«La prima volta in cui mi sono “scelta” una famiglia vivevo ad Amsterdam. Facevo l’Erasmus. Contare su una rete di amici mi sembrava la cosa più normale che potessi fare lì, lontana dai miei familiari. Poi, dopo 10 anni, quella sensazione rassicurante costruita in gioventù è diventata altro. Una cosa potente. Me ne sono accorta quando Gaia ha scoperto di avere un tumore metastatico, lo scorso anno. Annie si è trasferita da lei a lavorare in smart per non lasciarla sola, Dave portava ogni mattina la colazione. Mauro organizzava il cineforum a casa due sere alla settimana, Christiana si alternava con Lucio per pranzi e cene, io gestivo medici e farmaci. Eravamo uniti, per aiutare non solo Gaia ma anche noi, in preda al dolore. Quando lei ci ha lasciati abbiamo mantenuto le abitudini di quei mesi, coinvolgendo anche i nostri partner. A volte facciamo smart working nello stesso posto, altre ci vediamo con la scusa della pizza fatta in casa. Ci sentiamo famiglia».

Famiglia per scelta, oggi una realtà sempre più diffusa

Anna, 40enne veneta, racconta la sua storia “olandese”, che non è molto diversa da quella di Serena, la sorella che vive a Torino. «Quando vado a trovarla, ha sempre amici in casa, non è mai sola con figlio e marito». Sì, qualcosa sta cambiando. Ad avere una rete di sostegno non convivente, secondo l’Istat, è l’83,9% della popolazione (+2,9% rispetto al 2023). Ai familiari “di sangue” si affiancano quelli “per scelta”, ed è per questo che ne parliamo in occasione della Giornata della Famiglia del 15 maggio.

Le ragioni del fenomeno sono almeno tre. Da un lato, si vanno assottigliando le “vecchie” grandi reti familiari, quelle fatte di tanti fratelli, zii e cugini. Dall’altro, sempre più spesso si cambia città da giovani, per studio o per lavoro, e ci si ricostruisce i legami. Il tutto – ecco la terza ragione – in quella che è stata definita “l’epoca dell’amore post-romantico”, in cui a unire i gruppi non è più solo l’amore di coppia. «Abbiamo superato il tabù romantico che un amore finito non si possa trasformare in amicizia e stiamo riscoprendo nuove forme di relazioni» spiega Annalisa Ambrosio, autrice di L’amore è cambiato (Einaudi). «Dal punto di vista della specie, la famiglia è del resto una struttura temporanea, pensata per proteggere i cuccioli dalle minacce esterne. Già nel saggio del 1884 L’origine della famiglia Friedrich Engels scriveva che per secoli il padre è stato solo un’invenzione utile a garantire il passaggio del patrimonio. Se quello familiare è allora un costrutto culturale, perché non si può smontare?».

L’eredità di Michela Murgia, la famiglia e i figli d’anima

Nel 2022 il governo tedesco ha iniziato a lavorare a una bozza di legge che inaugura l’istituto della “comunità di corresponsabilità”, una formula che potrebbe formalizzare i rapporti con gli amici profondi facendo sì che entrino a far parte a tutti gli effetti della propria famiglia. Vent’anni prima quello canadese aveva proposto di abolire l’istituto del matrimonio per lasciare spazio a modelli più elastici per “contrattualizzare” una relazione con una persona. Il pensiero allora va a Michela Murgia e alla sua “famiglia queer”: un gruppo di persone scelte sulla base dell’affetto, tra figli d’anima e partner.

Chiamatela “creatività degli affetti” ma, diceva la scrittrice, sappiate che non è niente di anti-convenzionale, perché nella realtà queste famiglie sono già diffusissime: le persone hanno esigenze che gestiscono inventandosi rapporti nuovi. La famiglia è diventata un’addizione. E così mentre Murgia ci lascia in eredità la differenza tra famiglie patriarcali (basate sui legami di sangue) e queer (basate sullo “ius voluntatis”, il diritto della volontà), c’è chi scrive la propria biografia proprio attraverso gli amici. «Per me, figlio unico, l’amicizia, soprattutto quella che ti fa crescere, è fondamentale» racconta Giancarlo Governi in Amici (Fazi), un libro nato perché, come diceva il poeta brasiliano Vinicius de Moraes, la vita è l’arte dell’incontro. Non era stato Dante, nell’Inferno, a punire i traditori degli amici più severamente di quelli della patria e persino di quelli dei parenti? Ce lo ricorda Governi.

Cosa sappiamo davvero sull’amore?

