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Vulvodinia, le nuove cure

Il dolore durante i rapporti può essere uno dei primi segni di vulvodinia. E non pensare che sia un problema di poche perché colpisce una donna su sette. Ma oggi, dicono i medici, si può guarire

Un male che non passa mai, che impedisce i rapporti sessuali, che ostacola una vita normale e che rende difficile persino passare una serata sedute al cinema. È normale che, peregrinando da un medico all’altro alla ricerca di una risposta, si inizi a credere a chi liquida il tutto parlando di disturbi psicosomatici. Invece la risposta c’è e si chiama vulvodinia.

Vulvodinia: le possibili cause

«A scatenare  il disturbo possono essere fattori diversi come un parto con lacerazioni oppure un’episiotomia, ma anche ripetute infezioni vaginali o cistiti» spiega Filippo Murina, responsabile del Servizio di patologia del tratto genitale inferiore all’ospedale V. Buzzi di Milano. «Abbiamo scoperto che questi fattori agiscono da start in chi ha una predisposizione genetica alla vulvodinia, malattia che colpisce gli organi genitali femminili esterni e il tratto iniziale della vagina. Dove esiste questa predisposizione, le fibre nervose sono più numerose e voluminose della media e questo genera a cascata un’eccessiva stimolazione dolorosa, quindi uno spasmo dei muscoli del pavimento pelvico».

Una donna su sette soffre di vulvodinia

A oggi sappiamo che questa “firma” genetica spiega una parte dei casi di vulvodinia ma non tutti, la ricerca però è molto attiva sia per approfondire le ragioni della malattia sia per formulare nuove terapie. E ci auguriamo che le risposte arrivino presto anche perché non è una malattia così rara come credono ancora in molti. Ne soffre una donna su sette in età fertile e a oggi sono necessari anche cinque lunghi anni prima di approdare a un Centro dove venga formulata una diagnosi corretta, indispensabile per curare bene la vulvodinia.

A chi rivolgersi

Professor Murina, ma allora a chi dobbiamo rivolgerci per non perdere tempo?

«Io sono direttore scientifico dell’Associazione italiana vulvodinia (www.vulvodinia.org) e, proprio per aiutare le donne, abbiamo messo a punto una mappa dei Centri di riferimento in Italia. Qui l’esperto principale è il ginecologo, ma non è da solo. Insieme a lui lavorano altri specialisti come l’ostetrica, il fisioterapista, l’urologo, per citarne solo alcuni, perché è necessario un team organico per formulare un percorso di cura ad hoc. Sono inoltre tutti Centri dove si fa anche ricerca e questo permette di proporre precocemente terapie innovative alle pazienti».

I sintomi

Quali sono i sintomi che possono mettere sulla via giusta?

«Innanzitutto, c’è il dolore localizzato all’ingresso della vagina e questo, a causa di un’ipersensibilità nella zona, riguarda almeno 8 donne su dieci. Altri sintomi, comunque invasivi, sono bruciore, irritazione, con intensità tali da rendere impossibili o comunque difficoltosi i rapporti sessuali. Se questi disturbi sono presenti da almeno tre mesi e non dipendono da altri problemi di salute è bene parlarne con il ginecologo. Per la diagnosi non ci vogliono esami particolari: è sufficiente lo swab test, che consiste nel toccare leggermente alcuni punti della vulva con un bastoncino simile a un cotton fioc. Se basta questo a provocare fitte dolorose, si tratta di vulvodinia».

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Le terapie più efficaci

Oggi possiamo dire che la vulvodinia si cura?

«Le terapie non mancano, ma è necessario personalizzare il percorso di cura sulla base di un ventaglio di informazioni raccolte durante le prime visite. Le faccio un esempio concreto: oggi sappiamo che in caso di predisposizione genetica gli androgeni giocano un ruolo importante in particolare a causa di un’elevata sensibilità della zona di ingresso della vagina a questi ormoni. Qui la cura è la pillola contraccettiva con una formulazione ad hoc. In base all’intensità dei sintomi, poi, abbiamo a disposizione terapie che comprendono le infiltrazioni locali di antinfiammatori, oppure di anestetici, e pomate, sempre da applicare localmente, a base di ormoni».

Si parla sempre di più anche di tecniche locali, di che cosa si tratta?

«Nel nostro Centro abbiamo condotto uno studio utilizzando l’elettrostimolazione. Consiste nell’inserimento nel primo tratto della vagina di una sonda collegata a un dispositivo che eroga impulsi elettrici indolori, in grado di agire sulle fibre nervose, inibendone l’iperattività alla base dei sintomi quali bruciore e dolore. Si utilizza da sola, oppure in associazione a farmaci, sempre nell’ottica della personalizzazione del percorso di cura. Da poco inoltre stiamo impiegando l’elettroporazione: è una tecnica che, grazie a micro stimoli elettrici, ci permette di veicolare i principi attivi in profondità, nella zona dove c’è necessità, aumentando le probabilità di successo del trattamento. Se infine è presente un’eccessiva contrattura dei muscoli, prescriviamo un ciclo di sedute per la riabilitazione del pavimento pelvico. In questo modo, si normalizza il tono muscolare, a favore di un miglioramento dei dolori, soprattutto durante i rapporti».

Sono terapie che portano alla guarigione?

«Se c’è la predisposizione genetica, rimane il rischio di ricadute, ma in questo caso abbiamo un grande vantaggio sulla malattia. Sappiamo infatti fin dai primi segnali che si tratta di vulvodinia e possiamo intervenire subito con le terapie ad hoc. Non è poco. Stiamo inoltre mettendo a punto un test genetico che ci consentirà di identificare le donne vulnerabili: sia la paziente, sia le altre componenti della famiglia che non hanno la malattia, ma sono predisposte. Questo ci permetterà  di tenere sotto controllo tutte le donne a rischio, in modo da intervenire sempre prima. E la ricerca avanza anche sul fronte terapeutico. Abbiamo messo a punto un principio attivo che a breve entrerà in commercio, a base di spermidina con acido ialuronico. È un gel da applicare localmente, capace di stimolare la rigenerazione delle cellule, a favore di un miglioramento dell’elasticità dei tessuti e di un abbattimento dell’infiammazione. Così il dolore diminuisce e il sesso diventa più piacevole».

Piccoli gesti quotidiani che ti aiutano

Indossa biancheria intima in cotone bianco, per evitare che i coloranti utilizzati per i tessuti provochino ulteriori infiammazioni.

Usa assorbenti esterni di cotone anallergico.

Scegli detergenti intimi senza profumazioni e che non producano schiuma.

Indossa pantaloni larghi ed evita collant e in generale indumenti stretti.

Evita esercizi fisici che comportino sfregamenti alle parti intime come bicicletta, cyclette, spinning, equitazione.

Non trattenere a lungo la pipì e mantieni l’intestino regolare, per il benessere del pavimento pelvico.

Evita di tenere le gambe accavallate e stare a lungo seduta. Quando devi farlo, utilizzare un cuscino a ciambella può esserti d’aiuto.

Applica del ghiaccio se avverti bruciore dopo il rapporto.

Sciacqua sempre le parti intime con acqua fredda corrente dopo ogni rapporto sessuale e asciuga con delicatezza.

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