Crescere un figlio è un’esperienza bellissima, ma è innegabile che abbia un costo. Prima ci sono i pannolini da acquistare, poi le uscite con gli amici da finanziare. E in mezzo giochi, abiti, vacanze, sport… per una lista che tende all’infinito. E se costa tanto crescere un figlio maschio, una figlia femmina costa ancora di più. Circa il doppio, secondo alcuni studi. E questo non perché le bambine siano esigenti o più capricciose, ma perché ci sono delle imposizione sociali che portano ad attribuire loro più necessità di quanto non si faccia con i bambini. Ma questo è solo un’imposizione della società e non una legge di natura e quindi sta ai genitori spezzare il meccanismo.
Quanto costa crescere un figlio
In Italia, crescere un figlio (indipendentemente dal genere) ha un impatto importante sulle finanze di un nucleo familiare. I costi ovviamente non sono gli stessi per tutti e variano a seconda di molti fattori (dalla fascia di reddito alla zona geografica, ad esempio). Ma secondo Moneyfarm la spesa media tra la nascita e i 18 anni sarebbe di circa 139mila euro. Più alta la stima di Federconsumatori, che ipotizza 175mila e 642 euro di media, con picchi fino a oltre 288mila euro per le famiglie con reddito superiore ai 70mila euro annui. Queste cifre sono calcolate sulla spese necessarie come cibo, istruzione e salute, ma non prendono in considerazione extra come vacanze, sport, tecnologia eccetera.
Che cos’è la pink tax
In generale i prodotti destinati alle donne sono più costosi di quelli, magari identici, ma per gli uomini. Dalle lamette ai deodoranti, basta che un prodotto sia classificato come “per lei” per arrivare a costare in alcuni casi anche il doppio dell’equivalente “per lui”. È quella che viene definita pink tax, non una tassa vera e propria, ma una maggiorazione di prezzo solo perché il pubblico di riferimento è quello femminile. Un caso emblematico è quello dei rasoi: nel 2017 una confezione da 5 rosa costava 1,80 euro contro gli 1,72 di una con 10 rasoi blu. Questo accade anche con la merce destinata all’infanzia: se acquisti la bicicletta per una figlia femmina, preparati a spendere di più rispetto a quella per un maschio.
Spese maggiori per una figlia femmina
Secondo MoneyTips, per una figlia si spendono in media 80 dollari al mese in più rispetto a un maschio, che in 18 anni raggiungono la cifra di 17mila e 280 dollari. Stando a Sainsbury’s Bank il divario tra maschi e femmine varia a seconda dell’età dai 300 ai 60 dollari l’anno. Ma tutto questo non ha a che fare con la biologia, bensì con il marketing. Alle bambine viene offerto di più, per permettere loro di avvicinarsi ai modelli imposti dalla società. Più abiti, più accessori, più prodotti per la cura personale… questo avviene per le neonate ancora in fasce e poi sempre di più, arrivando al culmine con le adolescenti. Il mondo si aspetta che le donne rispondano a determinati standard e le famiglie spendono perché questo accada.
Un’imposizione sociale
Per diventare un adulto equilibrato, è l’amore della madre a essere determinante (come è stato dimostrato). Non certo la quantità di oggetti che vengono acquistati e tantomeno il loro costo. Spesso però la dimostrazione d’amore si confonde con il rispondere a bisogni che, magari, non sono nemmeno autentici. La società decide che una bambina deve essere sempre perfetta e curata come una bambolina mentre il suo fratellino può essere anche un po’ sgualcito. Il condizionamento sociale crea bisogni differenti, e maggiori per le donne, segnando un percorso di monetizzazione dei ruoli di genere. Si pensa che la figlia femmina abbia bisogno di una maggior quantità di oggetti (accessori, abiti, giocattoli, cosmetici…) ma solo perché la società e il marketing hanno creato questa illusione.