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L’ansia è maschio o femmina?

Depressione e ansia per le ragazze, aggressività e tossicodipendenza per
i ragazzi. Un recente studio condotto su 1.500 adolescenti rivela che anche nel disagio mentale esistono differenze di genere. Una scoperta importante per riconoscerlo e curarlo

L’ansia dei nostri ragazzi

La scena è questa: in una stanza d’ospedale ci sono sei ragazzi. Tre femmine e tre maschi. Elisa, Martina e Rebecca parlano fitto tra di loro, occhi di velluto, capelli lunghi che accarezzano le spalle e mani che non stanno mai ferme. Il tema della conversazione? «Due bastardi» sbotta Rebecca. Che non sono, però, i fidanzati. Ma l’ansia che non le lascia dormire e scava dentro vuoti spaventosi.

Il rapporto malato col cibo

E il rapporto malato con il cibo: un giorno digiuno, l’altro grandi abbuffate. «Ho iniziato con una dieta, di quelle che si trovano online. Ho tolto i carboidrati e i dolci. Per due anni non ho mangiato pasta. Mi vedevo le gambe grosse e volevo dimagrire a tutti costi» dice Martina. Poco più in là Mattia, Federico e Giacomo parlano con una psicologa. Di cosa? Delle loro fragilità: dipendenza da alcol e droghe leggere, problemi di condotta a scuola e scatti di rabbia incontrollabile. «Quando succede, sento dentro qualcosa che esplode, che diventa pugni, aggressioni, urla, attacchi spesso rivolti alle persone, come i miei genitori, che di quella rabbia provano a farsi carico e a trasformarla in altro» dice Giacomo.

Il progetto che ha indagato il disagio degli adolescenti

È una sola diapositiva quella che vi abbiamo appena raccontato. Ma può avere una valenza più generale e accendere i riflettori su una cosa che forse molti hanno percepito, magari in maniera inconsapevole, ma che non abbiamo mai preso davvero in considerazione: il disagio psicologico ha un genere. Lo rivelano Unicef Italia, l’Unità Operativa Semplice di Psicologia Clinica con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, che hanno realizzato il Progetto #WITHYOU, Wellness Training For Health – La Psicologia con te, con l’obiettivo di promuovere un percorso di sostegno psicologico dedicato a pre-adolescenti e adolescenti e alle loro famiglie. «Il progetto, della durata di un anno, da maggio 2022 ad aprile 2023, ha coinvolto 1.571 giovani, il 46% femmine e il 54% maschi» spiega Daniela Chieffo, responsabile Unità Operativa Psicologia Clinica Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professoressa di Psicologia generale all’Università Cattolica. «In 383 valutazioni, di cui ben più della metà riguardavano ragazze, si evidenzia un’alterazione clinicamente significativa nella scala internalizzante; mentre in 176 valutazioni, quasi tutte al maschile, se ne evidenzia una nella scala esternalizzante».

L’ansia è tipica delle donne

Queste due parole – “internalizzante” ed “esternalizzante”- sembrano darci una prima indicazione utile su come individuare per genere i disagi mentali. Ma cosa significano? «La dimensione psicologica di ognuno di noi è fatta dall’equilibrio di queste due polarità, che non devono essere disallineate nel tempo» spiega Daniela Chieffo. «La sfera internalizzante si riferisce a quei comportamenti tipici di una persona che interiorizza tutto ciò che succede intorno a lei. È una personalità che “trattiene” le emozioni, che non riesce a dar loro un nome, a viverle». Si creano così degli strati, dei detriti, una specie di effetto imbuto che non fa scorrere liberamente i pensieri e le emozioni. Avete presente il rimuginio continuo, l’overthinking tipico di noi donne? Ecco parliamo (anche) di quello. «I disturbi internalizzanti sono disturbi prettamente femminili, di quella che io chiamo mente “pink”» continua l’esperta. Per evitare equivoci: non stiamo parlando di una ragazza timida, introversa, che trova un equilibrio nella polarità internalizzante, perché la timidezza non è una patologia, bensì un tratto della personalità che va rispettata e non strattonata. «Si parla di disturbi quando certi disagi impattano sulla quotidianità, sulla qualità della vita» specifica la dottoressa Chieffo. Rebecca lo sa bene: è dalla seconda liceo che soffre di attacchi di panico e andare a scuola è diventato difficile. Proprio l’ansia, così come la depressione, l’alienazione, l’autolesionismo, l’anoressia e la bulimia, sono tutti disturbi internalizzanti. E, a pensarci, prettamente femminili.

