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Assistente virtuale: nuovo lavoro o caregiving mascherato?

Fare l'assistente virtuale lavorando da casa: un ripiego per gestire famiglia, figli e genitori anziani, o una vera opportunità di lavoro? Ecco cosa fa l'assistente da remoto (che non è una caregiver) e com'è nata questa professione

La tecnologia e un nuovo cambio di mentalità (complice anche la pandemia) possono offrire nuove opportunità di lavoro alle donne, sempre troppo spesso alle prese con la difficoltà di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari e di cura. Tra coloro che sono riuscite a sfruttare queste possibilità ci sono le assistenti virtuali. «Si tratta di fatto della forma digitale della vecchia assistente di direzione», spiega Roberta Longoni, presidente e fondatrice della PVA-Professione Virtual Assistant-Associazione italiana assistenti virtuali. Chi sono e di cosa si occupano?

Chi è l’assistente virtuale

Il primo albo delle assistenti virtuali è nato nel 2023 e riunisce chi ha deciso di gestire con più flessibilità tempo libero e ambizioni personali. Ne fanno parte in prevalenza donne, in particolare over 35/40 anni, che vogliono lavorare o continuare a farlo, senza rinunciare alla famiglia. Capita soprattutto dopo la nascita del primo figlio, quando orari ed esigenze iniziano a diventare incompatibili: «Sono persone che hanno una propria professionalità, che in passato si occupavano di mansioni anche molto disparate tra loro, ma accomunate da un lavoro d’ufficio, soprattutto di segreteria, ma anche nel settore del marketing e degli acquisti. Supportano, per esempio, avvocati o commercialisti, a seconda delle competenze personali, oppure gestiscono community social o producono audio e video per queste», prosegue Longoni.

Oltre il caregiving tradizionale: i requisiti dell’assistente virtuale

Nulla a che vedere con il classico compito di caregiving, quindi, ma pur sempre professioni che oggi si possono anche svolgere da casa. I requisiti, infatti, sono molto disparati tra loro: «Tra le competenze hard c’è l’aver lavorato in un ufficio o comunque una buona conoscenza dei software più comuni come Word, il saper fare ricerche sui principali motori come Google, conoscere i social media (LinkedIn, Facebook e simili, se questo è l’ambito di lavoro a cui si è interessati). Tra le soft skills, invece, la capacità di organizzazione, di gestione del proprio tempo e delle priorità: non c’è più “il capo”, insomma, a dettare i ritmi e le scadenze, ma ci si deve organizzare in modo autonomo», chiarisce la presidente di PVA.  

L’Identikit dell’assistente virtuale

«Non sono giovanissime, ma in genere sopra i 35 anni, hanno una cultura media e non necessariamente la laurea, ma possono contare sull’esperienza pregressa, che è un valore aggiunto. Prevalentemente sono donne e del nord, alle prese con ritmi di vita spesso frenetici. Ci sono alcuni casi anche al centro, un po’ meno al sud. In questo credo che nel tempo potranno aumentare, una volta superata una certa resistenza all’idea di abbandonare un posto di lavoro fisso per abbracciare la libera professione, che comunque offre opportunità interessanti per chi non vuole rinunciare al lavoro, ma intende anche occuparsi dei figli o ha l’esigenza di seguire i genitori anziani. Non tutti, infatti, possono permettersi una badante, ad esempio, per liberare del tempo per il proprio lavoro», dice Longoni.

«Donne sandwich» che cercano un nuovo equilibrio

«Noi donne in questo siamo un po’ dei sandwich, schiacciate tra le esigenze di seguire proprio i figli e spesso anche i genitori anziani. I compiti di cura sono ancora in larga parte affidati alle donne, lo sappiamo e lo abbiamo vissuto anche durante la pandemia, con enormi difficoltà. Ora che siamo usciti dall’emergenza sanitaria, però, possiamo mantenere alcuni aspetti positivi del lavoro da casa o in autonomia rispetto a un posto di lavoro “esterno”», commenta Valentina Cremona, Presidente del Gruppo Terziario Donna di Confcommercio Treviso e componente della Commissione Pari Opportunità della Regione Veneto, in particolare del Gruppo di lavoro dell’autoimprenditorialità e le libere professioni.

