La dieta mediterranea esiste “da sempre” nell’area dei paesi che si affacciano proprio sul Mar Mediterraneo, come Italia, Spagna, Grecia e Francia. Ma è da 15 anni che ha ottenuto il riconoscimento di Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Complici i cambiamenti sociali, l’arrivo di tendenze (e mode) anche da realtà molto differenti, specie anglosassoni e americane, la Dieta mediterranea è sempre meno seguita anche là dove era nata, specialmente tra i più giovani. E così i nutrizionisti hanno pensato di modificare la piramide alimentare. Ecco come (e perché).

La dieta mediterranea è sempre meno seguita

«Meno mortalità, maggiore prevenzione di malattie croniche come quelle cardiovascolari, neurodegenerative, diabete e cancro: sono i vantaggi della dieta mediterranea, dimostrati da numerosissimi studi nel corso degli anni. Eppure diminuiscono coloro che ne seguono i principi, «soprattutto tra le giovani generazioni», osserva Anna Tagliabue, Presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). Per questo, e per richiamarne l’importanza, proprio la Dieta mediterranea è stata scelta come tema centrale per l’apertura del 45° Congresso Nazionale della SINU, la Società italiana della Nutrizione umana, che si svolgerà a Salerno dal 28 al 30 maggio 2025.

I giovani consumano meno frutta, verdura e legumi

«In Italia il 9% di bambini e adolescenti dichiara di non mangiare mai verdure, il 7% di non consumare ma ifrutta», spiega Francesca Scazzina, Professore associato di Nutrizione umana dell’Università di Parma e membro del Consiglio Direttivo SINU. Diminuisce anche la presenza dei cereali integrali sulle tavole degli italiani, specie i più giovani (appena il 26%). Latte e latticini scendono al 14%, mentre il 47% di bambini e ragazzi dice di consumare più di 3 porzioni di carne alla settimana.

Dieta mediterranea addio?

Come spiega ancora Scazzina, «Uno studio che ha indagato le abitudini di più di 2.000 studenti universitari italiani evidenzia un’aderenza medio-bassa del 72%. Così come un’indagine che ha coinvolto più di 800 persone rappresentative della popolazione italiana, riporta una percentuale dell’80,4%». Alcuni alimenti tipici rimangono, come nel caso dell’olio d’oliva, ma a preoccupare gli esperti è il fatto che stia diminuendo il consumo di frutta e verdura, cereali integrali, latte, latticini e legumi, proprio tra le giovani generazioni, tanto da non essere adeguato alle linee guida».

La piramide alimentare della dieta mediterranea cambia

«Pur rispettando le raccomandazioni generali, di cui la piramide non è altro che la raffigurazione grafica, abbiamo pensato di modificarne alcuni aspetti, per adeguarla ai cambiamenti della società e anche a quanto è emerso dagli studi scientifici più recenti. Per esempio, invece dell’olio d’oliva è presente l’olio extravergine d’oliva, che si è dimostrato avere un contenuto maggiore di sostanze antiossidanti e benefiche rispetto al semplice olio di oliva», spiega Francesco Sofi, membro del Comitato Scientifico della SINU, Professore associato di Scienze dell’Alimentazione presso l’Università di Firenze, Direttore di Unità di Nutrizione dell’azienda ospedaliera di Careggi.

Più legumi e più verdure

Un altro adeguamento, invece, riguarda lo stile di vita, che oggi è diverso rispetto a qualche anno fa: si esorta, per esempio, a consumare meno carne (specie rossa) a favore di alimenti che possano compensarne il contenuto proteico: «Per questo abbiamo ritoccato il contenuto dei legumi, implementandolo. Alcuni regimi alimentari non li contemplano come base nelle proprie raccomandazioni di consumo giornaliero e settimanale, ma noi ne sottolineiamo il valore, soprattutto come sostituti delle proteine animali, delle quali oggi si tende a consigliare un consumo limitato. La stessa OMS ci dice che dovremmo spostare la nostra alimentazione su base vegetale», osserva Sofi. I legumi, che c’erano anche in passato, oggi andrebbero quindi valorizzati ancora di più.

Meno parmigiano, più formaggi freschi

Infine, un altro esempio di modifica della piramide alimentare riguarda i latticini, tra i quali vengono distinti quelli freschi da quelli stagionati: «In passato si contemplava un maggior consumo, per esempio, di parmigiano o pecorino, che continuano a essere importanti, ma dei quali andrebbe limitato il consumo a favore invece di formaggi freschi come mozzarella, ricotta o robiola: questo perché sono meno grassi e con minor contenuto di colesterolo. Oggi la popolazione ha maggiori rischi di andare incontro a malattie cardiovascolari, quindi sarebbe bene modificare anche i consumi per ridurre questo tipo di problematiche», sottolinea ancora Sofi.

Attenzione alle diete di moda del momento

Intanto negli anni si sono fatti largo anche altri regimi alimentari, come la dieta chetogenica, la DASH, la flexitariana o la intermittente. Spesso hanno nomi esotici, come la South Beach (che deve la denominazione al fatto che arriva dalla Florida, dove si trova la nota località) oppure sono pensate per intolleranze o disturbi intestinali specifici legati a qualche alimento, come la fodmap. «Tra tutte, la flexitariana italiana è quella che meglio si sposa con i principi della mediterranea: di fatto non identifica uno schema alimentare specifico, ma onnivoro, seppure con l’introduzione limitata di alcuni alimenti. Non esclude nulla in modo categorico. Per le altre diete, invece, non ci sono dati scientifici minimamente paragonabili alla mediterranea in quanto a benefici per la popolazione generale», conferma Sofi.

La dieta deve essere anche sostenibile

A ciò si aggiunga il fatto che una dieta dovrebbe essere prima di tutto uno stile di vita, dovrebbe essere equilibrata, varia e dunque anche sostenibile nel tempo e sana, quindi in grado di apportare benefici non solo e non tanto alla linea, ma prima di tutto in termini di salute. «La mediterranea ancora una volta si conferma come la più sostenibile nel lungo periodo, sia in termini alimentari per i benefici alla salute, sia da un punto di vista ambientale e anche sociale, in questo caso perché consente la convivialità. Nonostante i rincari sul carrello della spesa, è anche e ancora sostenibile da un punto di vista economico», conclude l’esperto.