La chiamiamo “la sedia bianca”, ma alla fine bianca non lo è mai. La plastica è rovinata dal tempo, i pieni reggono appena. Ha macchie grigie, di terra, di erba a seconda di dove la si trova. Quando penso alla Monobloc, la sedia più classica del mondo, io penso a quella della bocciofila dove mio nonno portava me e mio fratello con la scusa di regalarci il nostro ghiacciolo preferito. Sulle seggioline, rigorosamente seduti “scomposti”, lo guardavamo battere tutti i suoi amici alle bocce e vincere premi che valevano solo dentro quelle mura ma che lo riempivano di orgoglio. Per noi erano gli spalti di un San Siro privato, i divanetti di un privé che forse abbiamo conosciuto solo noi. Oggi che, da Bad Bunny a Rihanna, la Monobloc sembra essere un oggetto di scena ricercatissimo, quei ricordi mi tornano in mente.

Monobloc everywhere: la moda, le celebrità, la musica

Negli ultimi mesi infatti gli occhi scaltri di chi è abituato a riconoscere le tendenze non hanno potuto non notare un’esplosione di “sedie bianche” persino in luoghi impensabili. Erano anni che le Monobloc avevano riacquistato una certa popolarità (nel 2017 sono state protagoniste di una mostra celebrativa), ma oggi sembrano essere veri e propri fashion statement.

Il primo a metterle al centro di un progetto artistico è stato Bad Bunny. L’annuncio del suo ultimo album, Debí Tirar Más Fotos, è stato accompagnato dalla copertina che vede solo due Monobloc una a fianco all’altra in un giardino con la vegetazione del suo paese d’origine. Sono un rimando toccante al singolo di apertura, un brano dedicato al nonno da poco defunto, con il quale (proprio come me) era solito passare ore seduto sulle Monobloc.

Lo ha seguito Rihanna, che negli ultimi scatti di promozione del suo brand Savage x Fenty siede scomoda ma sempre bellissima sulle tremende sedie bianche. E i brand di moda non si sono fatti attendere, sostituendo gli oggetti di scena eleganti a cui ci hanno abituati negli anni con le scomodissime Monobloc. E loro, dopo essersi adattate ad ogni contesto, si prestano anche a diventare le sedie del momento.

Sul set come in giardino, non ci sono regole

Ovviamente, questa rivisitazione dell’oggetto di uso comune per eccellenza non è un caso. La moda oggi è sempre più distante dalle persone e le celebrità hanno perso il loro ruolo di ispirazione per diventare personaggi di cui sappiamo tutto senza più ricordarci perché ci interessa. Serve ogni tanto un monito, un rimando all’idea che quel mondo tutto luci e glamour non sia poi così distante dal nostro. E forse la Monobloc ha proprio questa funzione: per me è la sedia della bocciofila, per Bad Bunny quella dei giardini di Porto Rico.

La sedia bianca sul set della nuova collezione COS

Ognuno di noi ha una Monobloc di riferimento (eh sì, non sono tutte uguali!) e un contesto tutto suo. Perché lei, onnipresente in ogni angolo del mondo, non ci impone nulla. Il primo a rendersene conto è stato Ethan Zuckerman, esperto di comunicazione del MIT che proprio alla sedia bianca ha dedicato una profonda riflessione definendola un «oggetto senza contesto».

«Osservando quasi ogni oggetto si può comprendere il tempo e il luogo a cui appartiene. Basta concentrarsi sull’uso dell’elettricità, i loghi o i materiali per capire se una foto è stata scattata negli anni Settanta o la scorsa settimana», scrive l’autore sul suo blog personale. «Ma la Monobloc è uno dei pochi oggetti completamente privi di un contesto specifico. Davanti a una sedia bianca non sappiamo con certezza dove siamo, in che tempo viviamo».

Per fare una Monobloc

La sedia bianca protagonista della campagna per la nuova collezione COS

La ragione per cui la sedia bianca è diffusa democraticamente in tutto il globo è molto semplice: costa pochissimo. È stata infatti pensata per essere realizzata a partire da un solo materiale nel minor tempo possibile – da qui il nome, che suggerisce appunto un unico blocco di materiale.

Il primo a realizzare la variante più vicina a quella che oggi è la sedia bianca per eccellenza è stato il designer canadese Douglas C. Simpson nel 1946, con un singolo pezzo di propilene fuso a 220°C e versato poi in uno stampo in modo da ottenere la forma desiderata. Da quel primo esempio ne sono seguiti altri, fino ad arrivare al modello con braccioli integrati, schienale leggermente curvo e seduta traforata. Con le tecnologie di oggi per realizzare una Monobloc serve meno di un minuto, si spende meno di un euro e la si vende sul mercato a meno di dieci.

La Monobloc rivisitata in blu per la campagna di AMI Paris (foto di Léon Prost)

Ogni fabbrica si prende la libertà di scegliere se realizzare un modello con lo schienale allungato, i piedi più o meno larghi, la seduta traforata o decorata. E ogni cliente la acquista, da sola o più spesso ancora in serie, per renderla protagonista dei contesti più disparati. Per la pausa tè nel souk marocchino, per il bar italiano in cui riunirsi a guardare i mondiali, o per una sala d’attesa particolarmente piena. Lei adempirà alla sua funzione, si rovinerà nello stesso modo su un set di moda e in una casa di campagna, e contribuirà a fare da sfondo ai ricordi di chissà quante altre generazioni.