La prima volta che ho letto Chimamanda Ngozi Adichie, la bella signora nigeriana che vedete sulla nostra copertina, è stato poco prima che il titolo di un suo saggio, We Should All Be Feminists (Dovremmo essere tutti femministi), tratto da un TEDTalk visualizzato su YouTube da oltre 7 milioni di persone, comparisse su una T-shirt della collezione primavera/estate di Dior, la prima di Maria Grazia Chiuri. La stilista inaugurava così, con uno slogan portato in passerella, il suo debutto alla Parigi Fashion Week e alla guida di una maison che fino a quel momento non aveva mai dato l’incarico di direttore creativo a una donna. Una svolta storica. Ancora oggi, se ci pensate, un’industria che si rivolge prevalentemente al mercato femminile è in mano a designer e imprenditori uomini. Ma non divaghiamo. Quella sfilata andò in scena il 30 settembre del 2016. Ed era da un bel pezzo che non si usava più quella parola: femminismo. Sembrava un residuato bellico ripescato dagli anni ’70, insieme agli zoccoli, agli striscioni e ai peli sotto le ascelle. Vederla campeggiare su uno dei capi must-have della generazione influencer, e poi addosso alle celeb che scendevano in piazza nella prima grandiosa Women’s March a Washington D.C. nel gennaio del 2017, fece un certo effetto.

La rinascita del femminismo
Quel discorso, pronunciato in un ciclo di conferenze nel 2012 e pubblicato sotto forma di breve saggio un paio di anni dopo, non era la prima opera dell’attivista africana, già scrittrice affermata e pluripremiata, ma sicuramente quella più d’impatto per le tematiche di genere e l’emancipazione femminile. Vuoi per l’originalità del punto di vista, vuoi per il riverbero che ebbe. Prima ancora di diventare la “bandiera” di un rinnovato risveglio d’interesse sulle discriminazioni tra i sessi, trainato dalla moda, quel pamphlet era entrato nella canzone Flawless di Beyoncé. Assurgendo nel giro di una stagione a manifesto dell’empowerment e detonatore di una rinascita del femminismo in chiave moderna e mainstream.
Il femminismo oggi secondo Chimamanda
Ma cosa diceva di così straordinario? Chimamanda spiegava quanto stereotipi e pregiudizi con cui siamo educati fin da piccoli ingabbino e condizionino il nostro modo di pensare, alimentando le disuguaglianze. E come, per ristabilire la parità a livello sociale, si debba partire da lì. Per questo il femminismo è una battaglia che riguarda tutti, uomini e donne. Perché ha a che fare con un ripensamento di ruoli e aspettative. E con i diritti, che non hanno genere. Nel farlo, portava alcune esperienze personali, smantellando una serie di luoghi comuni con cui etichettiamo cose e persone. Come, ad esempio, quello che vuole le femministe nemiche degli uomini e poco interessate a cose frivole come trucchi e vestiti. Un’immagine in cui la scrittrice non riusciva a riconoscersi. Non solo per via di una sfacciata passione per la moda, ma anche perché si può essere interessate alle battaglie di genere e alle sorti del mondo pur amando gli uomini e i tacchi alti. La verità è che gli esseri umani non sono mai una cosa soltanto, ma tante, e metterli in una casella significa rimpicciolirli. Eccola qua, la forza del messaggio di Chimamanda: autorizzarsi a mostrarsi per ciò che si è. Complessi, contraddittori, imperfetti.
E l’amore?
Con la stessa sincerità, nel suo ultimo libro, L’inventario dei sogni, l’autrice ci pone di fronte a un’altra questione. Si può essere donne forti, emancipate, potenti, con lavori importanti e vite realizzate e sentirsi ancora in balia degli uomini? Dei loro no e dei loro sì. Schiacciate dall’orologio biologico e dalle aspettative sociali sul matrimonio e la maternità. A Lagos come a New York. Cosa ce ne facciamo della nostra indipendenza, se ci manca l’amore? E ci manca così tanto da accettare regole che non ci corrispondono, conformandoci a un sistema pensato dai maschi che spesso ci umilia. Come possiamo essere allo stesso tempo donne libere e appagate nelle relazioni? Dichiaratamente bisognose di protezione, ascolto, cura, attenzione, senza sentirci insicure e perdenti? Come la gestiamo tutta questa vulnerabilità?
Il femminismo oggi non è una battaglia
Sono domande cruciali, che tutte in cuor nostro ci facciamo. Spesso a voce bassa, perché sembrano stridere con quel “girl power” che ci ha permesso di affrancarci da tanti vecchi retaggi. Ma ci ha costretto talvolta a silenziare esigenze profonde, che teniamo nascoste per pudore e vergogna. Chimamanda, che con immenso piacere ospitiamo in questo numero, ci invita a non provare nessun imbarazzo per quello che sentiamo e che vogliamo. Il femminismo non è una battaglia fine a se stessa. È un mezzo per essere felici. Sentendoci rispettate e amate. Non è questa la rivoluzione?