È proprio vero che non si apprezza mai quello che si ha finché non lo si perde. Siamo giunti alla fine del primo mese estivo e della tradizionale carrellata di tormentoni non si vede nemmeno l’ombra, visto che tutti i brani rilasciati dagli artisti del momento non ci emozionano (e non scalano le classifiche). Quanti anni sono passati dall’ultima estate senza tormentone? È mai successo? Sui social non si parla d’altro.
E dire che in fondo dei tormentoni ci siamo sempre lamentati: troppo leggeri, “preconfezionati”, ogni anno cominciamo a odiarli agli inizi di maggio. Non ci ha aperto gli occhi il fatto che ai matrimoni balliamo ancora Asereje come nel 2002, abbiamo imparato persino il rumeno trainati da Dragostea Din Tei e sappiamo le parole di 50 Special meglio di quelle dell’inno nazionale. Serviva proprio un anno come questo, in cui i tormentoni sembrano averci abbandonati, per farcene sentire la mancanza. La verità, lo scopriamo così, è che non ci bastano «lu Sole, lu mare e lu ientu» per sentirci in estate. E quella che stiamo vivendo, dunque, ci sembra una stagione vissuta solo a metà.
Hit e tormentoni, non siamo troppo diversi
Non è un caso che i brani dell’estate siano diventati must negli anni Sessanta, nel pieno di rivoluzioni sociali e culturali di grande impatto. Tra minigonne e foulard, è così che l’Italia si è ripresa veramente dal trauma della Guerra gettandosi a pieno nella cultura della leggerezza (che, come insegnava Calvino, non è superficialità).
A definire tale il primo tormentone è una penna di Famiglia Cristiana (come direbbero i GenAlpha: che hit!), con un articolo dedicato a Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco. Poi sono arrivati i maestri, da Edoardo Vianello –Guarda come dondolo (1962), Abbronzatissima (1963), I Watussi (1963) – a Umberto Tozzi, Donatella Rettore e Alan Sorrenti.
Dagli anni Settanta ai Novanta, poi, i tormentoni hanno cominciato a seguire non solo le norme della leggerezza, ma anche quelle della moda e dell’estetica del momento. Così negli anni Ottanta le hit si sono fatte non solo sintetizzate ma internazionali (te la ricordi Self control?), mentre nel decennio successivo a dominare sono arrivati i videoclip. Sul trono un tempo occupato da Vianello, sono salite (per restarci) Paola e Chiara.
I tormentoni “di ultima generazione”, che mischiano rap, raggaeton e ritmi latini, non sono dunque che l’evoluzione di questa tradizione. Racconti di una vita senza pensieri, sì, ma con regole sempre più complesse e codificate: la base che cattura, l’incrocio di stili diversi, il featuring improbabile, il videoclip sensuale, il tocco international. Una ricetta che si comincia a preparare in pieno inverno e che ci ha regalato perle come Roma Bangkok, Una volta ancora, MILLE, ma che oggi sembra aver perso la sua forza.
L’estate senza tormentone, come una fotografia
Quel mix che credevamo infallibile nel 2025 ci offre una minestra riscaldata e insipida. La classifica di Spotify, escludendo ANNA che con la sua Désolée resta l’icona pop dell’estate, mostra pochissimi brani estivi in top10. Ci sono i Pinguini Tattici Nucleari e Max Pezzali, un featuring atteso che non ha deluso i fan; Alfa e la sua reinterpretazione di Manu Chao (a me mi piace) e poi solo, sempre, rap. La classifica FIMI conferma il quadro, con l’apparizione di Alessandra Amoroso in testa (nella top10 album) con il suo nuovo progetto.
E dire che i brani creati ad hoc anche quest’anno non mancano: Mamma mia! di Rose Villain e Gué è uscita a gennaio e ancora viene trasmessa in radio, qualche settimana fa sono arrivate anche Maschio di Annalisa e Serenata, featuring tra Serena Brancale e Alessandra Amoroso. È difficile ipotizzare come mai non funzionino più, e non è chiaro nemmeno se si tratti di un fenomeno destinato a durare: d’altronde basta pensare a successi inaspettati come Volevo essere un duro e Zitti e buoni che il pubblico si emoziona senza seguire le logiche di mercato, prediligendo a volta l’autenticità, altre i prodotti ben confezionati (come Olly all’ultimo Sanremo).
Oltre all’estate c’è di più
Più che chiedersi cosa succederà, cosa sia successo e come “salvare la musica”, vale la pena riflettere su quello che l’assenza di tormentoni ci può dire. Forse questi tre mesi senza trend ed emozioni imposte dall’alto sono quello che ci serve per fermarci e chiederci come mai ne sentiamo la mancanza.
La verità, infatti, è che non è l’estate di per sé che aspettiamo per tutto l’anno. Non è l’arrivo della bella stagione né il caldo (insopportabile), ma quel mito che abbiamo creato intorno all’idea della stagione. Ogni anno sogniamo tre mesi leggeri, perfetti, all’insegna delle vacanze, del lavoro svolto in tranquillità che tanto tutti sono in spiaggia. E per alimentare questo mito ci servono colonne sonore, microtrend, estetiche e mode.
Quando le temperature cominciano ad alzarci, teniamo gli occhi aperti per individuare il costume del momento, le orecchie tese per il tormentone, e svuotiamo i supermercati per accaparrarci oggi il matcha, ieri il mango, domani chissà. Negli ultimi anni, in più ci ritroviamo a setacciare i social per farci guidare dall’aesthetic, che sia un concetto (come la hot girl summer di Meghan Thee Stallion) o un vero e proprio modo di vivere (la scorsa Brat Summer).
Cosa resterà di quest’estate 2025?
Il mito dell’estate non solo ci permette di fare pace con tutti i compromessi che ci impone il resto dell’anno, dal freddo alle ore di lavoro infinite, ma ci assicura che qualcosa di memorabile – in quest’era di emozioni effimere – c’è. Anche se la prospettiva di raccontare ai nostri nipoti la fenomenologia della Brat Summer non è particolarmente allettante, comunque ci serve l’illusione di aver vissuto qualcosa di reale, rilevante, memorabile.
Se quest’estate non è definibile, cominciamo a pensare che non sia degna di essere ricordata, vissuta. Ma la verità è che i ricordi più belli, quelli che veramente racconteremo con le lacrime agli occhi, non avranno a che fare con Dubai chocolate, Labubu o braccialetti extra large. Non saranno legati né Désolée né a Roma-Bangkok, ma alle persone che ci hanno fatto ridere, i luoghi che abbiamo visitato, i momenti di pace che ci siamo presi.
Sono quelle le cose che restano davvero e, per quanto possa essere importante la colonna sonora, a volte serve il silenzio per essere presenti e godersi il momento. Spegniamo la radio, allora, che tanto non ci perdiamo niente. Al mare portiamoci quello che abbiamo già: gli amici, la crema solare, un buon libro (i titoli emozionanti, almeno in letteratura, non mancano). E se «Questa non è ibiza», pazienza.