Lombardia maglia nera circa la tutela del diritto all’aborto. Nella Regione con il più alto numero di interruzioni di gravidanza (oltre 11mila all’anno), ci sono cinque ospedali che non praticano alcun tipo di IVG, sei che offrono solo la prestazione chirurgica, meno della metà che utilizzano la Ru486 (aborto farmacologico) e con all’interno un’obiezione inferiore al 50 per cento, mentre in un quarto dei presidi ospedalieri gli obiettori superano il 70 per cento dei medici, e in alcuni centri anche l’80 per cento.

L’indagine sull’aborto in Lombardia con i nuovi dati

Questa la fotografia impietosa della realtà dell’aborto oggi in Lombardia, nel giorno in cui la legge 194 compie 47 anni. I dati sono il frutto dell’indagine che da dieci anni il Gruppo Pd Lombardia svolge ogni anno nella propria Regione, per supportare la carenza di dati a livello sia regionale, sia nazionale. L’ultima indagine nazionale risale al 2024 (Ministero della Salute) ma le cifre si riferiscono al 2022: «Impensabile che per valutare la legge 194 ci si riferisca a dati vecchi di due anni. Molti ospedali nel frattempo hanno chiuso dei reparti, alcuni sono in ristrutturazione, in altri le IVG vengono appaltate a strutture esterne» spiega Paola Bocci, Consigliera del Gruppo Pd Lombardia e autrice della ricerca.

L’importanza di dati e mappe per le donne

«Come fanno le donne a sapere dove poter abortire? Dovrebbe esserci una rilevazione annuale, chiara e trasparente, consultabile, utile alle persone, e non ottenere i dati grazie a faticose richieste di accesso fatte struttura per struttura, per poter mappare gli ospedali in cui questo diritto venga garantito. Perché, ricordiamocelo, – prosegue la consigliera Bocci – l’aborto fa parte dei Lea (i Livelli Essenziali di Assistenza) e spetta alle Regioni garantirne l’applicazione. Quando i diritti non sono tutelati, sono le istituzioni a dover applicare dei correttivi: per esempio dando alle donne non solo la possibilità di accedere all’IVG, ma anche di sapere come farla, per esempio dando informazioni e comunicazioni sull’aborto farmacologico, ancora troppo poco conosciuto e utilizzato».

L’obiezione di coscienza in Lombardia scende

Tra tanti modi di boicottare quello che a tutti gli effetti è un diritto, almeno l’obiezione di coscienza in Lombardia sta diminuendo. Per la prima volta, si osserva la parità, forse – chissà – sulla spinta delle nuove leve di medici. Rimangono sacche di obiezione in alcuni territori, mentre la provincia di Lodi ha il numero più basso di obiettori (29 per cento dei medici). Come sappiamo, la legge 194, all’articolo 9, consente l’obiezione di coscienza. Ma attenzione: a livello individuale, non di struttura. Obiezione che non si può estendere alla certificazione. «Qualunque medico è tenuto a rilasciare il certificato per l’IVG. Il problema è che l’obiezione non incide solo sulle donne ma anche sugli altri professionisto perché, diminuendo quelli che la praticano, sono gli altri a dover sopperire». E così si verificano fenomeni come la migrazione dei medici in altre strutture, dove si tende a concentrare le IVG.

Lombardia seconda nei tempi di attesa troppo lunghi

La Lombardia, però, è maglia nera per i tempi di attesa. Secondo il Ministero, il 32,8% delle donne lombarde deve attendere oltre 15 giorni per una IVG dal rilascio del certificato, contro il 24,6% di media del Nord Italia e il 22,2% di media nazionale. Peggio fa solo il Veneto (45,2%). Senza contare il tempo perso a causa della difficoltà a reperire informazioni su come accedere all’IVG in Lombardia. Il risultato di questo intreccio di problemi è che le persone, soprattutto le più vulnerabili, si ritrovano disorientate, con rischi altissimi per la salute, soprattutto mentale.

