Indagini riaperte dopo 18 anni, nuovi rilievi, nuove ricerche (e scoperte) di possibili armi del delitto, ma anche testimonianze e sms che spuntano. Il caso di Garlasco è balzato al centro delle attenzioni per questo e non solo. C’è chi parla di “caso da manuale”, per confermare come la cronaca a volte possa riservare svolte improvvise, ma restano molti interrogativi: come è possibile riaprire un fascicolo dopo 18 anni e con una condanna definitiva, come quella a carico di Alberto Stasi per la morte di Chiara Poggi?
Tanti (troppi?) interrogativi sul caso Garlasco
Le domande, però, non si fermano qui. Come mai sono saltati fuori solo oggi alcuni nuovi elementi? Merito delle nuove tecniche di indagine o di sviste avvenute all’epoca delle prime indagini, nell’agosto del 2007? E come mai solo ora arrivano nuove testimonianze o possibili “indizi”, come gli sms che chiamano in causa, ad esempio, le cugine della ragazza uccisa nella casa di Garlasco, dove viveva con la famiglia?
Nuove speranze per Stasi
Certamente per Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di carcere, si tratta di una svolta tanto che il suo legale non ha nascosto un auspicio: «Oggi è una tappa importante ma ce ne saranno altre, anche d’indagine. Noi vogliamo osservare questa inchiesta ancora per molto tempo. L’ipotesi di una revisione in caso di novità per noi è al momento in secondo piano», ha commentato l’avvocato Antonio De Rensis, in Procura a Pavia, nel giorno dell’incidente probatorio che ha avviato la maxi consulenza genetica sulle tracce di materiale biologico trovato sulle unghie di Chiara Poggi. Quelle tracce sono ora da confrontare con il Dna di Andrea Sempio, l’amico del fratello della giovane, adesso indagato per omicidio in concorso.
La svolta sul caso Garlasco dopo 18 anni
I colpi di scena nel caso non si fermano qui, però. Mentre l’avvocato De Renzis parla di «grande determinazione» da parte degli inquirenti, affermando di aspettarsi che «questa indagine possa riscrivere questa storia», c’è un altro interrogativo che pesa: eventuali riscontri dalle nuove analisi potranno essere utilizzati per rivedere l’intera vicenda e il suo esito giudiziario? L’incidente probatorio, infatti, ha riguardato anche altri reperti raccolti durante le prime indagini, ma mai analizzati.
Quando si riapre un caso
A complicare una vicenda intricata come quella del delitto di Garlasco sono anche altri elementi emersi nelle ultimissime ore, come la scoperta di alcuni pezzi di ferro (e non un martello come ipotizzato in un primo momento) in un torrente a Tromello, piccolo centro in cui vive Sempio e poco distante dalla stessa Garlasco. Potrebbe non trattarsi, dunque, di frammenti di una possibile arma del delitto, mai rinvenuta finora. Al vaglio, però, c’è anche materiale cartaceo e supporti di archiviazione, come chiavette usb, sequestrati nel corso di una nuova perquisizione a casa di Sempio, avvenuta nei giorni scorsi.
Gli sms e le storie Instagram che coinvolgono la cugina di Chiara
Un altro passaggio importante della nuova fase di indagini riguarda poi un sms che una delle cugine gemelle di Chiara Poggi, Paola Cappa, avrebbe inviato a un amico scrivendo «Mi sa che abbiamo incastrato Stasi». Secondo il settimanale Giallo ce ne sarebbero in tutto 280 agli atti della Procura di Pavia. La rivista ha anche pubblicato una foto postata dalla Cappa sui social nel 2013, che mostra dei piedi con calze a quadretti e in mezzo un’impronta a pallini, simile a quella che all’epoca fu repertata nella villetta di Garlasco, con scritto: «Buon compleanno sorellina». Infine, viene citata una storia Instagram proprio della sorella di Paola, Stefania, che mostra un bambino tra biciclette e la scritta “Fruttolo”, che il magazine ricollega al vasetto dello stesso yogurt rinvenuto in casa Poggi subito dopo l’omicidio e oggetto di nuove analisi alla ricerca di eventuali tracce di Dna o impronte.
Perché la svolta proprio ora?
Ma come è possibile che tutto ciò avvenga dopo tanti anni? «Perché un caso archiviato o con sentenza definitiva sia riesaminato, concorrono principalmente due fattori» spiega la criminologa Cristina Brasi, psicologa, criminologa forense e analista scientifica del linguaggio non verbale. «Scoprire nuove prove o evidenze, e che queste siano potenzialmente idonee a cambiare la sentenza del precedente processo. Può trattarsi di reperti all’epoca non esaminati, di ritrovamenti successivi, di analisi scientifiche inedite su materiale già acquisito, di nuove testimonianze o confessioni, anche se sono rare a distanza di tempo, oppure ancora di errori procedurali rilevanti».
