Blandine Miko (a sinistra) e Karen Parsotamo (a destra)
Blandine Miko (a sinistra) e Karen Parsotamo (a destra)

Blandine e Karen, (future) mediche in Africa

Due giovani donne stanno per iniziare gli studi di medicina in Africa. Per sostenerle, le associazioni Waves, Epsilon e Fondazione PRO.SA hanno organizzato un evento benefico. Noi, invece, le abbiamo raggiunte grazie a un intermediario, e abbiamo raccolto le loro storie

Karen ha 18 anni e vive in Mozambico. Blandine di anni ne ha 22 ed è nata in Benin. Se a separarle sono 4738 chilometri, ad avvicinarle è una grande passione, quella per la medicina, che ci hanno raccontato essere più una volontà concreta di cambiare le loro realtà che non un “semplice” sogno. Le loro vite stanno per trasformarsi radicalmente, perché ad accomunarle c’è anche una grande opportunità: grazie all’impegno di tre associazioni umanitarie, Blandine e Karen potranno studiare, a differenza di quasi tutte le altre donne dei loro villaggi. Le donazioni raccolte con l’evento “Ciao Walter” (l’appuntamento dedicato al professor Walter Albisetti, medico, fondatore di Waves, una delle associazioni, è per domenica 22 ottobre, ore 18, al Teatro alla Scala di Milano) serviranno proprio a questo: pagare gli studi in medicina delle due ragazze e permettere loro di diventare mediche. Insomma, con un unico gesto finanziare un doppio futuro: il loro e quello dei loro Paesi.

Noi, in contatto con Karen e Blandine

Rocambolesco: non può che essere definito così il nostro tentativo di comunicare con le due ragazze. Non siamo riuscite a parlarci direttamente, perché nei loro villaggi la connessione non c’è o funziona poco. Fortunatamente, però, l’associazione Epsilon può contare su Fra Pascal. Nato 52 anni fa in Benin, anche lui aveva potuto studiare Medicina e Chirurgia grazie al Prof. Albisetti. E, in un intreccio straordinario tra passato e presente, è lui ad aver portato in Africa le nostre domande, consegnate tramite WhatsApp alla Responsabile della Scuola Girasole di Nampula e alla suora del Ctal di Ouidah. Da loro, Karen e Blandine le hanno poi ricevute. In un percorso speculare direzione Italia, le loro risposte hanno fatto capolino nella nostra posta elettronica. Ed ora approdano qui, restituendo l’istantanea di due giovani vite, tanto speranzose ma altrettanto consapevoli, portavoce di migliaia di donne africane che ancora non possono studiare, lavorare, migliorare la salute (letterale e metaforica) della loro comunità.

Diverse origini, stessa passione

Blandine è nata a Sékou, da una famiglia povera, con padre agricoltore e madre casalinga. Ha tre sorelle e due fratelli, ma lei è l’unica ad aver studiato. Karen invece è cresciuta a Nampula e vive con la madre e i tre fratelli. Anche la sua città, come il villaggio di Blandine, è sottosviluppata. «Non ha molte risorse, né medici. Ma in compenso ha tante persone che hanno bisogno di aiuto», ci ha detto. Ed è proprio per questo che vuole diventare una dottoressa: «Fin da quando ero bambina ho sempre desiderato diventare una dottoressa. Voglio studiare medicina per entrare in contatto diretto con le persone, aiutarle e cambiare la loro vita». La stessa passione anima Blandine, anche nel suo caso fin da piccolissima. «Ho pensato per la prima volta di diventare medica quando, all’età di 7 anni, sono stata accolta dalle suore dell’OCPSP in un centro di cura della lebbra. Sono state loro a motivarmi a scegliere la medicina come percorso di vita, con l’obiettivo di sentirmi utile nella vita quotidiana dei malati», ci ha spiegato.

Per le donne africane la strada è ancora lunga

Dalle testimonianze di Karen e Blandine emerge, purtroppo, un quadro comune. Che è quello di un continente in cui il divario di genere è un problema ancora spiccatamente strutturale ed esistenziale. «Sono stati fatti progressi, ma resta ancora molto da fare per garantire l’uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne», ci spiega Blandine. E Karen aggiunge che «violenza, molestie e disuguaglianza di genere sono alcune delle sfide più grandi. A casa, sul posto di lavoro o per strada».