Sono soprattutto le donne a rimanere a casa

Sicuramente tra le assistenti virtuali la maggior parte è donna: «Questa è una caratteristica soprattutto italiana, perché da noi questa figura è sempre stata un po’ svilita (capitava che dovessero occuparsi spesso, per esempio, di accogliere i clienti e aprire loro la porta), mentre nel Regno Unito anche in epoca analogica c’erano più uomini e godevano di maggiore considerazione professionale e spazi di carriera. Oggi, però, il digitale offre più possibilità. Ci sono anche alcuni uomini tra gli assistenti virtuali, magari papà single, anche se sono molto pochi», dice Longoni. «Io credo che possa essere un’opportunità, se si tratta di un lavoro adeguatamente remunerato. Questo è un aspetto delicato, ma se il guadagno è conforme al servizio richiesto e alla professionalità, può essere un modo per conciliare meglio le esigenze lavorative e la qualità di vita», aggiunge Cremona.

Il rischio di un passo indietro per le lavoratrici

Esistono, però, dei rischi da non sottovalutare: «Intanto lo smart working è possibile solo per certe mansioni: per il commercio non è fattibile, per esempio. Poi credo che vadano posti dei limiti: il lavoro da casa non permette la socializzazione e la “contaminazione” positiva, non ci si può relazionare in un mondo dove, invece, le relazioni sono una fonte di ricchezza. Sappiamo che le riunioni virtuali sono molto meno incisive di quelle in persona, per esempio. Quindi, ben venga se è svolto in particolari momenti della vita, come la nascita di un figlio o un problema di salute, e solo se è condiviso con il compagno e presuppone una partecipazione di quest’ultimo anche ai compiti di cura, che altrimenti ricadono inevitabilmente solo sulla donna», osserva Anna Lapini, presidente del Terziario Donna di Confcommercio.

Assistente virtuale: il pericolo del “doppio lavoro” femminile

il pericolo è sempre lo stesso: che stando a casa le donne alla fine si debbano occupare di tutto, che debbano svolgere il doppio lavoro, sia professionale (remunerato) che di cura (gratuito). «Non deve passare il messaggio che deve toccare solo alla donna lo smart working: se è un’opportunità, dovrebbe esserlo anche per l’uomo. Altrimenti si finisce con il relegare nuovamente la donna a casa», avverte Lapini.

Dal part time al guadagno

Trattandosi di un lavoro autonomo, permette maggiore flessibilità negli orari, ma che guadagni offre? «Chiaramente occorre aprire una partita Iva, che però con il regime dei minimi è vantaggiosa perché nei primi cinque anni ha un carico fiscale molto minore – spiega Longoni – Ciascuna o ciascuno, poi, può scegliere quante ore dedicare al lavoro, a seconda delle proprie esigenze, e la remunerazione sarà proporzionata. «Ci sono aspetti positivi, anche se non dobbiamo dimenticare che un aiuto in più alle donne sarebbe meglio», spiega Cremona.

Cosa manca alle donne lavoratrici

«Il problema principale sono sempre i servizi ancora troppo scarsi e inadeguati: chi ha un negozio, ad esempio, ha enormi difficoltà a conciliare i propri orari con quelli della scuola. Poi serve anche un cambio culturale: occorre educare i figli, specie maschi, a una maggior condivisione delle responsabili e dei compiti familiari», sottolinea Cremona. «Per molte donne il lavoro da casa significa fare di necessità virtù – conclude Longoni – Per gestire casa e professione occorrono tempo e attenzioni che il mondo del lavoro in Italia ancora non prevede».

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