Lombardia: aborto farmacologico a macchia di leopardo

La Lombardia non primeggia neanche nell’uso della pillola abortiva. In Europa è usata da oltre 30 anni, mentre in Italia è ancora considerata un farmaco rischioso ed è difficile da trovare. In Lombardia esistono molte differenze nell’utilizzo: Lodi è la provincia più alta, con il 74 per cento di strutture che la applicano. «La media in Lombardia è quest’anno del 57 per cento, un dato salito leggermente ma che comunque vede la nostra Regione ancora in retroguardia rispetto ad altre più virtuose che, già nel 2022, erano vicine al 70 per cento» spiega Paola Bocci. «In Emilia Romagna, per esempio, si può optare per la RU486 direttamente in consultorio. Serve una direttiva regionale che imponga ai presidi di erogare le IVG con entrambi i metodi, affinché le donne possano davvero scegliere. Contemporaneamente, serve che sia riconosciuta centralità ai consultori pubblici, che devono essere in maggior numero e potenziati, non limitati alla produzione di certificazioni, per poter erogare anche loro la farmacologica, come già da anni avviene in Emilia-Romagna e dove, dal 2025, la Giunta regionale ha deliberato un protocollo”, spiega la consigliera Pd.

Troppo pochi i consultori

Oggi, la Lombardia ha un numero di consultori tra i più bassi dìItalia: 0,3 ogni 20mila abitanti, mentre dovrebbe essercene almeno uno. Nelle valli bergamasche (che non sono spopolate) addirittura uno ogni 100mila persone.

Lombardia e movimenti contro l’aborto: il primato

Tra i vari primati, la Regione Lombardia è la pioniera della collaborazione tra amministrazione regionale e movimenti contro l’aborto. Come spiega Medici del Mondo, per prima, nel 2010, ha istituito un fondo gestito dal Movimento per la Vita (MpV), primo movimento antiabortista nato dopo la legge 194, favorendo la diffusione dei Centri di aiuto alla vita (CAV) anche all’interno di ospedali e consultori. Ad aprire loro le porte è stata la delibera della giunta regionale promossa dall’allora presidente Formigoni, che già dal 2000 permette ai consultori familiari privati accreditati di non erogare le prestazioni previste per l’IVG, legittimando, di fatto, l’obiezione di struttura vietata dalla legge 194.

La campagna The Unheard Voice ha fatto tappa a Milano

L’Italia è stata più volte richiamata a livello internazionale, con il Parlamento Europeo che ha chiesto di rimuovere le barriere e fermare i finanziamenti ai gruppi anti-scelta. A sottolineare la condizione della Lombardia, Regione all’avanguardia in tanti campi ma che sul fronte dell’accesso all’IVG presenta molteplici contraddizioni, Medici del Mondo ha fatto tappa a Milano con la speciale installazione cuore della campagna The Unheard Voice, iniziata nel 2024 con il Report che documenta la situazione italiana circa l’aborto. Dopo Roma, Parigi e Torino, una teca trasparente che riproduce un piccolo ambulatorio ginecologico ha reso possibile ascoltare le frasi realmente pronunciate dal personale sanitario, come «Doveva pensarci prima!», «Ti sei divertita, ora paghi», «Siamo donne, dobbiamo soffrire». Tutte testimonianze reali di donne raccolte con l’aiuto del progetto Obiezione respinta e di Federica Di Martino, psicoterapeuta autrice della pagina Instagram @ivgsto benissimo. Testimonianze che si possono ascoltare sui social e su Spotify.

Lombardia e Italia lontane dalle raccomandazioni dell’Oms

«I dati dei nostri report e le testimonianze di The Unheard Voice parlano di barriere politiche che ostacolano l’accesso a una pratica medica consentita in Italia da ben 47 anni e, soprattutto, rivelano quella che è una vera e propria violenza istituzionalizzata che non può più essere tollerata – dichiara Elisa Visconti, Direttrice di Medici del Mondo Italia. «La Lombardia ben rappresenta un’Italia nei fatti ancora lontana dalle raccomandazioni dell’Oms e dal diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione e garantito dai Livelli Essenziali di Assistenza».

Lo studio sulle donne post aborto

Secondo l’OMS, limitare l’accesso all’aborto aumenta stress e stigmatizzazione, violando i diritti umani. Lo studio Turnaway – l’analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health (ANSIRH) presso l’Università della California, San Francisco – dimostra che le donne costrette a portare avanti una gravidanza indesiderata hanno maggiori probabilità di sviluppare problematiche legate alla salute mentale (ansia in primis), nonché di vivere in povertà o con un partner violento. Al contrario, il 99% di chi ha avuto accesso all’IVG dichiara di non provare rimpianto, ma sollievo.