Annamaria Tartaglia
Annamaria Tartaglia (ph. leonardov@leovpage)

Annamaria Tartaglia: fare impresa a 40 anni

Dopo una lunga carriera come manager del lusso, oggi sostiene le start-up femminili nel nostro Paese. Aziende fondate da donne già negli “anta” che sanno farsi trovare pronte al cambiamento. Sarà per questo che rendono tre volte di più?

Conoscere la storia di Annamaria Tartaglia (che sarà tra le ospiti degli Aperitivi con Donna Moderna) fa bene alle donne. Perché è una manager e imprenditrice di successo da cui trarre ispirazione, certo. Ma ancor più perché, in tante declinazioni concrete, sostiene altre donne che, a ogni età, vogliono (re)inventarsi professionalmente. Mentre la ascolti raccontare le tappe della sua carriera, senti che lungo tutto il percorso ha messo a frutto – attivandoli con la curiosità, il dinamismo e l’impegno – due doni. Il primo è saper cogliere l’evoluzione della società, facendosi trovare pronta al cambiamento quando le occasioni si presentano. Il secondo è saper far germogliare talenti e progetti, prendendosene cura. «Questo in cui viviamo è l’unico mondo che conosciamo e nel quale possiamo dare un nostro contributo» dice. «Io ho già vissuto più vite, perché ogni volta che mi pare di essere “arrivata”, nei momenti di massimo splendore, succede qualcosa che mi fa ricominciare daccapo. Ci sono alcuni che non vorrebbero mai cambiare ma sono obbligati a farlo; poi ci sono gli inquieti che cambierebbero sempre, ma anche questo non ha senso perché si diventa dei perenni insoddisfatti. Dobbiamo essere capaci di dare una risposta a ciò che sta cambiando dentro di noi e fuori di noi. E ora, dopo tanti anni, sono una persona in equilibrio tra quello che c’è fuori e quello che c’è dentro di me. Anche se l’equilibrio è instabile, e di tanto in tanto va ritrovato il baricentro».

Annamaria Tartaglia: per un’impresa vincente occorre essere pronti al cambiamento

Quante volte ha spostato il suo “baricentro professionale”?

«Parecchie (ride, ndr). Dopo aver fatto il liceo classico a Vigevano, la mia città, avrei voluto iscrivermi a Lettere e filosofia, però mi è stato detto che avrei fatto l’insegnante o la bibliotecaria e per me erano immagini terribili. Allora ho scelto Marketing e comunicazione. Erano gli anni ’80, a Milano nascevano le grandi agenzie di pubblicità e proprio lì ho iniziato a lavorare. Poi ho avuto l’opportunità di passare in due aziende di moda, prima in Trussardi poi in Ferragamo. La sfida è stata quella di occuparmi, oltre che di comunicazione, di prodotto, retail, internazionalizzazione, quotazione. L’altro passaggio è stato quello da aziende familiari – per quanto grandi e internazionali – a un brand storico italiano come Superga che, però, aveva alle spalle un fondo di investimento e una struttura diversa. La tappa successiva è stata a Value Retail, un gruppo internazionale specializzato in creazione e commercializzazione sempre del lusso, ma attraverso il canale outlet. Sono andata a occuparmi di vari aspetti nuovi per me: dal reperimento dei finanziamenti per far crescere le diverse strutture in giro per il mondo al consolidamento di quei luoghi come destinazioni turistiche. In quegli anni si cominciava anche a parlare di evoluzione digitale e di e-commerce».

L’impresa va coccolata come un bambino

Un mondo in fermento, ma anche lei lo è sempre stata.

«A dire il vero, a un certo punto mi sono fermata per valutare, di fronte a tanta evoluzione, quale potesse essere il mio contributo sia sul fronte del lusso in ogni suo aspetto sia per l’integrazione nelle aziende di giovani talenti sotto il profilo creativo e manageriale. Insieme ad altri professionisti ho quindi scelto di creare una struttura (di cui è ceo, ndr), TheBrandSitter, capace di rispondere alle nuove esigenze del mercato».

TheBrandSitter, un nome che è tutto un programma…

«Sì, riecheggia il termine babysitter perché un brand è come un bambino: devi coccolarlo, prendertene cura. Nel ruolo di coordinatrice scientifica della 24 Ore Business School nell’area Fashion & Luxury Management, sono anche entrata in contatto con giovani talenti. Dopo circa 15 anni ho visto uscire da questi master qualche migliaio di persone: è una vera soddisfazione vedere un pezzo delle cose che sono state trasmesse utilizzate per far crescere tante aziende ».

