Kate Middleton che si sposa diventando principessa e Pippa che le ruba la scena con il più famoso vestito da damigella della storia. Serena Williams che batte Venus in una finale di Slam togliendole la vetta del ranking mondiale. Lee Radziwill e Jakie Kennedy, le ragazze Bouvier, la piccola scapestrata e la grande perfetta, che si dividono Onassis: l’amore alla prima, il matrimonio all’altra. Joan Fontaine e Olivia de Havilland che – ultranovantenni – rifiutano di partecipare insieme a un omaggio a Bette Davis. E poi tutte le storie raccontate sul grande e piccolo schermo, l’ultima delle quali è la serie Sorelle sbagliate.

L’elenco degli oltraggi celebri tra sorelle vale da esempio per tutti gli oltraggi rimasti nell’ombra delle vite lontane dai riflettori, fatti di rivalità, gelosie, rancori, confitti cominciati chissà dove nell’infanzia e mai risolti. Eppure, vale anche il contrario: il legame, le memorie condivise, il capirsi senza bisogno di parlare, nei casi più fortunati la complicità. E, per quanto lontane si vada, quei rancori e quel legame restano vivi come se esistesse una legge fisica, una gravitazione universale che attrae l’una all’altra con una forza a cui è impossibile sottrarsi.

Il legame tra sorelle, tra complicità e competizione

«Quello con la sorella è un legame strutturale» spiega Laura Pigozzi, psicanalista e psicologa clinica, autrice del libro Sorelle (Rizzoli). «E una grande scuola: ti insegna a tollerare, a negoziare, a far coesistere l’idea di essere diverse ma anche uguali. C’è un’ambivalenza che manca al legame tra fratelli. La relazione sorella-sorella ha dinamiche tutte sue perché implica il femminile, anzi un doppio femminile». Quando poi si aggiunge la madre, facilmente si assiste a un’esplosione atomica: la rivalità nasce da qui.

«La maggior parte dei problemi si verifica quando le due sorelle, invece di fare asse tra loro, entrano in competizione per le attenzioni materne. C’è questa idea che il rapporto tra sorelle non esisterebbe senza la mediazione materna, ma è vero il contrario. Perché nella relazione tra sorelle c’è l’odio ma anche l’amore, l’invidia, la proiezione, l’identificazione. C’è qualcosa che moltiplica l’enigma del femminile, ma al tempo stesso rappresenta una palestra utilissima per diventare donne».

Quando la madre entra in gioco

Il tempo agisce in maniera proporzionale alla storia di ciascuna: i figli, il lavoro, le differenze tra come si era e come si è diventate. «Molto dipende dalla presenza della madre. Se non è in grado di lasciare il campo libero, quella rivalità non elaborata rischia di diventare la matrice di ogni rivalità futura: per il lavoro, per l’eredità, per un uomo». Un meccanismo che tende a ripetersi.

«Le dinamiche tra sorelle spesso vengono traslate nel rapporto tra amiche: se ho avuto una sorella inaffidabile, difficilmente mi fiderò delle amiche, la sorella protettiva finisce per avere amiche che cercano protezione. E in tutti questi casi notiamo una costante: quella che sembra più forte in realtà dipende dallo sguardo di ammirazione dell’altra». Ma una via di uscita c’è, o almeno ci sarebbe. «Serve “liberarsi” della madre. Se continuiamo ad avere come referente il materno e a non compiere mai il “matricidio simbolico”, ci ammazziamo tra noi»

Sorelle, le storie

Anita, 35 anni, personal trainer

Il giorno e la notte. Ci hanno sempre descritte così. Paola, più grande di 2 anni, quella perfetta. Brava a scuola, non si sporcava nemmeno giocando e non ho mai capito come facesse. Io, l’opposto. La ribelle, quella che dal parco tornava con le ginocchia sbucciate e i vestiti lerci. Discussioni continue con mia madre per i compiti, per le uscite, per i ritardi, perché rispondevo male. E più vedevo Paola salire sul piedistallo, più a me veniva voglia infrangere le regole. «Eppure sono figlie degli stessi genitori» dicevano tutti. Vero. Però i genitori non sono stati gli stessi con noi due. O almeno è quello che ho sempre pensato io.

Ogni volta che Paola riceveva un complimento, ed erano tanti, l’invidia cresceva. Era sbagliato? Forse, ma ero una bambina e funzionavo così. E, in un certo senso, funziono così anche oggi. Lei si è laureata, fidanzata, sposata, è diventata mamma. Percorso netto. Io ho trovato la mia strada attraverso molte curve. Oggi amo i miei nipoti e sono felice che Paola abbia la vita che voleva. A modo mio, le voglio bene. Eppure, ai pranzi di famiglia, c’è sempre un momento in cui finisco per sentirmi fuori posto: la sorella sbagliata, quella venuta male. E allora esco sul balcone a fumare. Poi rientro e sorrido a tutti.

Emma, 51 anni, avvocata

La prima cosa che mi viene in mente, se penso a Sofia, è l’invidia. È stata gelosa da piccola e invidiosa da grande. Da bambina avrebbe voluto le attenzioni tutte per lei, ma doveva dividerle con me e, soprattutto, con nostro fratello che aveva una disabilità. Questo ha messo le basi per un rapporto malsano. È stata invidiosa che io abbia fatto l’università mentre lei era andata a lavorare, che fossi più carina di lei, che da adulta abbia avuto una vita più comoda della sua. Diceva che avrebbe voluto essere figlia unica: quando eravamo bambine tutti ridevano, ma era sincera.

Certo, momenti belli ne abbiamo avuti. Come quando, attorno ai 20 anni, siamo andate vivere insieme mentre i nostri genitori si separavano. Lei ha cercato in me un’alleata contro nostro fratello senza però riuscirci, e questo ci ha separate. Poi, la morte di papà ha aumentato il distacco. Il punto di non ritorno è stata la sua separazione: ha rinfacciato a me e nostra madre di non aver chiuso i ponti con il suo ex marito e ha smesso di parlarci. Sono 3 anni che non ci sentiamo. Se mi manca? Sì, ma mi manca l’idea di lei, quello che è stata, i momenti belli che non possiamo più condividere. Come quando una persona non c’è più.

Maria Francesca, 61 anni, collaboratrice domestica

Ho una sorella, Marilena, ma è come se fossi figlia unica. Già da ragazze era così: ognuna con la sua vita. Dormivamo sotto lo stesso tetto e prendevamo le stesse botte quando tornavamo tardi, ma, a parte questo, non condividevamo nulla. Lei aveva la sua compagnia, io la mia. In paese nessuno sapeva che fossimo sorelle. Tra noi non c’è mai stata invidia o gelosia. Io almeno non le ho provate, anche se lei era bellissima e io cicciottella. Perché sono sempre stata soddisfatta di me e lei non faceva parte dei miei giri.

La sfottevo solo perché non usciva di casa senza trucco: la chiamavo Gina, perché diceva che aveva gli occhi di Gina Lollobrigida. Più diverse non potremmo essere: io mi sono occupata dei nostri genitori, lei ha scelto di fare l’alberghiero, è andata a lavorare all’estero e, anche quando è tornata in Sardegna, è andata a vivere lontana. Io sono generosa, lei tirchia. Io ho la casa sempre perfetta, lei va a dormire senza problemi con i piatti sporchi. Dopo la morte di nostra madre, per il dolore Marilena ha avuto una brutta depressione e io mi sono trasferita da lei per un mese. Questo mi ha ammorbidita. Ma solo per un po’. Mi chiama lei, la domenica. E ci parlo. Ma come fosse un’amica lontana a cui non ho nulla da dire.