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Sognare ci fa (molto) bene

Vi invitiamo a sognare in occasione del 25 settembre, Giornata mondiale dei sogni. Una “forma di pensiero” enigmatica eppure fondamentale. Perché ci aiuta a consolidare ricordi, metabolizzare emozioni, restare connessi con la nostra interiorità. E, quindi, a vivere meglio. Come spiega qui un grande psichiatra

Il bello di sognare

Lo ammetto: per anni, dopo che è morta mia mamma, non riuscivo più a sognare. O così almeno mi sembrava. Forse era troppa la paura di ritrovarla lì, in quelle immagini indecifrabili che non puoi controllare, che ci mettono al cospetto di qualcosa di profondo, di forte. Qualcosa che poi, con lo spuntare del giorno, diventa più flebile, si dissolve, prende altre forme grazie al ricordo, come l’acqua quando la metti in una tazza, però resta nel profondo e ti scava dentro. Poi, una notte, ho ricominciato. «Che meraviglia!» mi sono detta. E da quel momento, per fortuna, non ho più smesso.

Sognare

Non abbiate paura di sognare

Quasi tutte le mattine, adesso, mi alzo con un nuovo pensiero, a volte felice, a volte mostruoso, a volte apparentemente folle. Ma comunque benefico. Sì, perché i sogni ci danno l’opportunità di prenderci cura di qualcosa che ci riguarda intimamente. Ci illudono, benevolmente, di essere più vicini a capire noi stessi. A sostenere questa tesi, è lo psicoanalista e psichiatra Vittorio Lingiardi, che nel suo ultimo libro L’ombelico del sogno. Un viaggio onirico (Einaudi) traccia un magnifico percorso, dall’antichità a oggi, fatto di pensieri, riflessioni, idee sul sognare. «Dei sogni conosciamo poco. Sono più le cose che non sappiamo di quelle che sappiamo. Ma forse una cosa la so: che ci aiutano a vivere» scrive Vittorio Lingiardi. E adesso, in occasione della Giornata mondiale dei sogni, che si celebra il 25 settembre, ci spiega perché. E ci rivolge un invito: non abbiate paura di sognare!

Cosa significa sognare

Partiamo dall’inizio. Che cosa è un sogno?

«Tra le tante definizioni, a piacermi di più è quella dello psicoanalista James Fosshage: “È il pensare di quando dormiamo”. Pur così presente nelle nostre vite, il sogno rimane tuttavia un oggetto misterioso, enigmatico, sospeso tra il cervello e la psiche. Volendo tentare una definizione, è importante premettere che quando parliamo di sogni parliamo di almeno tre diverse dimensioni».

Quali esattamente?

«Innanzitutto il sogno come esperienza unica del sognatore: non è condivisibile, è inaccessibile, si nutre di una coscienza “altra” che non è quella diurna. Poi c’è il sogno come ricordo, con la sua fragilità. Quando apriamo gli occhi si dissolve, nel racconto sappiamo di tradirlo, lo inseguiamo ma lui ci sfugge. Mi lasci dire che considero il sogno un oggetto perduto che muove in noi una sorta di nostalgia per qualcosa che sappiamo non tornare più. Infine, c’è il sogno come evento neurale: non è una “schiuma del cervello”, un elemento di scarto, come molti scienziati un tempo credevano. Io penso all’attività onirica come a una “neurofficina” che mescola ricordi e produce visioni, seminando a nostra insaputa storie che ci sfuggono e al tempo stesso ci sostengono, ci accompagnano per un giorno o per tutta la vita».

A cosa serve sognare

Abbiamo capito che i sogni sono qualcosa di complicato, ma hanno una funzione magnifica. Quale?

«In modi diversi, la psicoanalisi e oggi anche le neuroscienze ci hanno insegnato che sognare è una funzione della mente, una forma visiva di pensiero capace di rappresentare stati mentali, consolidare ricordi, metabolizzare emozioni e sensazioni, persino risolvere problemi! Pare che il chimico Kekulé von Stradonitz abbia intuito in sogno la formula ad anello del benzene, sognando un serpente che si morde la coda. E che Paul McCartney abbia “composto” Yesterday nel sonno».

Possiamo dire, quindi, che ci aiutano a vivere meglio.

