Per tentare di contrastare un calo demografico, come il nostro, senza precedenti, la Regione Puglia decide di investire sul social freezing, la crioconservazione, cioè il congelamento degli ovuli.

Cos’è la crioconservazione, detta anche “social freezing”

La crioconservazione, che si chiama anche “social freezing”, consiste nel prelevare gli ovociti dal corpo della donna e congelarli per fecondarli al momento opportuno: una tecnica messa a punto per preservare chi, per affrontare un tumore, deve sottoporsi a terapie che compromettono la fertilità. Ma rappresenta un aiuto anche per le donne che desiderano posticipare la gravidanza e sono consapevoli che in età adulta potrebbe non essere così semplice.

L’aiuto alla crioconservazione di Regione Puglia

Pensando alle donne tra i 27 e i 37 anni che scelgono di darsi una chance di diventare madri nel futuro (quelle con tumore accedono alla crioconservazione in modo gratuito), la Puglia stanzia un contributo una tantum fino a un massimo di 3mila euro. Una misura singolare, un piccolo bonus che aiuterà qualche donna, ma che sicuramente non risolleverà la denatalità italiana, un processo irreversibile, in corso da più di vent’anni.

I requisiti per accedere alla crioconservazione in Puglia

Ma vediamo intanto la misura. Le donne in questione devono risiedere in Puglia da almeno 12 mesi al momento della domanda, che va presentata entro il 3 luglio 2025, e avere un Isee pari o inferiore ai 30mila euro. Il contributo quindi intende anche rendere meno elitaria questa pratica (che parte infatti da circa tre mila euro) e copre le spese mediche di crioconservazione degli ovociti nei centri PMA pubblici o privati autorizzati, cioè iscritti nel registro nazionale del Ministero della Salute. Lo stanziamento non copre però i costi degli esami propedeutici al percorso di Pma, la procreazione medicalmente assistita, necessaria per poter utilizzare i propri ovuli.

Quando cala la fertilità

Di fatto, la fertilità inizia a calare intorno ai 30 anni ma oggi in Italia l’età media in cui si diventa mamme per la prima volta è di 33,2 anni, età che sale a 36,7 se si passa attraverso la procreazione medicalmente assistita. Un percorso – quello dell’impianto degli ovuli fecondati – che naturalmente deve seguire anche chi si sottopone alla crioconservazione. E che non è scontato funzioni, soprattutto se l’età della donna è avanzata. D’altra parte, i motivi per cui facciamo figli sempre più tardi sono noti: la durata della formazione universitaria, il lavoro precario, le difficoltà abitative, i salari bassi rispetto al costo della vita.

Cosa serve davvero alle donne

Proprio per tutti questi motivi, il semplice stanziamento di un bonus non può risolvere il problema del calo della natalità, come spiega Mario Puiatti, presidente di Aied (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica), che negli ultimi 70 anni ha combattuto per rendere legale la contraccezione in Italia e co-promosso la conquista dei diritti civili, dal divorzio all’aborto. «Il vero problema da sanare è creare le condizioni perché le donne che vogliono fare figli, possano farli. Chiariamo che diventare madri non è obbligatorio, cioè non è un dovere sociale da assolvere. Ma è obbligatorio per un Paese civile che le donne che lo desiderano possano avere dei bambini, in qualsiasi condizione si trovino: con o senza partner. Occorre cioè che le donne non solo sappiano, ma percepiscano nel profondo di sé, che la società tutta le aiuterà, che riusciranno nel loro progetto nonostante magari il lavoro precario o un partner che a un certo punto potrebbe non esserci più. Occorre insomma che intorno alle donne ci sia una rete di servizi e persone che le garantisca e le tuteli».

Quanti posti negli asili nido

L’ultimo report di Openpolis del 2024 riporta che l’offerta di posti in asili nido e servizi per la prima infanzia è cresciuta nel 2022. In questo periodo è infatti passata da 28 a 30 posti ogni 100 bambini con meno di 3 anni residenti in Italia. C’è comunque uno scarto importante: 70 bambini restano fuori, con una concentrazione nel Sud e nelle isole. «Gli asili nido dovrebbero essere disponibili per tutti e soprattutto gratuiti» prosegue Puiatti. «Nel 1978 il Sistema Sanitario Nazionale ha rivoluzionato l’accesso alle cure, stabilendo che l’industriale e il disoccupato meritino lo stesso trattamento sanitario. Per l’infanzia non è accaduta la stessa cosa».

La denatalità italiana è una voragine

Ma le donne italiane fanno meno figli anche perché è dimostrato in tutto il mondo che quando aumentano il reddito e la cultura, diminuiscono i nuovi nati. Parliamo quindi di un calo strutturale, a fronte di Paesi invece in esplosione demografica. «Anche se tutte le donne italiane in età di gravidanza decidessero di fare figli, non riusciremmo comunque a coprire il buco della natalità, che ormai è una voragine» prosegue Puiatti. «Occorrerebbe invece una vera politica migratoria, considerando per esempio che entro il 2030 oltre il 40 per cento della popolazione giovanile mondiale sarà africana ed entro il 2100 la popolazione africana raddoppierà, passando dagli attuali 1,48 miliardi a 3,8 miliardi». Insomma, additiamo alla luna ma guardiamo il dito.