Collage con statua e simboli che indicano parolacce

Psicologia delle parolacce: imprecare fa bene?

La scienza sdogana il turpiloquio. Per il suo potere analgesico e catartico. Morale? Impariamo a farne buon uso: privarcene renderebbe le nostre conversazioni molto più noiose

Le parolacce aumentano la capacità di sopportazione

Nessuna teoria ti spiega come funziona la vita quanto l’esperienza. E allora, prima di leggere questo pezzo, fate così: prendete una bacinella piena di acqua e ghiaccio, immergetevi una mano e misurate i tempi di resistenza. Poi ripetete la prova e, mentre la mano sta lì a gelare, date libero sfogo al turpiloquio. Vale tutto. Alla fine, confrontate i risultati e vedrete che imprecando il dolore si sopporta meglio. Se poi doveste sentirvi un po’ fesse, sappiate che l’esperimento ha tutti i crismi della serietà ed è stato usato nel 2020 dallo psicologo britannico Richard Stephens dell’Università di Keele per indagare il potere catartico dello smadonno, dando conferma scientifica a quel che ogni maschio passato in sala parto ha capito a sue spese: imprecare dà sollievo, migliora performance e capacità di sopportazione. Del 33%, a voler essere precisi. Ma c’è di più: funziona solo con le parolacce.

L’effetto delle parolacce sul sistema nervoso

Perché capiti è questione più profonda di quel che sembri e la risposta, oltre che i meccanismi del dolore e l’interazione tra persone, tira in ballo ragioni fisiologiche, cognitive, emozionali e linguistiche. A indagare la questione ci ha provato un gruppo di studiosi britannici, coordinato dalla linguista dell’Ulster University Karyn Stapleton, in un articolo illuminante uscito sulla rivista Lingua nel 2022 che parte da un presupposto: imprecare ha un potere catartico che nessun’altra forma di linguaggio ha, ma delle ragioni da cui derivi questo potere sappiamo incredibilmente poco. L’ipotesi, scrive Stapleton, è che parolacce e bestemmie siano governate da aree del cervello differenti rispetto ad altre attività linguistiche, per la precisione «l’amigdala e altre parti del sistema limbico, strutture cerebrali che hanno un ruolo centrale nell’elaborare emozioni e che funzionano come risposte automatiche alle situazioni di stress». Questo spiegherebbe buona parte delle funzioni (positive) del sistema nervoso autonomo che le parolacce sembrano attivare nei molti esperimenti a loro dedicati.

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Che cosa succede quando sentiamo o leggiamo una parola tabù?

Steven Pinker, docente di Psicologia ad Harvard, in un articolo intitolato Tutti dicono “Fuck you”, tradotto in italiano su Internazionale, aggiunge un pezzo al puzzle spiegando perché quell’effetto le parole tabù ce l’hanno non solo quando le diciamo ma anche quando le ascoltiamo o le leggiamo. «Le parole non hanno solo una denotazione, ma anche una connotazione, cioè una coloritura emotiva distinta dal significato letterale del termine» scrive. «Le parolacce provocano una reazione diversa da quella dei loro sinonimi (merda e feci, per intenderci) anche perché le connotazioni e le denotazioni sono archiviate in parti diverse del cervello. È probabile che le denotazioni delle parole siano concentrate nella neocorteccia, sede della percezione, della conoscenza e della ragione, e le connotazioni siano invece sparse tra la neocorteccia e il sistema limbico, l’antica rete neuronale che regola le emozioni e le motivazioni. Quando sentiamo una parola tabù, l’amigdala si accende. La reazione non è solo emotiva, ma anche involontaria».

Il parere della linguista Vera Gheno

In pratica, dice la linguista Vera Gheno in una puntata del suo podcast Amare parole dedicata al turpiloquio, le parolacce sono parte del linguaggio umano in senso lato. «Sono come bombe a mano: disturbano il normale fluire della conversazione, destano scalpore, fastidio, imbarazzo». Quello che fa di una parola una parolaccia però, continua Gheno, è il tempo («un termine può diventare accettabile, da inaccettabile che era, e viceversa»). E, più di tutto, il contesto: che cosa succede quando la bomba esplode, dipende da quello che trova attorno.

È l’ora di sdoganare il turpiloquio?

In Inghilterra, a inizio anno, la questione è stata piuttosto dibattuta dopo che la giornalista Mishal Husain della BBC ha infilato una sequenza di sette parolacce in un minuto intervistando il Segretario di Stato James Cleverly, accusandolo di fatto di averle usate e mettendo i britannici con le spalle al muro: se anche una giornalista se lo concede, è l’ora di sdoganare definitivamente il turpiloquio? Oppure no?

La risposta più autorevole è arrivata da Robbie Love, docente di Letteratura Inglese all’Aston University, intervistato praticamente su tutti i media nazionali. «Imprecare, come tutte le altre forme di linguaggio, dipende interamente dal contesto» ha dichiarato al Guardian. «È quello che tu fai con una parola e i suoi significati quando la pronunci che la rende accettabile o meno. Quella era una strategia di intervista discutibile ma efficace. Quarant’anni fa non l’avrebbe mai usata, oggi invece sì. E purtroppo ha funzionato: questo è il nuovo modo di parlare e dobbiamo conviverci». Il cambiamento, spiega, riguarda tutti: certe parole hanno smesso di essere tabù, e non solo nel Regno Unito. Da insulto, sono diventate intercalare nei discorsi informali e segno di confidenza tra amici e colleghi. Anzi, come spiega Yehuda Baruch, docente di Economia aziendale alla University of Southampton, manager, avvocati e professionisti della finanza le usano volontariamente per fare gruppo, alleviare la tensione e sottolineare il punto di un discorso.

Le parolacce sfruttano le nostre capacità espressive

«Più di ogni altra forma di linguaggio sfruttano le nostre capacità espressive» dice Steven Pinker. «Il potere combinatorio della sintassi, il fascino evocativo della metafora, il potere della rima e la carica emotiva della nostra aggressività. Coinvolgono tutto il cervello: destro e sinistro, alto e basso, antico e moderno». Anche le parolacce sono uno strumento che fa bene o male a seconda di come lo si usa. Morale? Impariamo a farne buon uso: privarcene renderebbe la vita molto più piatta.

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