Per i giudici, nel brutale femminicidio di Giulia Tramontano e del suo bambino, Thiago, al settimo mese di vita, non c’è stata premeditazione. Nonostante Alessandro Impagnatiello da sei mesi avesse iniziato ad avvelenarla, come dimostrano le ricerche su Google sul veleno per topi. «Una conclusione allucinante che rende Giulia ancora più un simbolo non solo della violenza maschile su tutte le donne, ma anche delle storture a cui a volte porta la legge, che insegue i suoi cavilli» commenta l’avvocata Cristiana Coviello, avvocata penalista della rete Reama. «La sentenza sarà pubblicata tra 60 giorni e lì capiremo davvero come i giudici abbiano interpretato la premeditazione».
Premeditazione: quando vale?
Nella decisione in Corte d’Assise d’Appello che ha confermato l’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, tutto ruota infatti sulla premeditazione: quando un omicidio inizia a essere premeditato? Tre ore prima? Tre giorni prima? Esiste un arco di tempo oggettivo per definirla? «Occorre capire il ragionamento giuridico alla base di questa decisione. Penso che i giudici abbiano considerato il concretizzarsi della decisione di Impagnatiello alle ore 15, quando Giulia incontra l’altra ragazza con cui lui aveva una relazione da tempo, per poi tornare a casa» commenta l’avvocata. «Per i giudici, Impagnatiello avrebbe deciso lì, in quelle ore, di uccidere la compagna: quindi troppo poco tempo per accusarlo di aver premeditato».
Troppe poche 4 ore per la premeditazione
La procura dunque avrebbe accolto le conclusioni della difesa nelle parole della sua avvocata, Giulia Gerardini: «Dalle 15 alle 19 è un lasso di tempo troppo breve per ipotizzare la predisposizione di un agguato»: quindi se Impagnatiello avesse davvero premeditato – come riferisce il Corriere della Sera – «avrebbe organizzato e fatto meglio l’omicidio», ad esempio avrebbe comprato la benzina per bruciare il corpo prima, e non dopo. Sempre per il difensore dell’assassino, non ci sarebbe nessuna crudeltà, perché la vittima «non ha avuto il tempo di rendersi conto di cosa stava succedendo». Invece la crudeltà è stata riconosciuta: «Le ferite al volto e il numero delle coltellate dimostrano la volontà di infierire oltre il necessario per far morire Giulia» spiega l’avvocata Coviello. Almeno quello è stato riconosciuto.
Impagnatiello voleva uccidere solo il bambino?
È davvero kafkiano il modo in cui a volte la legge aderisca fedelmente a se stessa, senza andare oltre. «Questa vicenda rappresenta uno dei femminicidi più brutali della storia italiana: nel valutarla, non si può restare aderenti a ciò che altre sentenze hanno deciso sulla premeditazione, quelle cioè in cui si è cercato di definire quando una persona inizi a organizzare un delitto» prosegue l’avvocata. «Impagnatiello da mesi avvelenava Giulia e il loro bambino. L’unica spiegazione possibile del fatto che i giudici abbiano escluso la premeditazione è che la volontà di uccidere fosse rivolta al bambino e non a Giulia: cioè che l’assassino, cercando su Google informazioni sul veleno per topi, volesse sopprimere il figlio, che sarebbe stato il secondo per lui, e che avrebbe minato il suo tenore di vita. In vari documenti si legge infatti come Impagnatiello fosse preoccupato dell’arrivo del figlio dal punto di vista economico, e che Giulia avesse espresso più volte la volontà di andarsene con il bambino. Forse i giudici hanno valutato che l’avvelenamento fosse rivolto solo al feto, ma avrebbe dell’incredibile».
L’esclusione della premeditazione verso la madre non regge
Come far morire il bambino senza far morire la sua mamma, con il veleno? «Ci sono molte sentenze in base alle quali una donna incinta è un tutt’uno col suo bambino: uccidere uno di loro equivale a ucciderli entrambi. Quindi anche se lui avesse voluto eliminare solo il bambino, l’esclusione della premeditazione nei confronti della madre non regge». Avvelenare Giulia quindi vale già come proposito di ucciderla.
La vergogna di Impagnatiello seduto accanto alla famiglia di Giulia
Non regge un’altra cosa in questa sentenza, ed è un fattore più decisamente umano: Impagnatiello era seduto a pochi metri dalla famiglia di Giulia, due file dietro a lui. «Avrebbe potuto partecipare, come suo diritto, all’udienza, ma dietro alle sbarre. È un detenuto, non una persona libera. E questa è una questione morale, più che giuridica. Costringere i genitori della donna uccisa così brutalmente a stare così vicino all’assassino è surreale e assolutamente non rispettoso della gravità di questa vicenda» conclude l’avvocata.
Giulia Tramontano anche per questo diventa un simbolo potente delle distorsioni a cui il sistema giuridico porta: si può aderire fedelmente alla legge, senza per questo non restare esseri umani.