Molte donne diventano imprenditrici dopo i 40 anni

Come è nato invece Angels4Women?

«Varie persone con esperienze manageriali e imprenditoriali investono il proprio denaro nel futuro di altre aziende come Business Angels e anche io ho cominciato a farlo con alcuni gruppi. Poi 5 anni fa insieme ad altre donne, e con il supporto di Impact Hub e di Axa, abbiamo scelto di costruire Angels4Women per sostenere l’imprenditoria femminile che ha ancora numeri bassi: sulle circa 15.000 start-up innovative in Italia, quelle costituite principalmente o esclusivamente da donne sono il 13%».

Un identikit della donna che inizia un cammino imprenditoriale?

«In realtà si incontrano donne assai diverse. L’età media della startupper in Italia non è 18-20 anni, come spesso si crede, ma 35-40. C’è chi diventa imprenditrice perché esclusa dall’azienda dopo che ha avuto figli oppure perché in molte parti d’Italia l’unico modo per lavorare è crearsi un proprio lavoro. Alcune, che a una certa età le aziende trattano come “un pezzo di mobilio che non serve più” ma in realtà incarnano un grande capitale umano e professionale, si rimettono in gioco. Altre fondano una start-up quando vanno in pensione, perché sentono di avere ancora tanta energia per realizzare progetti».

Con altre Business Angels Annamaria Tartaglia finanzia imprese al femminile

Perché, però, le donne faticano a ottenere finanziamenti?

«C’è un gender gap negli investimenti per vari problemi. Il primo è che la maggior parte degli investitori sono uomini e hanno una sorta di bias rispetto al puntare sull’imprenditoria femminile, perché si tratta spesso di progetti per risolvere problemi lontani da quelli che un uomo conosce, per esempio il caregiving o la salute di genere. Occorre anche formare le donne potenziali investitrici, che ora sono il 14% su circa 1.500 Business Angels: si tratta di investimenti rischiosi e occorre saper gestire bene il proprio portafoglio. Il supporto che come Angels4Women diamo alle neoimprenditrici non è soltanto finanziario, ma è fatto anche di mentorship e network. È un modo per “restituire” ad altre donne, e quindi alla società, quanto si è ottenuto».

Conti alla mano, poi come vanno le imprese al femminile? «In media investire in una start-up femminile rende tre volte di più. Nonostante il Covid, la maggior parte delle imprese gestite da donne si è dimostrata resistente e capace di evolvere. Si sono ampliate le aree dove operano: edutech e settore medicale – casi in cui si tratta spesso di imprese che le ricercatrici lanciano come spin-off all’interno di percorsi universitari – caregiving, salute mentale, economia circolare e, in generale, gli ambiti dove si crea un impatto sociale».

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Ci sono ancora pregiudizi sulle imprese fondate da donne

Lei fa parte anche di W7 e W20, gruppi della società civile collegati ai vertici rispettivamente del G7 e del G20.

«Sono due gruppi che si occupano di portare ai governi istanze e promuovere best practice su vari temi concernenti il mondo femminile: dall’imprenditoria e finanza alla digitalizzazione, dalla salute di genere alla violenza, ai bias culturali da superare. Io e le altre partecipanti facciamo questo lavoro totalmente pro bono. Mettiamo a disposizione tempo e competenze perché crediamo di poter così contribuire a migliorare la società e, in particolare, la vita delle donne».

Imprenditrice, mentore, civil servant e di certo il suo “cassetto” straborderà di idee. Dove si vede, tra 5 anni?

«Ho una grande passione per i giardini e da tempo vorrei fare un corso di restauro dei giardini d’arte. Nell’immediato non mi è possibile, ma più avanti dedicherò un primo anno a quel corso e un secondo a metterlo in pratica. Poi mi occuperò di filosofia dei giardini».

Una curiosità: ha lavorato a lungo in aziende del lusso e ne ha anche scritto un libro: Il lusso… magia e marketing. Presente e futuro del superfluo indispensabile, FrancoAngeli. Ma cos’è per lei il lusso? «Secondo, me non c’è bisogno di comprare, comprare, comprare. Ma quando si sceglie di acquistare una cosa, che sia gioiello, un’opera d’arte o altro, conta che sia qualcosa di bello, che duri, che abbia qualità e che ci possa accompagnare più a lungo possibile nella nostra vita. Questo per quanto riguarda gli oggetti, però il lusso è anche poter vivere in un posto che mi piace, potermi circondare di persone con cui ho delle affinità e poter disporre del mio tempo. Come dico spesso con autoironia, io sono una “povera” con il metabolismo da principessa».

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