Storie di cani orfani. E delle famiglie che li hanno accolti
Adottare l'animale di una persona che non c'è più è una scelta faticosa ma che può cambiare (in meglio) la vita. Lo raccontano un nuovo film, L'amico fedele, e tre donne che ci sono passate
Dolore per una perdita, smarrimento, ma anche scoperta di un’altra parte di sé e voglia di rinascita. Sono temi che toccano tutti noi ed è per questo che il film L’amico fedele commuove. Protagonista è Iris, Naomi Watts, che alla morte dell’amico Walter, Bill Murray, riceve in eredità l’amatissimo – e gigantesco – alano Apollo. Il film è la storia di una donna che sceglie di adottare un cane orfano e di un rapporto che cambia, dal caos iniziale alla comprensione che entrambi stanno vivendo lo stesso lutto, fino alla nascita di un legame che saprà guarire il dolore.
Accogliere un cane aiuta a superare il lutto
Ma cosa spinge ad adottare, dall’oggi al domani, un cane rimasto orfano del suo padrone quando quel padrone era anche una persona a noi cara? «Molti fanno fatica a dire dei no, ancor di più a un amico o a un genitore che non ci saranno più» nota Umberto Longoni, psicologo.
Accogliendo il suo animale, tra l’altro, si ha la confortante sensazione di un legame che continua. Spesso, poi, si prova un senso di “pienezza” e l’orgoglio di fare qualcosa di utile, che compensa una scelta a volte oggettivamente faticosa.
Adottare un cane orfano: anche lui soffre e va aiutato
Per un cane perdere il proprio amico umano e cambiare famiglia e casa è sempre un trauma, che si manifesta con tipici comportamenti. La veterinaria Chiara Bruschi ci aiuta a decifrare i suoi comportamenti. È triste, inappetente, apatico perché sente la mancanza della sua vita di prima. Si spaventa facilmente dato che non capisce cosa è successo e si difende, spesso scegliendo un “suo” angolo in casa dove non vuole essere disturbato, a volte diventando aggressivo. Cerca il vecchio proprietario, magari aspetta il suo amico alla porta, in strada, negli orari delle loro abitudini quotidiane. Imparerà a rassegnarsi, ma probabilmente non dimenticherà mai. Infine va tenuto presente che ha bisogno di tempo per abituarsi: per superare il dolore ci vogliono alcuni mesi e di solito sono i cani più giovani a riprendersi prima. Se però, il disagio prosegue, è il caso di rivolgersi a un veterinario esperto di comportamento». Ma cosa succede nei primi mesi insieme? Ecco le testimonianze di tre donne che si sono trovate nella stessa situazione di Iris. E hanno fatto una scelta d’amore.
Storie di cani orfani: Anna ha adottato il barboncino di un’amica
«Letizia era una bella persona, oltre che una cara amica. Ci piaceva fare lunghe passeggiate, a volte con il suo barboncino Terry. Durante una di queste mi aveva chiesto, a bruciapelo, se mi sarei occupata di lui nel caso lei fosse mancata. Che domanda strana, avevo pensato, ma poi mi era venuto in mente che Terry era il cane che aveva “ereditato” dal fratello quando era mancato. Ci era passata e sapeva cosa vuol dire. Dopo averne parlato in famiglia, le dissi che poteva contare su di noi. Poi è arrivata la malattia e nel giro di poco tempo Letizia è morta. Abbiamo portato Terry, che aveva ormai 15 anni ed era malconcio, a casa nostra, insieme alla sua cuccia e ad alcuni giochi. I primi mesi sono stati difficili: era scombussolato, triste, si rifugiava nella cuccia e non voleva essere avvicinato. “È nella sua ambasciata” ci dicevamo. E poi cercava Letizia, andando speranzoso verso la porta ogni volta che sentiva il citofono. Con il tempo le cose sono cambiate e, nonostante il rapporto un po’ burrascoso con il nostro micio di 10 anni, credo che Terry abbia vissuto i suoi ultimi 3 anni serenamente. Noi lo abbiamo amato. La mia amica ne sarebbe stata felice.
Sei mesi dopo la sua scomparsa, ci ha chiamato un notaio: Letizia ci aveva lasciato il “salvadanaio” di Terry. Era la stessa somma che avevamo già speso per le sue cure.
Storie di cani orfani: Annaleni vive con Niki, il bichon havanese della sua mamma
«Niki era il cane di mia mamma. Un bichon havanese di 13 anni, amatissimo e coccolatissimo., E anche piuttosto viziato. Pochi mesi fa, agli inizi di una malattia che ancora non sapevamo essere tanto grave, mia mamma mi aveva chiesto, semplicemente, cosa sarebbe stato di lui, ben sapendo che io sono convintamente gattofila e che le mie due micie non lo avrebbero certo accolto con gioia. L’avevo rassicurata che, nel caso, sarebbe rimasto sempre con noi. Durante la sua breve malattia Niki non l’ha mai lasciata, restando silenziosamente accucciato sotto il suo letto. Quando è mancata, ci siamo ricordati di avere letto da qualche parte che se un cane vede e “annusa” il suo proprietario appena deceduto, in qualche modo capisce quello che è successo. Così sostengono alcuni veterinari e così abbiamo fatto. Poi Niki è venuto a stare con noi. Non abbiamo mai pensato di affidarlo ad altri, non tanto per una promessa fatta ma per tenere con noi un “pezzettino” di mia mamma. Devo però ammettere che la nostra vita si è complicata parecchio.
Abbiamo dovuto cambiare i ritmi della famiglia, “rieducare” Niki, togliendogli un bel po’ di vizi, gestire le zuffe con le gatte che ancora non lo hanno accettato. Lui sembra sereno, forse perché conosceva bene noi e la nostra casa e sa di essere amato. Il resto, si spera, si sistemerà.
Un’altra scena di L’amico fedele, ambientato a New York: è la storia di due lutti, quello di Iris, che ha perso un grande amico e di Apollo, l’alano che ha perduto il “suo” umano.
Adottare un cane orfano: Alessandra ha accettato d’istinto Black, meticcio rimasto solo
«Ho sempre convissuto con uno o più gatti. Mai cani. Finché, un giorno di 15 anni fa, vengo a sapere da mia sorella che un suo amico e mio conoscente, Alberto, è gravemente malato. Sa di avere poco da vivere, ma la sua preoccupazione più grande è sistemare i due gatti e il cane di 8 anni, un improbabile incrocio tra uno spinone e un boxer. Mi è venuto d’istinto dire: “Lo prendo io”. Così, a scatola chiusa, con zero esperienza e senza nemmeno conoscere il cane. E invece con Black è stato subito amore. Si è adattato immediatamente alla nostra casa – forse anche perché era educato, tranquillo, dolcissimo – e noi a lui e alla nuova vita. Dopo pochi giorni che era da noi lo avevo portato a trovare Alberto, ricoverato in un hospice, ma con mia grande sorpresa Black si era agitato, come se fosse spaventato. Chissà, forse percepiva il dolore e intuiva che non lo avrebbe più visto. Poi la vita è andata avanti, ma per tanto tempo ogni volta che Black incontrava qualcuno che somigliava al suo vecchio padrone, qualsiasi cosa stesse facendo, si immobilizzava e lo fissava. Non aveva dimenticato.
Black è vissuto altri 10 anni, regalando a mio marito, mia figlia e me gioia e tenerezza. Quel gesto di generosità, fatto pensando a un uomo alla fine della sua vita, è stato ampiamente ripagato