I parenti sono affetti assegnati dalla sorte. Gli amici li scegli, sono affetti di elezione. E secondo Anna Machin, antropologa dell’università di Oxford e autrice di Cosa sappiamo davvero sull’amore (Utet), sono anche altro: responsabili della nostra salute e felicità quanto i figli o la persona amata. Il legame con gli amici, si legge nel suo saggio, contribuisce alle nostre possibilità di sopravvivenza e si basa sull’attaccamento, un rapporto emotivo che in passato si pensava riguardasse solo la relazione madre-figlio. A stabilire che esistono affetti più importanti di altri siamo stati noi occidentali, che mettiamo al primo posto l’amore genitoriale, seguito da quello romantico, da quello familiare e poi, a una certa distanza, dagli amici, categoria trascurata quando si parla d’amore.

Eppure se qualcosa è cambiato oggi, è perché è sempre più chiara una verità: l’affetto tra amici, scrive la Machin, è una necessità più che una scelta. Non vuoi figli? Puoi rinunciarci. Non vuoi amici? A tuo rischio e pericolo. Chiara Gamberale lo sa benissimo. Nell’ultimo romanzo Dimmi di te (Einaudi) parla della famiglia amicale della protagonista (e suo alter ego), scrivendo che «tutte le famiglie sono diverse». «Basterebbe guardarsi intorno e comprendere quanto le cose succedano a prescindere dalla distinzione che si vuol dare ai tipi di famiglie. Penso alle coppie che si scelgono per tenersi per mano senza avere minimamente in animo di avere un figlio, ma anche a degli amici che decidono di condividere una casa e un pezzo di strada, diventando così un nucleo. Un posto dove proteggersi dal resto del mondo e affrontarlo meglio» riflette la scrittrice, mentre la sua protagonista chiama i coinquilini di gioventù “i fratelli e le sorelle della mansarda”.

Famiglia per scelta, la storia di Chiara Gamberale

«La famiglia tradizionale può darti ciò che puoi trovare negli amici, ma credo sia molto raro» continua. «In ogni caso sono le famiglie felici che mi confortano, quelle che hanno una loro verità a cui credo profondamente. Ed è in nome di quella verità che mi sono avvicinata alle persone che oggi formano la mia “Arca Senza Noè”, dove mia figlia Vita è salita quando era ancora nella mia pancia. Una famiglia che non ha a che fare con i legami di sangue, ma con potenti e profonde complicità».

Dalla vita ai libri

C’è una scena nel libro in cui una compagna di classe della figlia della protagonista, dopo aver scoperto che il padre non viveva con loro, chiedeva preoccupata se almeno facessero colazione. «È successo davvero. Purtroppo viviamo ancora in una società in cui la famiglia tradizionale è una certezza che a volte, nella sua forma, resta l’unica impalcatura capace di sostenere quotidianità complesse».

«È comune avere paura per qualcosa che è diverso da ciò che per noi è un dogma» aggiunge Chiara Gamberale. Che nel suo stato di famiglia includerebbe anche gli amici, a partire dalla «madrina di mia figlia, che ha una famiglia tradizionale. Lei con suo marito, che a Vita ha insegnato ad andare in bicicletta, “sanno come si fa”. A stare insieme, a restare, a costruire. Ma lo sa pure Mattia, che con suo marito ha avuto due bambini con la gestazione per altri e che da amico è diventato compagno di sogni per la mia scuola d’arte e di scrittura CreaVità, a Roma. Lo sa il mio ex marito Emanuele, padrino di mia figlia: è vicino a me come un fratello, a lei come uno zio. Sono tanti quelli che includerei: con Vita abbiamo disegnato un albero genealogico con tutti gli amici-famiglia, persone che gravitano intorno alla nostra casa da sempre, portando ognuno una cosa diversa nelle nostre vite».

Questione di feeling

“Famiglia d’elezione” è una definizione coniata negli ani ’70 negli Stati Uniti, spiega Anna Machin in Cosa sappiamo davvero sull’amore (Utet), per descrivere la rete di amici che forniva sostegno emotivo a chi si era visto respingere dalla propria famiglia o negare dalla legge la possibilità di crearne una (spesso erano donne lesbiche e uomini gay). Nel 2013 il Comitato per la salute degli adolescenti dell’Illinois, negli Usa, ha condotto uno studio sui ruoli della famiglia d’elezione e di provenienza nelle discussioni con gli adolescenti riguardo all’identità sessuale, alla salute e ai diritti: è emerso che la prima offrirebbe sostegno emotivo e intellettuale, l’altra economico ed educativo. Gli amici in sostanza, conclude lo studio, sono la certezza che qualcuno ci protegge mentre lottiamo per sopravvivere: esiste una forma più grande di amore?