L’atteggiamento da bullo è tipico degli uomini

Passiamo alla seconda parola che ci guida in questa riflessione. «La polarità esternalizzante si riferisce a tutti quei comportamenti iperattivi, a volte violenti, bruschi, difficili da controllare. Di solito sono persone che provano a comunicare il loro disagio provocando una reazione nell’altro, creando rumore, disturbo nell’ambiente circostante» spiega l’esperta. Avete presente il bullo che attacca, anche solo verbalmente, la sua vittima? Ecco, lui – e non a caso usiamo il maschile – soffre di un’alterazione della sfera esternalizzante, che di solito colpisce di più i ragazzi, le cosiddette “menti blu”. «I comportamenti esternalizzanti includono l’aggressività fisica e relazionale, il bullismo, i problemi di condotta, la rabbia incontrollabile, le tossicodipendenze».

I disagi mentali diversi hanno una causa neurobiologica

Qual è la differenza tra la mente pink e quella blu? «Ci possono essere influenze culturali, retaggi sociali, spiegazioni antropologiche, ma la motivazione principale di questa differenza è legata alla neurobiologia. Significa che biologicamente noi donne siamo portate a soffrire di disturbi internalizzanti e gli uomini di quelli esternalizzanti. La ragione? Gli ormoni, i circuiti con cui vengono veicolati nel nostro corpo e le loro fluttuazioni. Faccio un esempio: la carenza del neurotrasmettitore della serotonina, che in noi donne capita in alcune fasi della vita, come l’adolescenza, la gravidanza, il post parto e la menopausa, può generare ansia e depressione. Mentre un’alterazione del circuito della dopamina e della noradrenalina, un neurotrasmettitore, che capita per esempio ai ragazzi durante lo sviluppo, può determinare un appiattimento cognitivo, problemi di condotta, disregolazione emotiva» dice Chieffo.

Il disagio mentale va affrontato

Il Progetto #WITHYOU ha acceso i riflettori non solo sul fatto che il disagio mentale abbia un genere, cosa che può essere di grande aiuto ai genitori, ma anche sull’importanza della prevenzione. «Se da un lato i risultati sono drammatici perché ci dicono che il 39% del campione soffre di disagio psicologico che potrebbe sfociare in una psicopatologia più grave, dall’altro sono incoraggianti perché sottolineano che alcuni disordini possono cambiare traiettoria se adeguatamente riconosciuti e accompagnati» conclude l’esperta. Cosa non da poco, in primis per i ragazzi e le famiglie, poi per la nostra società: un’azione di prevenzione capillare, a partire dalle scuole, potrebbe ridurre al minimo il ricorso a ricoveri in ospedale, che gravano sul sistema sanitario nazionale.

Torniamo in quella stanza dove avevamo cominciato il nostro racconto. Qualche ora dopo non ci sono più due gruppi distinti, le ragazze da una parte e i ragazzi dall’altra. Ma ce n’è uno unico. In cui ognuno racconta le sue fragilità, che siano da maschi o da femmine. Perché – e questo è il bello – per i ragazzi oggi parlare di salute mentale non è un problema. Anzi, è qualcosa che li fa sentire meno soli.

I segnali del disagio da cogliere: uguali nei due sessi

IN QUESTO CASO non ci sono differenze di genere. «I principali campanelli d’allarme sono quelli che minano la regolazione biologica, ovvero il sonno e il cibo: dormire poco, dormire male, dormire di giorno e stare svegli di notte. Ma anche dormire troppo, così come mangiare in modo sregolato o selettivo» spiega la psicologa Daniela Chieffo. Poi ci sono le espressioni psicosomatiche, soprattutto mal di testa e mal di pancia, ovviamente non correlate a una patologia clinica. Non vanno sottovalutati l’irritabilità e i cambiamenti repentini nei rapporti sociali: dalle frequentazioni sempre più rare con gli amici fino ad arrivare a un’alienazione o a un abbandono scolastico.

Il nostro progetto I FEEL GOOD

STARE BENE non è solo un obiettivo, è un diritto. Tutti dovremmo stare bene. Ma a volte ci vergogniamo di dire che non è così o ci trascuriamo perché abbiamo altro da fare. Per questo abbiamo lanciato il progetto I FEEL GOOD: un’iniziativa, in collaborazione con le altre testate del gruppo, Starbene, Sale&Pepe, CasaFacile e Confidenze – volta a rimettere “al centro” la salute, fisica e mentale. Come? Con contenuti print e digital e un grande evento a Milano, il 14 e 15 ottobre, presso la Fondazione Catella. Sarà l’occasione per parlare senza tabù e riscoprire la gioia di stare bene, con l’aiuto di psicologi, sessuologi, nutrizionisti, coach, personal trainer, insegnanti di yoga e mindfulness, stylist e make up artist coinvolti in un ricco calendario di talk, workshop, momenti di intrattenimento e  how-to . Iscrizioni gratuite a partire da settembre. Intanto, continua a seguirci e “coltiva” il benessere.

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