cabine per chiedere aiuto

Le cabine fototessera per chiedere aiuto

Entro l'estate in 50 città di tutta Italia le cabine fototessera diventano punti in cui chiedere aiuto, chiamando il 1522. È un progetto dell'associazione Differenza Donna per far sentire le donne più sicure. L'80 per centro delle violenze, però, avviene nelle nostre case

Entro l’estate 50 cabine fototessera diventano punti antiviolenza: lì ci si può rifugiare per chiedere aiuto. Un pulsante speciale, inserito in una piccola scatola, mette in collegamento con il 1522, l’Help line violenza e stalking del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio.

300 cabine fototessera per chiedere aiuto entro fine anno

Le cabine, chiamate “pink box”, si trovano in tutta Italia e presto diventeranno 300, da Nord a Sud, passando per punti strategici delle periferie urbane. 

Il progetto è messo a punto dall’associazione Differenza Donna e dall’azienda Dedem, leader in Italia delle cabine fototessera, che ogni anni fotografano 10 milioni di volti. Entro l’estate sul sito dedem.it si potrà trovare la mappa con tutte le cabine della propria città, da Agrigento e Palermo passando per Bari, Barletta, Brindicis, Reggio Calabria, Catanzaro, Napoli, Grosseto, Roma, Viterbo, Sassari, fino a Milano e Trieste. Una mappa da consultare in caso di emergenza o anche prima, se si deve percorrere un itinerario magari poco frequentato.

cabine fototessera

Altre iniziative per chiedere aiuto

Un’iniziativa importante, che si aggiunge ad altre sul territorio, nel tentativo di dare punti di appoggio alle donne in difficoltà negli spazi aperti: come i punti viola dell’associazione Viola walk home e la app YouPol della polizia di Stato, con cui si può stare in chat con un operatore in attesa dell’intervento. La paura di uscire, soprattutto alla sera, è uno degli aspetti della violenza contro le donne più difficili da gestire. E allora ci si chiede: è la donna che deve cambiare atteggiamento e limitare la propria libertà, o non sono forse le città che dovrebbero invece trasformarsi?

Le città devono cambiare: è l’urbanistica al femminile

La riflessione accomuna tutto il mondo e le realtà impegnate a cambiare la cultura contro da violenza di genere, e non è una novità: da tempo si chiede di affrontarlo a livello di pianificazione urbana per dare risposte concrete. Per esempio le ricercatrici Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, fondatrici dell’associazione Sex & the City, nello studio Libere, non coraggiose (LetteraVentidue edizioni), condotto per l’Urban center di Milano, lanciano una proposta: cambiare le città, chiamando in causa direttamente amministrazioni e politica e rendendola più sicura per tutti. Significa ridisegnare gli spazi pubblici, a partire dall’illuminazione alle fermate dei bus, ma soprattutto coinvolgere chi vive nei quartieri per renderli più vivaci, anche di notte, in modo da scoraggiare comportamenti violenti. Quello che «rende le città sicure sono i presidi spontanei, la presenza di persone» sostengono le ricercatrici. «Per questo dobbiamo fare in modo che siano popolate sempre di più dalle donne, anche di notte».

L’80 per cento delle violenze però avviene in casa

Non dimentichiamo però che la maggior parte delle violenze non accade sulle nostre strade, ma nelle nostre case. Tra le chiamate al 1522 (54mila solo nell’ultimo trimestre 2023), quasi l’80 per cento delle donne (il 79,4) dice che il luogo della violenza è la propria casa. Il 64,5 per cento dice di aver subito violenze per anni, il 25,5 per cento per mesi. Solo il 10 per cento delle donne dice di aver vissuto uno o pochi episodi di violenza. La violenza non è una patologia o un raptus, ma un comportamento appreso. È importante lavorare su provvedimenti che facciano sentire le donne più protette ma occorre agire soprattutto sulla cultura: non possiamo accettare che le donne non possano muoversi da sole perché sono prede. 

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