«Verso la fine dell’analisi, un mio paziente, un manager molto pragmatico, parlando di cosa avrebbe portato con sé una volta conclusa la terapia, mi dice: “Non avrei mai detto che i sogni servono a qualcosa. E invece sa, secondo me, a cosa servono? A stare meglio quando siamo svegli”. È esattamente così. Ascoltare la vita onirica ci avvicina a noi stessi, alle molteplicità delle nostre coscienze, ci permette di capire che dentro di noi ci sono altri mondi. Paradossalmente ci rende consci dell’inconscio. Questa consapevolezza è un modo per curare l’interiorità. Nei sogni abitano ricordi, pensieri, preoccupazioni, desideri, paure. Ciò che non sappiamo e ciò che non capiamo ma che siamo. Ed è per questo che sognare è fondamentale».

E gli incubi o i sogni ricorrenti sono utili?

Purtroppo non facciamo solo sogni belli, ma anche incubi. Servono a qualcosa?

«Sì, gli incubi, in cui di solito proviamo emozioni come ansia, rabbia, disgusto, senso di colpa, possono avere lo scopo di rielaborare attraverso immagini esperienze traumatiche o spiacevoli».

Tutti noi almeno una volta nella vita, abbiamo fatto uno di quei sogni ricorrenti come cadere, riuscire a volare, perdere i denti, dover rifare un esame… Cosa significano?

«Si chiamano sogni tipici, e tutti li facciamo. Ma dare un’interpretazione “prêt-à-porter” non avrebbe senso, perché ogni sogno è qualcosa di personale. Posso dire però che questi pensieri parlano di sentimenti di base che tutti proviamo, dalla paura alla vergogna, dal trionfo onnipotente al terrore dell’abbandono».

Anche raccontare il sogno è importante

Interpretare i sogni non è facile, ma poterli raccontare è importante?

«Il sognatore cerca spesso un ascolto, una lettura. Un sogno non interpretato, dice il Talmud, è come una lettera non aperta. Questo desiderio di condivisione è un segnale comunicativo talora intimo: voler dire di sé qualcosa di profondo ma di misterioso. Nella condivisione, poi, ci sembra più facile trovare una chiave di lettura: raccontarci ci rende più comprensibili, a noi stessi e agli altri».

Sogniamo sempre

Molti sostengono di non sognare. È possibile?

«La letteratura scientifica ci dice che sogniamo ogni notte, soprattutto nella cosiddetta fase Rem del sonno. Il punto è semmai ricordare o meno i sogni. Questo dipende da tanti fattori, dal tipo di sonno che abbiamo e dal nostro rapporto di maggiore o minore “continuità” con la dimensione inconscia. Non ricordare i sogni ha anche a che fare con la necessità cognitiva di non fare confusione tra la realtà della veglia e quella onirica. Pensi che disastro sarebbe non poter separare queste due dimensioni! Sul piano neurofisiologico, poi, il passaggio dalla coscienza della notte a quella giorno, e viceversa, è graduale e diverso per ciascuno di noi. Possiamo pensarlo come un sistema di circuiti neurali, tanti cancelli che si aprono e si chiudono più o meno velocemente. Probabilmente il ricordo dei sogni è anche influenzato dai modi e dai tempi di questi passaggi dello stato di coscienza».

Il valore sociale del sogno

Ma la parola “sogno” ha anche un altro significato.

«Sì. È una parola piena, ricca, bella. Grazie alla sua doppia veste semantica, racchiude due significati. Uno più intimo e personale, quello dei nostri pensieri notturni dove abitano i ricordi d’infanzia, le vite dei genitori e dei nonni, le preoccupazioni della giornata, i desideri, le paure. E uno più ampio, collettivo, pubblico, che descrive una speranza e una visione, un desiderio per un futuro migliore. Proprio quel futuro che sognava Martin Luther King nel suo discorso I have a dream».

Il libro da leggere

Si intitola L’ombelico del sogno. Un viaggio onirico (Einaudi) il libro dello psicoanalista Vittorio Lingiardi che affronta il tema dei sogni: realtà irreali, intime e profondissime che parlano di noi. E che sentiamo il bisogno di raccontare. Sarà forse perché siamo fatti della loro sostanza?

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