Cosa è cambiato nel caso di Garlasco
«Nel contesto specifico del caso Garlasco – prosegue l’esperta – la riapertura è stata determinata dalla compatibilità del DNA di Andrea Sempio con tracce biologiche che sono state rinvenute sotto le unghie della vittima. Pur non rappresentando una prova di colpevolezza in sé, questa compatibilità costituisce un’evidenza inedita e potenzialmente cruciale, che non è stata valutata nei precedenti gradi di giudizio». Il vero elemento di svolta, poi, è rappresentato dalle nuove tecniche e possibilità di analisi dei potenziali indizi: «Proprio l’evoluzione delle tecniche di analisi del DNA ha reso possibile questa scoperta a distanza di anni dal fatto», conferma la criminologa.
Le testimonianze e i nuovi indizi
Eppure c’è un vecchio adagio secondo cui gli interrogatori andrebbero condotti “a caldo”, pena il non riuscire a far emergere la verità. «Idealmente le testimonianze andrebbero raccolte tempestivamente attraverso l’intervista cognitiva, cioè una tecnica psicologica che massimizza l’accuratezza e la quantità di informazioni rievocate, minimizzando invece possibili distorsioni e interferenze, specialmente in eventi traumatici come i crimini – chiarisce Brasi – Tuttavia, quando si riapre un caso a distanza di anni e pur tenendo conto del tempo trascorso, non è superfluo l’ascolto di nuove testimonianze».
Perché è importante non tralasciare nulla
Nonostante il caso risalga a 18 anni fa, dunque, potrebbero emergere nuove verità. La famiglia di Chiara Poggi continua a ritenere Stasi l’unico responsabile della morte della figlia, ma se così non fosse? «Occorre sempre considerare la potenziale rilevanza di dettagli che possono essere rimasti latenti, ed è utile la loro verifica incrociata con nuove prove, insieme alla ricostruzione del contesto degli eventi. Se gli elementi attuali, ottenuti anche con tecniche innovative, convergono in modo univoco verso un soggetto finora insospettato e superano il vaglio processuale, non è esclusa una nuova condanna», ammette la criminologa.
I precedenti illustri: via Poma
La cronaca, comunque, insegna che non è il primo caso di riapertura di un fascicolo, come per il delitto di via Poma. «È un chiaro esempio. Tecnicamente e criminologicamente, ci sono alcune similitudini generali: l’elevata risonanza mediatica e sociale, una verità giudiziaria percepita come incompleta o controversa, il ruolo cruciale delle nuove tecnologie e delle scienze forensi, la riemersione di testimonianze significative e, infine, il proseguimento dell’attività investigativa e giudiziaria, essenziale per non precludere nuove indagini di fronte a elementi validi. Ma ci sono anche altri esempi di errori giudiziari clamorosi, seppur con specificità diverse, come i casi di Giuseppe Gullotta, di Mario Ferraro, Angelo Massaro e il recente Beniamino Zuncheddu», ricorda Brasi.
Cosa può accadere adesso
Un interrogativo, però, rimane: cosa potrebbe accadere adesso, soprattutto per Stasi? «La riapertura di indagini su un caso con condanna definitiva, come per Alberto Stasi, non comporta automaticamente la revisione del suo processo – chiarisce l’esperta – Tuttavia, apre diversi scenari sulla sua posizione. Se le nuove indagini si concentrassero su altri, come Andrea Sempio, senza far emergere prove inedite che ricolleghino Stasi al delitto in modo significativamente diverso da quanto già giudicato, la sua condanna e detenzione resterebbero valide, quindi si manterrebbe la presunzione di colpevolezza sancita dalla sentenza definitiva».
Se la sentenza fosse ribaltata
«Diversamente, se dalle nuove indagini emergessero prove concrete e inequivocabili che mettano seriamente in dubbio la sua colpevolezza o ne avvalorino l’innocenza, si potrebbe avviare un’istanza di revisione del processo ai sensi dell’articolo 630 del Codice di Procedura Penale. Potrebbe accadere con la scoperta di nuovi fatti o prove che dimostrino la sua estraneità al reato o l’accertamento che la condanna derivi da falsità in atti o giudizio, o da altro reato, o dalla necessità di riconciliare sentenze contrastanti», sottolinea Brasi. In questo caso, l’istanza di revisione potrebbe ancora essere rigettata, oppure accettata, annullando la sentenza. «L’eventuale prescrizione del reato per altri soggetti indagati, però, non inficerebbe la condanna definitiva di Stasi, a meno che le nuove prove non lo scagionassero direttamente». Non resta che attendere gli sviluppi.