Daniele era affetto dal morbo di Parkinson dal 2008, costretto a vivere con un sondino gastrico, collegato con l’esterno, per poter assumere cibi, liquidi e farmaci direttamente nello stomaco, a causa di una grave disfagia. Una condizione che lo ha spinto a chiedere il suicidio assistito, ottenuto e praticato pochi giorni fa, per la prima volta, in Toscana. Si tratta, infatti, della prima Regione a essersi dotata di una legge sul fine vita, però impugnata dal Governo, che nel frattempo vorrebbe mettere a punto una norma nazionale, più restrittiva.

Dalla Toscana il caso di Daniele

Proprio mentre l’esecutivo mette in agenda una legge nazionale sul fine vita, ancora inesistente, arriva la notizia del primo suicidio assistito in Toscana, la prima e finora unica Regione ad aver regolamentato i tempi della procedura. A chiedere di porre fine alla sua vita è stato lo scrittore Daniele Pieroni, che già due anni fa aveva contattato il Numero Bianco dell’Associazione Luca Coscioni (06.99313409) per ricevere informazioni su come accedere alla morte volontaria assistita. Dopo averne fatto richiesta all’AUSL Toscana Sud Est, ha atteso due anni per riuscire a ottenerla adesso.

Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni

Primo caso dall’entrata in vigore della legge regionale

Quello di Daniele è il primo caso di morte volontaria assistita avvenuto in Toscana dall’entrata in vigore della legge regionale lo scorso febbraio, nel frattempo impugnata dal Governo. Per l’Associazione Luca Coscioni, invece, si tratta della conferma della piena applicabilità della norma, da un punto di vista costituzionale, che ha seguito le indicazioni stabilite dalla Corte costituzionale con la cosiddetta sentenza “Cappato – Antoniani” n.242 del 2019. Al momento, infatti, si tratta dell’unico punto di riferimento in materia, su cui però il Governo vorrebbe una legge nazionale.

Verso una legge nazionale sul fine vita

Il tentativo è quello di mettere a punto un testo, da sottoporre a un primo vaglio del Senato fin dal prossimo 17 luglio, che trovi d’accordo la maggioranza di centro-destra. Nelle scorse ore c’è stato un primo incontro, alla presenza della premier Giorgia Meloni, dei vice Matteo Salvini e Antonio Tajani, del leader di Noi moderati Maurizio Lupi, a cui hanno preso parte anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario Alfredo Mantovano e i senatori di maggioranza. Per ora non sono emerse indicazioni ufficiali, ma l’idea sembra quella di introdurre un quinto elemento decisivo per l’accesso al fine vita: le cure palliative.

Le cure palliative nella legge nazionale

Al momento la sentenza della Consulta prevede 4 requisiti fondamentali per l’accesso al suicidio assistito: irreversibilità della patologia, presenza di sofferenze fisiche o psicologiche che il paziente reputa intollerabili, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale; infine, capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli. Tutte queste condizioni devono essere accertate dal servizio sanitario nazionale. Il problema, però, è che spesso i tempi sono molto (troppo) lunghi e causano altra sofferenza al malato. Per questo la Toscana ha regolamentato la procedura, fissando una tempistica certa.

Un quinto requisito sulle cure palliative?

Ora il Governo, nell’impugnare quella norma, starebbe ipotizzando di prevedere la costituzione di un Comitato etico nazionale, che supervisioni l’iter, prevedendo anche un quinto requisito, cioè il ricorso a cure palliative, anche se non è chiaro in che termini. «Credo che sia inutile, perché la Corte costituzionale ha già compreso il ricorso alle palliative nei 4 già indicati», spiega l’avvocato Gianni Baldini, professore associato di Diritto Privato e docente di Biodiritto, presso le Università di Firenze e Siena. «È espressamente previsto che, se un paziente chiede il suicidio medicalmente assistito, gli siano proposte. Ma se lui rifiuta e conferma la richiesta o se le cure palliative non sono adeguate perché la malattia è refrattaria a tutte le terapie, comprese le palliative, allora si può passare al suicidio assistito», sottolinea Baldini.

Garantire tempi certi

L’Associazione Luca Coscioni, intanto, difende la norma toscana: «È frutto di un’iniziativa popolare sostenuta da oltre 11.000 persone, è un atto di civiltà e responsabilità che garantisce tempi certi per l’accesso all’aiuto medico alla morte volontaria, applicando quanto già stabilito dalla Corte costituzionale», spiegano Filomena Gallo e Marco Cappato, rispettivamente Segretaria nazionale e Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni. «L’impugnazione del Governo Meloni è una scelta ideologica e priva di fondamento giuridico, volta a ostacolare un diritto già riconosciuto, come anche la proposta di legge che il Governo intende presentare per sbarrare la strada alle Regioni. Intanto, troppe persone continuano a soffrire o a emigrare per morire con dignità».

Le altre Regioni sono ferme

Come ricorda ancora l’Associazione Coscioni, gli altri tentativi di regolamentare l’accesso al fine vita a livello regionale sono rimasti fermi: «Invitiamo tutte le Regioni ad agire per garantire la libertà e il rispetto delle volontà delle persone», sottolineano Gallo e Cappato. In Veneto e Lombardia ci sono stati due tentativi, al momento naufragati, nonostante il suicidio assistito sia avvenuto con alcuni pazienti che ne avevano fatto richiesta, seppure dopo tempi molto lunghi. Di recente il Governatore lombardo, Attilio Fontana, è tornato a esortare il Consiglio regionale a legiferare, istituendo nel frattempo un Tavolo Regionale ad hoc.

Il pressing regionale sul Governo

«Credo che l’esempio della Toscana sia da seguire perché questo determinerebbe una pressione a livello politico, in particolare sul Parlamento – osserva ancora Gianni Baldini – Su questo tema non deve legiferare il Governo, perché non è una questione su cui possa intervenire la sola maggioranza: non riguarda la destra o la sinistra, ci vuole una legge condivisa, perché si tratta di una questione di civiltà». È ancora Baldini a sottolineare come la legge toscana non sia «di sostanza, ma solo attuativa della sentenza della Consulta: ha semplicemente stabilito che al paziente che ne faccia richiesta sia data una risposta entro 37 giorni, verificando i requisiti previsti dalla Consulta».

In Cassazione la proposta di legge sull’eutanasia attiva

Intanto Cappato e Gallo hanno depositato in Cassazione, il 5 giugno scorso, una proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare tutte le scelte sul fine vita, compresa l’eutanasia attiva. Perché arrivi in Parlamento occorre raccogliere almeno 50mila firme. La differenza rispetto al suicidio assistito riguarda la possibilità di un intervento attivo da parte di un medico che dunque supererebbe uno dei requisiti attuali di accesso alla procedura, per i soli malati dipendenti da trattamenti di sostegno vitale. In pratica il testo prevede che possano procedere con il suicidio assistito tutti i cittadini maggiorenni, capaci di intendere e volere, affetti da patologie irreversibili o con prognosi infausta a breve termine, che causano sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili dalla persona stessa.

Serve una legge chiara

«La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum per consentire l’eutanasia legale nel nostro Paese, ma nel contempo aveva richiamato il Parlamento a intervenire con una legge», sottolinea Filomena Gallo, che ricorda come la Consulta «per quattro volte ha invitato il Parlamento italiano a intervenire con una legge che garantisca la libertà di scelta delle persone». Il nuovo testo, spiega ancora Gallo, è stato ispirato al quadro normativo internazionale e mira a garantire il diritto a morire con dignità.