Quando sentiamo la parola “restauro” pensiamo alle attività che riportano a nuova vita le opere d’arte nel rispetto della loro fattura originaria. Ma, in un mondo dove più del tempo è l’uomo a creare danni, oggi a necessitare di restauri è sempre più spesso l’ambiente in cui viviamo, la Terra nei suoi vari ecosistemi. Per questo aumentano le opportunità di lavoro per chi si occupa di restaurare la natura.
Per restaurare la natura sono coinvolte discipline diverse
«Il restauro della natura rappresenta una nuova disciplina capace di integrare l’ecologia con le scienze sociali ed economiche. Si tratta di una sfida complessa, poiché ripristinare gli ecosistemi degradati richiede molte competenze e tempi piuttosto lunghi» afferma Roberto Danovaro, ecologo e docente di Restauro degli ecosistemi marini presso l’Università Politecnica delle Marche, nonché autore di Restaurare la natura (Edizioni Ambiente), il primo libro italiano dedicato al restauro ecologico.
Una norma europea ha reso obbligatorio il restauro ecologico
Una tematica ancora più di attualità, e capace di sviluppi sul fronte professionale, a seguito della Nature Restoration Law, la norma approvata un anno fa dal Parlamento europeo che prevede l’obbligo di restaurare, entro il 2030, almeno il 20% degli habitat terrestri e marini danneggiati, mirando al 90% entro il 2050.
Restauro della natura: in Italia sono attivi progetti per il ripristino di brughiere e praterie

C’è però chi di restaurare la natura se ne occupa da tempo, come Silvia Assini, docente e ricercatrice in Botanica all’Università di Pavia, “restauratrice della natura” da ben 18 anni. Laureata in Scienze naturali, dopo lungo tempo dedicato allo studio della vegetazione appenninica settentrionale, sperimenta interventi di riqualificazione di siti degradati sottoposti a pressioni antropiche. È responsabile scientifico del progetto LIFE Drylands, che restaura brughiere e praterie a rischio tra Piemonte e Lombardia, ripopolandole di specie tipiche di quel territorio e rimuovendo specie legnose invasive. Al momento il progetto ha permesso di restituire 205.000 metri quadri di superficie alla natura, con un impatto significativo sulla biodiversità locale.
Restaurare la natura: in alcune università sono proposti corsi sul restauro ecologico
Per intraprendere carriere in questo ambito sono ancora pochi i corsi di studio specifici. Tra questi, oltre a quelli dell’Università Politecnica delle Marche, presso l’Università di Genova c’è il Master in Restoration Ecology, mentre l’Università della Tuscia propone il corso di laurea magistrale in Conservazione e restauro dell’ambiente e delle foreste. In generale, occorre avere una laurea in discipline Stem. A supporto di chi opera in questo settore è da poco stata costituita la Rete Italiana per il Ripristino Ecologico (ripristinoecologico.it) che raccoglie buone pratiche di ripristino. Mentre la Society of Ecological Restoration (ser.org) promuove un programma di certificazione internazionale per i professionisti del restauro ecologico.
Il lavoro di restauratore ecologico implica un notevole impegno fisico
«È importante saper “leggere” gli ecosistemi, individuando le specie vegetali presenti che forniscono informazioni sulle condizioni ecologiche del sito. Una formazione in Scienze naturali permette di avere una visione di insieme» dichiara Assini. Per fare questo lavoro occorre tenere in considerazione anche l’impegno fisico: «Durante i periodi di monitoraggio sul campo» spiega l’esperta «stiamo in piedi e camminiamo per ore. La stanchezza, spesso, è acuita dalle condizioni meteo. A volte dobbiamo fare i conti con insetti, ortiche e rovi». Ma la passione per questa professione, fonte di continue scoperte, sovrasta ogni difficoltà. E il fatto che diversi neolaureati e dottorandi facciano parte del team diretto da Assini fa ben sperare nella crescente consapevolezza che i giovani hanno dell’importanza della tutela e del restauro della natura.
Restaurare la natura richiede molto tempo e monitoraggio
«Il ripristino degli ecosistemi danneggiati genera benefici che migliorano anche la salute degli esseri umani e prevengono disastri ambientali» precisa Annalisa Falace, docente di Algologia presso l’Università di Trieste. Laureata in Scienze biologiche, da bambina si è appassionata al mondo delle alghe marine sino a trasformarlo nel suo lavoro. «Mi sono sempre dedicata alla ricerca scientifica, ma poi mi sono resa conto che non bastava studiare e documentare il declino della biodiversità, occorreva agire» sottolinea. A differenza di quello dei restauratori d’arte, il suo lavoro «riguarda organismi viventi, in ambienti dinamici e spesso imprevedibili. Non si conclude con un intervento tecnico: è un processo che richiede monitoraggio e adattamento continuo, può durare anni prima che si vedano risultati stabili. Non è facile, soprattutto per i giovani che sono abituati all’immediatezza, ma la soddisfazione è impagabile».
Per il restauro degli ecosistemi marini lavorano in team biologi, ecologi e subacquei scientifici
Attualmente Annalisa Falace coordina il progetto REEForest, finalizzato al restauro di foreste sommerse di macroalghe mediterranee, fondamentali per la salute degli ecosistemi, in aree marine protette dove questi habitat erano scomparsi. «Raccogliamo propaguli fertili che coltiviamo in laboratorio per poi reimpiantarli in mare. Quest’ultima fase è la più impegnativa fisicamente, ma anche la più entusiasmante. Le operazioni subacquee richiedono grande precisione e resistenza» racconta. Il suo team è composto da biologi marini, algologi, ecologi, genetisti, subacquei scientifici, tecnici di laboratorio, informatici e comunicatori scientifici. «Solo grazie al lavoro di squadra, la scienza del restauro riesce ad avanzare» dice.
Il restauro marino è una delle professioni blu del futuro

E rivela con orgoglio che il suo team è tutto femminile, «anche se c’è ancora tanta strada da fare per superare il gender gap in ambito accademico. Ma stiamo restaurando anche l’equità». A chi intende intraprendere questo percorso professionale, Falace consiglia di studiare Biologia, Scienze marine, Ecologia o Ingegneria ambientale. «Ma soprattutto suggerisco di cercare esperienze sul campo, tirocini in progetti di ricerca» chiosa, definendo il restauro marino una delle “professioni blu” del futuro. La conferma arriva da Evelina Idini che, dopo la laurea in Fisica, attirata dal richiamo del mare, si è specializzata in Biologia marina e fa parte del team dell’organizzazione Marevivo (marevivo.it) impegnata nel progetto Ghostnets per liberare i fondali da attrezzi da pesca abbandonati e ripristinare gli habitat di 20 siti lungo le coste italiane, preservando fauna e flora locali.
Tutelare la natura serve a tutelare anche noi stessi

A dettare i tempi della sua giornata è il mare. Lavora a stretto contatto con una squadra di subacquei altamente specializzati e robot sottomarini. «Spesso sono l’unica donna a bordo, il mio lavoro richiede tanta agilità, porto pesanti bombole in spalla. Bisogna agire con lucidità, i minuti sul fondo sono contati» spiega. Ogni intervento di restauro prevede una fase di studio e valutazione per poi passare alla fase operativa di bricolage sul fondale con trapano, collanti e griglie metalliche. «Tutelare la natura è il primo passo per proteggere noi stessi in termini sia di salute sia economici e sociali» dichiara Idini, che invita i giovani a sviluppare competenze per contrastare la crisi climatica anche diventando professionisti del restauro ecologico.