A entrambe abbiamo chiesto come vivono le ragazze e le donne nelle loro città, in Mozambico e in Benin. Blandine e Karen ci restituiscono due affreschi simili. «Nel mio villaggio, le donne e le ragazze sono spesso impegnate nelle faccende quotidiane, come la preparazione dei pasti e l’agricoltura. La maggior parte di loro è analfabeta, perché non ha i mezzi per ottenere una buona istruzione. Molte non possono studiare a lungo e preferiscono seguire corsi di formazione di cucito o da parrucchiere per costruirsi una professione il prima possibile». Anche Karen ci racconta che «la maggior parte delle ragazze e delle donne di Nampula non ha accesso all’istruzione, spesso a causa della povertà, ma anche degli stereotipi. Alle donne africane viene insegnato fin da piccole a cercare marito e a sposarsi, altre sono costrette a matrimoni precoci e finiscono per abbandonare la scuola».

Abbozzare il futuro, mio e di tutte

Tutte le maratone, però, partono da una falcata. Come tutti i disegni da uno schizzo. È questa la speranza di Karen e Blandin: compiere il primo passo e lasciarne un’impronta, testimonianza concreta per tutte le altre bambine, ragazze, donne che nutrono e nutriranno le loro stesse aspirazioni. Intanto, però, c’è un presente importante che le attende. Blandine studierà Medicina e Chirurgia nell’università di Ouagadougou, in Burkina Faso. A pensarci, ci confida: «In futuro mi vedo in grado di fare grandi cose! Lavorerò sodo per laurearmi e specializzarmi in cardiologia. Contribuirò a migliorare la salute e il benessere della mia comunità, fornendo cure di qualità e coltivando l’empatia verso i miei pazienti». Karen invece studierà nell’ateneo di Maputo, in Mozambico. Anche lei, però, con la stessa determinazione: «Mi impegnerò negli studi in Medicina e Chirurgia e diventerò una medica. Aiuterò le persone che vivono nella mia comunità, ma non solo».

Grazie ai donatori e alle associazioni, entrambe potranno acquisire competenze preziose, che consentiranno loro di esercitare un impatto diretto sui Paesi d’origine. Un’opportunità, dunque, che non solo corona due sogni personali, ma che soprattutto crede nella possibilità di intervenire anche sulla collettività di realtà povere, difficili e disagiate. Soprattutto per le donne. «Il mio augurio – dice Blandine – è che continuino a rafforzarsi e a svolgere un ruolo sempre più importante in diversi settori della società. Grazie alle iniziative messe in atto per la loro emancipazione, spero che potranno davvero realizzare i loro più grandi sogni e contribuire, così, allo sviluppo del nostro territorio». E Karen aggiunge: «Per le donne del mio Paese c’è ancora molta strada da fare, perché manca del tutto una cultura che consenta alla donna di perseguire un cammino professionale. Io mi impegnerò, nel mio piccolo, per essere un esempio: una donna può portare grande beneficio a una comunità se messa in condizione di studiare e investire sul proprio sviluppo».

Il contributo delle donne africane all’economia dei loro Paesi

A dirlo non è solo Karen, ma anche diversi studi e rapporti. Come quello condotto dal McKinsey Global Institute, che evidenzia come un ipotetico scenario in cui le donne partecipano all’economia in modo identico agli uomini aggiungerebbe fino a 28mila miliardi di dollari al PIL globale annuo nel 2025. Un traguardo, però, che in Africa è ancora molto lontano. E che risente di una più generale condizione di criticità, fatta di povertà estrema, carenza alimentare, mortalità materna, mancato accesso all’energia pulita e ai servizi finanziari.

Qualcosa però sta già cambiando. Il rapporto “Profiting from Parity: Unlocking the Potential of Women’s Businesses in Africa Flagship”, per esempio, mette in evidenza il ruolo fondamentale svolto dalle donne nelle economie dell’Africa subsahariana, l’unica regione in cui costituiscono la maggioranza degli imprenditori. Le sfide legate al genere rimangono, ma la condizione delle donne africane sta subendo cambiamenti significativi. Il continente presenta infatti un tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro che supera quelli di qualsiasi altra regione tra i paesi in via di sviluppo. E c’è anche un altro dato positivo: le imprenditrici dimostrano più probabilità, rispetto ai colleghi uomini, di assumere altre donne, suggerendo che potrebbero rappresentare un vero motore per coinvolgerle ancora di più nel mondo del lavoro. L’unica strada percorribile, dunque, è quella che ci vede impegnati a fare rete. In nome di quella stessa solidarietà che permetterà a Karen e a Blandine di iniziare ad abbozzare un futuro più equo ed inclusivo, per loro e per tutte.

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