Contrordine: attendere qualche secondo, avere un “ritardo nella reazione” non rappresenta un buon motivo per essere assolto dall’accusa di violenza nei confronti di una donna. È la conseguenza della sentenza con cui la Cassazione ha annullato le due precedenti assoluzioni nei confronti di un sindacalista, accusato da una hostess di violenza nei suoi confronti.
Ritardo giustificato
Secondo quanto scrivono i giudici il “ritardo” (di 20-30 secondi) “nella manifestazione del dissenso” è “irrilevante” ai “fini della configurazione della violenza sessuale”, come si legge nelle motivazioni con le quali i giudici hanno disposto un processo d’Appello-bis. “La giurisprudenza è netta” – spiegano ancora i togati – perché la “sorpresa” di fronte all’abuso “può essere tale da superare” la “contraria volontà”. La conseguenza, quindi, può essere l’“impossibilità di difendersi” da parte della vittima. Si apre così un nuovo capitolo dell’annosa questione.
Il caso
Il caso è molto delicato perché riguarda l’altrettanto delicato confine tra la volontà di una persona e il tempo di reazione di fronte a un gesto che si configurerebbe come un abuso. Fin da subito, infatti, ci si era chiesti se reagire in ritardo di fronte a una molestia potesse valere come un consenso. Stando all’esito del processo che ha visto coinvolto un sindacalista, pareva proprio che fosse così. La vicenda risale a qualche tempo fa: lo scorso febbraio, dopo l’assoluzione in primo e secondo grado, i giudici d’Appello della Lombardia, dove si è verificato il caso, avevano depositato le motivazioni con cui era stato assolto in secondo grado un uomo accusato da una hostess di violenza sessuale. Motivo: per venti secondi la donna che lo ha denunciato non ha opposto il suo rifiuto.
Depositate le motivazioni
Stando alle carte, sembrava che l‘imputato non avesse «adoperato alcuna forma di violenza – ancorché si sia trattato, effettivamente, di toccamenti repentini – tale da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta. Condotta che «non ha (senz’altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale» di «20-30 secondi», che «le avrebbe consentito anche di potersi dileguare», come affermava la difesa.
Per i giudici mancano i requisiti della violenza
Il processo, giunto al secondo grado di giudizio, è però proseguito in Cassazione, che ora ha disposto un Appello bis. Intanto, però, pesavano le motivazioni della Corte che, nelle cinque pagine di motivazioni spiegava che mancavano «i requisiti della «violenza, minaccia o abuso di autorità» per configurare il reato di violenza sessuale e che «la qualifica e il ruolo rivestito dall’imputato non comportavano, in concreto, alcuna supremazia» nei confronti della donna. Secondo i giudici di secondo grado non poteva sussistere «l’ipotesi di atti sessuali repentini aventi rilevanza penale», anche perché la presunta vittima «ha precisato come “i toccamenti e i baci (…) siano poi stati protratti per un tempo di circa trenta secondi, in cui ella aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti”».
La denuncia in Lombardia
La vicenda riguarda un ex sindacalista della Cisl che all’epoca dei fatti era in servizio a Malpensa. Nel 2018 una donna – una hostess – lo ha accusato di violenza sessuale. In precedenza lo aveva contattato per chiedere il suo aiuto e supporto riguardo ad una vertenza sindacale. Secondo la sua denuncia, però, il loro incontro sarebbe sfociato in una denuncia per violenza sessuale dopo che lui se si sarebbe avvicinato tentando un approccio con baci, toccamenti e sfioramenti, fino a che lei non se ne era andata. Lasciando passare, però, troppi secondi.
Violenza, la decisione dei giudici
I giudici di Milano avevano di fatto confermato la sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Busto Arsizio (Varese) nel 2022. Dopo il verdetto di assoluzione, infatti, all’epoca il presidente del collegio giudicante aveva chiarito che «La vittima è stata creduta». Ma aveva anche spiegato che quanto denunciato dalla hostess non era stato provato nel corso del dibattimento. La Corte d’Appello di Milano aveva rigettato il ricorso presentato dalla Procura e dalla responsabile dell’Associazione Differenza Donna, Maria Teresa Manente, intervenuta in difesa della hostess.
Annunciato il ricorso in Cassazione
«Faremo ricorso in Cassazione, perché questa sentenza ci riporta indietro di 30 anni e rinnega tutta la giurisprudenza che da oltre dieci anni afferma che un atto sessuale, compiuto in maniera repentina, subdola, improvvisa senza accertarsi del consenso della donna è reato di violenza sessuale e come tale va giudicato», aveva detto Manente dopo la sentenza.
Nessuna paura o timore di manifestarla?
Un altro passaggio che veniva contestato nelle motivazioni dei giudici di Appello riguardava la paura (o meno) che la presunta vittima avrebbe avuto nei confronti del sindacalista. Per i giudici, infatti, la donna non sarebbe stata in soggezione (nelle carte si parla di “stato di ‘timore’) indotta «dalla corporatura massiccia dell’imputato», dal momento che la corte avrebbe «agio di constatare che trattasi di individuo di stazza assolutamente normale». Nessun timore, per i giudici, sarebbe nato neppure all’idea di non poter contare sul supporto sindacale dell’uomo a cui la vittima si era rivolta per un problema di lavoro.
Violenza, “Senza consenso, è uno stupro”
Secondo la legale, «questa vicenda giudiziaria evidenzia ancora una volta l’urgenza di una riforma della norma prevista dall’articolo 609 bis del Codice Penale, che definisca in maniera chiara che il reato di stupro è qualsiasi atto sessuale compiuto senza il consenso della donna (il cui dissenso è sempre presunto) così come previsto dalla Convenzione di Istanbul». La legale aveva spiegato che per i giudici di secondo grado quei 20 secondi di passività sarebbero bastati «a non dare prova del dissenso della hostess. L’attuale legge, unitamente ad una giurisprudenza non specializzata, favorisce la vittimizzazione secondaria delle donne che denunciano e ciò è inaccettabile».