Lei indossa jeans e maglione, i capelli color petrolio sciolti sul tappeto chiaro, lo sguardo enigmatico che fruga nel vuoto. Lui, completamente nudo, la stringe a sé in posizione fetale, gli occhi a fessura, concentrati in un bacio. La foto più famosa di Yoko Ono e John Lennon è stata scattata da Annie Leibovitz, per la rivista Rolling Stone. New York, l’8 dicembre del 1980. «Hai catturato la nostra essenza» disse il cantautore britannico alla fotografa. Dieci ore dopo era morto, ucciso da 4 proiettili sparati da un fan squilibrato davanti al Dakota Building.
Quell’ultimo abbraccio, in cui John sembra proteggere Yoko e, al tempo stesso, ci si aggrappa come un naufrago a una zattera, è il perfetto emblema del legame indissolubile tra i due. Che furono amanti e complici, amici e soci cementati insieme dal sodalizio umano, creativo e spirituale. Ma anche dalla narrazione distorta e misogina che ha indicato nell’artista nata a Tokyo la responsabile della separazione dei Beatles. Un pregiudizio che ha continuato a perseguitare Yoko Ono per tutti questi anni, nonostante lei non abbia mai smesso di essere ben altro. Figura incendiaria del mondo dell’arte performativa e della musica sperimentale, attivista infaticabile, icona della libertà.
La (vera) storia di John e Yoko

Il musicista della band più leggendaria del Pianeta conosce la futura donna più odiata del rock nel 1966, alla galleria Indica di Londra. Il botta e risposta tra i due, di fronte all’opera di Yoko Painting to hammer a nail (con lei che proibisce a Lennon di piantare il chiodo nella tela bianca, come richiesto ai visitatori, perché l’esposizione è ancora chiusa, e lui che propone: «Se ti do 5 scellini immaginari, posso piantare un chiodo immaginario?»), getta il seme della loro intesa, che germoglia l’anno successivo.
Stampa e pubblico prendono Yoko subito in antipatia, molto più di quanto non abbiano fatto con le altre donne dei Beatles. Per Yoko, John lascia la moglie Cynthia Powell e il figlio Julian di 4 anni, ma questo c’entra solo in parte. Yoko non piace perché è asiatica e lontanissima dai canoni di bellezza dell’epoca. Ma anche perché ha le idee chiare e la personalità forte, trainante. Femminista, politicamente impegnata, dice quello che pensa, non ama sorridere, è troppo occupata a essere se stessa per preoccuparsi di conquistare la gente. Con lei John sperimenta forme musicali e artistiche inedite: dal primo, bizzarro album registrato insieme (Unfinished Music n. 1: Two Virgins, collage di vocalizzi, spezzoni radiofonici e cinguettii) a capolavori del pacifismo, come il brano Give peace a chance e la performance Bed-In, durante la quale la coppia, per protestare contro la guerra in Vietnam, resta a letto un’intera settimana in una stanza d’albergo dove i giornalisti hanno libero accesso dalle 10 di mattina alle 10 di sera.
L’effetto Yoko Ono, quando le donne «rovinano l’armonia»

L’opinione di Yoko, per John, è fondamentale. Sempre, anche durante le prove – normalmente off limits – dei Fab Four, tra i quali ci sono tensioni e bisticci da tempo. Quando nel 1970 il gruppo si scioglie, la colpevole è già lì, sotto i riflettori. «Da quando ho conosciuto John sono stata promossa a strega» racconta Yoko Ono in One to One, John & Yoko, documentario nei cinema dal 15 al 21 maggio che mette a fuoco l’inarrestabile impegno sociale e politico della coppia. «Dicono che sono una giapponese brutta e che mio figlio deve morire» aggiunge. L’ondata d’odio che investe l’artista è talmente violenta che, da allora, è ribattezzato col suo nome lo stigma secondo cui, quando una donna irrompe in una cricca di uomini, gli equilibri saltano e addio armonia, si scatena l’inferno.
L’effetto Yoko Ono ci vuole colpevoli di ogni male, manipolatrici, bugiarde, pronte a sfruttare il nostro fascino malevolo per trasformare i maschi in burattini. In fondo, quindi, potentissime. Tirato in ballo da chi rema contro la parità di genere, di solito prende di mira donne di carattere, poco portate a fare tappezzeria. Ultima tra le celebri, Meghan Markle. Checché se ne pensi, perfetto archetipo del fenomeno. Quando lei e il principe Harry hanno abbandonato il ruolo di membri senior della famiglia reale britannica per trasferirsi oltreoceano, l’ostilità nei confronti dell’ex attrice è montata come la panna. Le tensioni tra il marito e il fratello William? Citofonare Meghan. La privacy della Royal Family violata dal libro di Harry Spare? Come sopra.
Da Wallis Simpson a Victoria Beckham, le moderne Yoko Ono
Era successo qualcosa di simile 90 anni prima, quando l’americana divorziata Wallis Simpson era stata messa alla gogna in quanto causa della crisi costituzionale del 1936 in Gran Bretagna e dell’abdicazione di Edoardo VIII. L’opinione pubblica li inquadrò senza mezzi termini: arrampicatrice sociale lei, sottone lui. Un po’ come Victoria e David Beckham all’inizio della loro storia, quando Posh Spice fu incolpata di distrarre il calciatore del Manchester United e della Nazionale britannica e di influenzare troppo le sue decisioni (oltre che di essere frivola e snob).
Restando in tema sport, Melissa Satta è stata bersagliata durante la relazione con Matteo Berrettini del 2023, come se gli infortuni del tennista fossero dipesi da lei, mentre di Shakira si disse che era riuscita a peggiorare il clima nello spogliatoio del Barcellona, la squadra dove giocava l’ex marito Gerard Piqué. Nulla in confronto alla valanga di accuse contro Courtney Love, considerata responsabile di aver iniziato Kurt Cobain all’eroina, di averne ignorato la depressione, perfino di essere sopravvissuta al suo suicidio.
L’influenza di Yoko, nella società e nell’arte
A 92 anni, la capostipite dell’effetto Yoko Ono continua a non essere nel cuore di molti, ma la sua identità dirompente e il suo ruolo nell’universo artistico sono ormai riconosciuti. Lo sottolineano due libri freschi di stampa: la biografa Yoko, scritta dal giornalista David Sheff, non ancora pubblicata in Italia, e Yoko Ono – Brucia questo libro dopo averlo letto, di Francesca Alfano Miglietti e Daniele Miglietti (Shake Edizioni), che indaga l’impatto esercitato dall’artista sulla cultura underground.
In contemporanea è arrivata una grande mostra che celebra i momenti chiave della sua carriera: dopo il successo riscosso alla Tate Gallery di Londra, Music of the mind è al Gropius Bau di Berlino fino al 31 agosto. Tra le 200 opere esposte, Add Colour-Refugee Boat, che invita il pubblico a dipingere un relitto abbandonato, White Chess Set, scacchiera e scacchi bianchi con l’istruzione di giocare «finché riesci a ricordare dove sono tutti i tuoi pezzi», e il video di Cut Piece: durante questa performance del 1964, i visitatori potevano avvicinarsi a Yoko, seduta per terra, immobile e sola, e tagliarle via pezzi di vestito con una forbice. Potente, crudele. Come un presagio di quello che accadrà.