Donna Faber
Elisa, guardia costiera, addetta al soccorso in mare a Sarzana, in Liguria.

Donne che fanno lavori “da uomini”

Le donne che fanno lavori da uomo oltre al gender pay gap vanno incontro a forme di sessismo a cui rispondono con varie forme di resistenza e strategie. Come denuncia una nuova, importante ricerca: Donna Faber di Emanuela Abbatecola

«Ci sono voluti 31 anni, ma alla fine ce l’ho fatta». Serena Melani, livornese, lo scorso anno ha commentato così ai microfoni della Rai la promozione a comandante della Explora 1, prima donna in Italia alla guida di una grande nave da crociera. Si era diplomata all’istituto nautico nel 1993, dopo qualche anno era già a bordo delle petroliere, ma ha dovuto fare tanta gavetta, stare a lungo in secondo piano, prima di poter coronare il suo sogno. Giovanna Rabbiosi, detta La Gio, 57 anni, è una camionista, ha iniziato 18 anni fa ed è una delle 14.000 autotrasportatrici che attraversano l’Italia con il camion o guidano macchinari mobili o di sollevamento (il tasso di disparità di genere in questo mestiere è del 95,7%, dicono i dati Istat). Sul sito Lady Truck Driver Team c’è una sua foto vestita di rosa con in braccio il cagnolino compagno di viaggi. Valentina Zurru, la cui storia è stata raccontata nel documentario La prima donna che (su raiplay.it), fino al 2019 scendeva tutti i giorni a 500 metri sotto terra. Prima donna minatrice in Sardegna insieme a due amiche. «Siamo donne come le altre» dicono «e lavorare con gli uomini non ci spaventa». Le loro sono tre storie di passione che però non cancellano quella che è una grande disparità nel mondo del lavoro, anzi sottolineano quanta fatica e ostacoli incontrino le donne che decidono di fare i cosiddetti “lavori da uomo”.

La ricerca “Donna Faber”

Lo dimostra Donna Faber, una ricerca qualitativa socio-fotografica (con una mostra e ora un libro pubblicato da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli), condotta in Italia nell’arco di 10 anni, intervistando e fotografando camioniste, minatrici, chef, guide alpine, elicotteriste, elettriciste, vigili del fuoco, maestre d’ascia, ingegnere meccaniche, direttrici d’orchestra, comiche… Professioniste che lavorano in campi a prevalenza maschile in un mondo ancora fortemente sessista, dove le differenze tra quello che può fare un maschio e quello che può fare una femmina sono definite culturalmente e socialmente fin da piccoli. Attraverso i racconti di queste donne, il progetto cerca «di disvelare alcune strategie per rimettere le “ribelli” al loro posto, ponendo particolare attenzione alla banalità del sex-sismo, vale a dire della violenza sessista a sfondo sessuale» scrive nell’introduzione al volume Emanuela Abbatecola, docente di Sociologia del lavoro e introduzione agli studi di genere presso l’università di Genova, a capo del progetto Donna Faber. Una violenza fatta di commenti, anche volgari; di tentativi di sminuire o mettere a disagio; a volte, all’opposto, di un sottile “sessismo benevolo”, cioè un insieme di atteggiamenti che possono sembrare positivi ma che in realtà si basano su un pregiudizio: le donne sono deboli e hanno bisogno degli uomini.

Donna Faber
Agata, crane driver a Genova

Donna Faber: rompere il soffitto di cristallo e i pregiudizi

A che punto siamo? Ultimamente molti posti di leadership sono stati conquistati dalle donne. Basti pensare alla nomina di Christine Lagarde a presidente della Banca Centrale Europea nel 2019. E, in Italia, ai “soffitti di cristallo” frantumati tra il 2022 e il 2023: Silvana Sciarra alla presidenza della Corte Costituzionale dopo Marta Cartabia, Giorgia Meloni alla presidenza del Consiglio, Margherita Cassano alla presidenza della Corte di Cassazione, Elly Schlein alla segreteria del Pd. Ma «possiamo pensare che la conquista di luoghi di potere possa essere un indicatore di per sé sufficiente di una raggiunta parità di genere?» si chiede Abbatecola. «Il sessismo si gioca sul filo dell’ambiguità, è sempre molto difficile da dimostrare. Quello che a me interessava non era tanto sottolineare l’esclusione in termini quantitativi – questo è un lavoro maschile perché ci sono poche donne – ma andare a vedere le donne che provocano stupore perché nel nostro immaginario non corrispondono alle aspettative di genere».

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Basta con le immagini stereotipate

Ci si stupisce ancora, infatti, a vedere una speleologa che posiziona le mine per costruire le gallerie, una vigilessa del fuoco è ancora una mosca bianca (275 donne nel 2021 su circa 30.000 unità), una direttrice d’orchestra fa sempre parlare di sé, le chef spesso sono chiamate semplicemente cuoche. Non solo: pensiamo che le donne che fanno questi lavori per essere vincenti debbano essere tutte d’un pezzo. «Noi abbiamo un’immagine stereotipata del femminile e una immagine stereotipata del maschile. Le donne che abbiamo intervistato invece, in particolare le camioniste, smontano lo stereotipo» dice Abbatecola. «Magari esagerando con un femminile stereotipato (unghie laccate, camion addobbati di rosa, ndr) come forma di resistenza a un mondo maschile che le considera inferiori».

Donna Faber
36fotogramma – Genova

Contro le gabbie di genere

Il Premio Nobel per l’Economia a Claudia Goldin per i suoi studi sulla disparità di genere non ha fatto altro che ricordarci quanto la questione sia importante e non si possa liquidare con un’alzata di spalle. “Gap” non è solo il termine con cui si intende la disparità di retribuzione salariale, il gender pay gap appunto, ma anche ogni tipo di dislivello, una discriminazione che colloca noi donne di default su un gradino inferiore. Nello sport, nell’educazione, nella vita sociale, e naturalmente nel lavoro. «Le gabbie di genere riguardano anche gli uomini che sconfinano in territori “femminili” come i lavori di cura, si pensi al maestro di scuola. Spesso questi uomini vengono spinti verso carriere dirigenziali» spiega Luisa Stagi, docente di Sociologia all’università di Genova e, insieme ad Abbatecola, direttrice di AG About Gender, rivista internazionale di studi di genere. «La vera rivoluzione non sarà quando le donne saranno di egual numero e di egual peso nell’ambito dell’ingegneria meccanica, per esempio» conclude Emanuela Abbatecola. «Ma quando un uomo si sentirà orgoglioso di diventare educatore dell’infanzia». Andare alle radici del sessismo, quindi, «che risiedono nel fatto che i maschi ancora oggi vengono educati a comportarsi in maniera diversa dalle femmine».

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Una ricerca, un libro, un progetto

Donna Faber (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli): il libro e il progetto di Emanuela Abbatecola saranno presentati a Milano, durante Bookcity, il 18 novembre alle 18 alla Fondazione Feltrinelli (fondazionefeltrinelli.it/eventi). L’evento fa parte del percorso del Premio Inge Feltrinelli.

Copertina Donna Faber
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