Anoressia tagliati fondi

Anoressia: come si vince se ci tolgono i soldi?

Sono quasi 4 milioni, nel nostro Paese, a soffrire di Disturbi del comportamento alimentare. E le diagnosi aumentano. Eppure sono stati tagliati i 25 milioni di euro destinati ai centri di cura. Risultato: molti rischiano di chiudere entro l’anno

Quello di Daniela, 24 anni, della provincia di Pavia, è un urlo di dolore. E di paura. Non tanto per gli ultimi anni in cui ha dovuto lottare con l’anoressia nervosa. Ma perché, proprio ora che sta meglio («Ieri, quando mi sono pesata, la bilancia segnava 41 chili!» dice, dopo che era arrivata a sfiorare i 35), teme che il centro dove viene curata chiuda. La causa? Il taglio dei fondi.

Il taglio dei fondi per combattere i Dca

Sì. Il rischio che stiamo correndo adesso in Italia è proprio questo. E il motivo è semplice quanto disarmante: il Fondo di 25 milioni di euro per il contrasto ai Disturbi del comportamento alimentare (Dca) che era stato stanziato dal governo Draghi scade il 31 ottobre 2024, e al momento non è stato previsto nella nuova Legge di bilancio. Mentre scriviamo quest’articolo, il ministro della Salute Orazio Schillaci sembra aver fatto un passo indietro: «Ho deciso, con un emendamento al decreto Milleproroghe, di mettere a disposizione del Fondo per i Dca 10 milioni di euro» ha dichiarato. Il merito di questa parziale vittoria va sicuramente alle 40 associazioni delle famiglie e agli studenti di tutta Italia che il 19 gennaio hanno indetto una mobilitazione, a cui hanno aderito 28 città, con lo slogan – o meglio, col grido di battaglia – “Ci state tagliando il futuro”.

Disturbi del comportamento alimentare: parlano i dati

Un primo passo avanti, anche se aspettiamo che l’emendamento sia approvato in via definitiva. Ma è comunque ancora troppo poco. Per capire perché una cifra che potrebbe sembrare esorbitante – 10 milioni di euro – in realtà sia un’inezia, dobbiamo guardare i numeri drammatici dei Disturbi del comportamento alimentare: anoressia, bulimia, binge eating disorder. Gli ultimi dati del ministero della Salute dicono che in Italia sono quasi 4 milioni i ragazzi e le ragazze che ne soffrono, che nel 2023 più di 3.000 persone sono morte e che negli ultimi 3 anni, anche a causa del Covid, gli esperti hanno registrato un aumento del 30% delle diagnosi, con il doppio delle richieste di ricovero. E mentre i numeri si impennano inesorabilmente e sono sempre più difficili da quantificare, perché molti non hanno ancora accesso alle cure, l’età dei ragazzi che soffre di Dca si abbassa: oggi non è più così raro, infatti, che si ammalino di anoressia bambini di 8-9 anni.

I nuovi volti dei disturbi alimentari

VEDI ANCHE

I nuovi volti dei disturbi alimentari

A cosa serve il Fondo per il contrasto ai Dca

A questo punto cerchiamo di capire come mai quei soldi, i 25 milioni di euro a cui sembra che comunque dovremo rinunciare, sono stati fondamentali. «Con il Fondo per il contrasto ai Disturbi del comportamento alimentare in questi anni abbiamo potuto rafforzare la rete degli ambulatori multidisciplinari dedicati al trattamento dei Dca, assenti in molte regioni italiane come Molise, Calabria, Sicilia, Puglia, ampliare i posti letto, formare medici e pediatri, visto che l’età dei pazienti continua a scendere» ci spiega Laura Dalla Ragione, direttore della Rete Dca Usl 1 dell’Umbria e docente al Campus Biomedico di Roma. A conti fatti, quel finanziamento ha permesso di assumere 780 professionisti (in tutto in Italia ne abbiamo 1.491) e di aumentare il numero di strutture dedicate alla cura, fino ad arrivare alle 126 di cui disponiamo attualmente, 112 pubbliche e 14 private accreditate.

In Italia mancano le strutture specializzate

«Si tratta tuttavia di una rete ancora insufficiente, anche a fronte dell’aumento continuo dell’incidenza di questi disturbi» sottolinea Dalla Ragione. Che sia carente è assolutamente vero, ma lo è ancora di più se si pensa che nelle 126 strutture che abbiamo nominato poco fa sono comprese tutte e quattro le “stazioni”, come le chiama l’esperta, che sono a disposizione di chi si ammala di un Disturbo del comportamento alimentare. Ovvero: gli ambulatori multidisciplinari, con medici, nutrizionisti e psicologi, dove i pazienti vanno per incontri settimanali; i centri diurni, dove i ragazzi possono stare più ore, da 2 a 12 circa, e fare pasti assistiti; le residenze riabilitative, in cui ci si può fermare 24 ore su 24 dai 3 ai 5 mesi; i posti letto in ospedale, per chi rifiuta categoricamente le cure e il cibo. Capite bene che 126 strutture totali in Italia sono veramente poche. E lo testimonia un numero, ancora una volta disarmante: nel nostro Paese ci sono solo 18 residenze riabilitative.

Vite sottili, il documentario sull’anoressia

VEDI ANCHE

Vite sottili, il documentario sull’anoressia

Le drammatiche conseguenze del taglio ai fondi

«Di soldi ne servirebbero almeno il doppio» specifica l’esperta, riferendosi ai 25 milioni stanziati nel 2022. Altrimenti il danno sarebbe irreparabile: in pratica molte strutture, in cui sono stati fatti contratti a termine (che scadono a fine ottobre di quest’anno), rischiano la chiusura. E a pagare le conseguenze sarebbero le persone in cura come Daniela. «Nei Dca stabilire una relazione terapeutica con il paziente è molto difficile» continua Dalla Ragione. «Se i centri chiudessero, il rischio di ricadute nei ragazzi sarebbe davvero altissimo». Ed è per questo che il taglio del Fondo ha il sapore amaro di un nuovo, inopportuno, vergognoso colpo basso alla tutela della salute pubblica, in particolare quella dei più giovani, di una limitazione alla libertà di tutti noi di potersi curare nel modo migliore, possibilmente senza dover fare centinaia di chilometri.

Cosa ne sarà dei Dca?

Ma il Fondo rappresentava anche un passo verso un altro importante obiettivo: «Inserire i Disturbi del comportamento alimentare in una categoria a sé stante dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), il che permetterebbe di avere a disposizione un budget autonomo e vincolato» conclude Laura Dalla Ragione. Perché oggi i Dca sono all’interno della macrosezione delle patologie psichiatriche e quindi non hanno un fondo dedicato, che sarebbe invece importantissimo perché garantirebbe un’assistenza stabile e capillare in tutta Italia. Quella che Daniela e tanti come lei avrebbero il diritto di avere. E non di vedersi negata.

Riproduzione riservata