni possessive. Perché rifiutano le regole e scaricano l’aggressività sugli altri.
La risposta è che spesso, come genitori o educatori, mandiamo messaggi contraddittori o fuorvianti. Da un lato, alimentiamo la paura e la diffidenza nei confronti degli altri: l’emergenza sicurezza può innescare nei giovani un circolo vizioso che li porta a pensare di doversi difendere da soli, perché la giustizia non riesce a farlo. Dall’altro, non siamo capaci di allenarli alle delusioni, alle sconfitte come tappe della crescita. Serve aprire un canale di comunicazione non giudicante ma di supporto. Molti adolescenti mi confessano: “Non ho detto niente ai miei per non farli preoccupare”».
Violenza e aggressività, un grido di aiuto
L’aspetto su cui gli esperti concordano è il ribaltamento di prospettiva: non bisogna solo demonizzare o punire, perché violenza e aggressività sono, a tutti gli effetti, il grido d’aiuto di almeno due generazioni che fanno fatica a rifiutare le dinamiche tossiche dell’emarginazione, della sopraffazione, dell’odio da cui sono circondate. Che hanno difficoltà a costruire, invece di distruggere. Non a caso, uno dei fattori di rischio correlati all’aumento della violenza minorile è l’abbandono scolastico, che in Italia è tra i più preoccupanti d’Europa: quasi il 13% (con picchi significativi come il 23% della Sicilia). «Lo vedo nei miei studenti: non hanno più voglia di andare a scuola, la ritengono una perdita di tempo, perché la vivono scollegata dal mondo reale» conferma Giuseppe Nibali, docente di lettere e autore del libro Una cosa che non parla. Intellettuali e studenti contro la scuola (San Paolo).
Il ruolo della scuola di fronte al disagio
«Gli adolescenti fanno fatica a coltivare un sogno, non a caso come esergo del libro ho scelto la frase di Andrej Tarkovskij: “Bisogna riempire gli orecchi e gli occhi di cose che siano all’inizio di un grande sogno. Bisogna alimentare il desiderio”. Senza uno scopo, è facile cadere nel disagio. La scuola pubblica delle aule sovraffollate e dei docenti frustrati è in pieno burnout. Non riesce più a essere quel laboratorio sociale che forma nuove generazioni di esseri pensanti, oltre che di alunni competenti. Bisogna colmare la frattura col mondo fuori. Serve una scuola che sia davvero “pubblica”, dove siano possibili un dialogo aperto con i docenti, senza il terrore dei voti, e una reale educazione alle relazioni, perché oggi tanti giovanissimi non hanno gli strumenti pratici ed emotivi per affrontare il rapporto con l’altro sesso. Una scuola dove ci sia una reale integrazione di tutte le diversità, anche perché gli studenti di seconda generazione spesso provengono da culture molto diverse dalla nostra».
Adolescenti violenti: le gang di maranza
Uno tra i fenomeni più preoccupanti riguarda la violenza di gruppo. I dati denunciano un aumento esponenziale delle baby gang nel periodo 2019-2023. Il ministero dell’Interno ne ha fatto una mappatura: sono composte da circa 7-10 giovanissimi, tra i 15 e i 17 anni, e compiono azioni violente come aggressioni, lesioni, atti di bullismo, spesso contro coetanei. Sono soprattutto maschili e un fattore significativo è la nazionalità straniera, con una prevalenza di giovani del Nord Africa e del Sud America, di seconda generazione o minori non accompagnati.
«Le bande giovanili ci sono sempre state» precisa Maggiolini «ma oggi hanno una connotazione più precisa: si usa anche il termine “gang di maranza” per descrivere gruppi poco strutturati, che di solito provocano risse in strada, commettono furti e rapine, praticano il cosiddetto “scavallo”, cioè prendono di mira coetanei più fortunati di loro, nei luoghi della movida, rubando soldi ma soprattutto oggetti considerati status symbol». Una recente risposta legislativa, in seguito a gravissimi episodi di violenza minorile in Campania, è stata il Decreto Caivano del 2023, in cui si introducono aumenti delle pene e il Daspo urbano per i giovani che delinquono. E c’è una proposta di legge per abbassare l’età imputabile dai 14 ai 12 anni, su cui il Garante per l’infanzia e l’adolescenza ha espresso parere negativo.
Educazione alla non violenza
«Sono contraria all’inasprimento delle pene» dice Virginia Suigo. «Bisogna invece incrementare la rete dei servizi sociali e sanitari sul territorio, attualmente oberati di richieste e quasi al collasso. Il disagio sempre più spesso nasce dalle disuguaglianze e dall’emarginazione, quindi occorre agire con gli insegnanti e gli psicologi scolastici fin dalla prima infanzia; con supporti specialistici come i consultori familiari; con gli educatori di strada, assistenti sociali previsti in tutti i Comuni che cercano di intercettare il disagio nei luoghi di aggregazione. E in un’epoca in cui le famiglie spesso sono disfunzionali oppure inadeguate perché oggettivamente in difficoltà, l’ambiente scolastico torna il luogo principe per educare alla non violenza». Aggiunge il professor Nibali:
«Il primo giorno chiedo agli alunni di scrivere su un foglio quello che vorrebbero dalla scuola. Loro sono combattenti, anche se hanno un’ala sola. Se noi adulti entriamo in una dialettica di lotta e di giudizio, li perderemo. Se li facciamo allontanare dai loro sogni, dal desiderio di migliorarsi produrremo solo degli infelici che andranno a fare lavori malpagati e sfruttati. O si ispireranno ai modelli tossici che dilagano sui social, dove si proclama che si può diventare ricchi e famosi senza avere alcun talento. Servono nuovi “maestri”, che devono accompagnarli con l’esempio, fargli amare la conoscenza come strumento per diventare liberi. Per tornare a credere in un futuro in cui potranno realizzare i loro sogni». È nei momenti di crisi che si cresce, anche come società.
Adolescenti violenti: tre libri per approfondire
1. Non solo baby gang di Alfio Maggiolini (FrancoAngeli)

2. Una cosa che non parla di Giuseppe Nibali (San Paolo)

3. Figli violenti di Virginia Suigo (FrancoAngeli)
