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Gratuito patrocinio: come funziona

Il gratuito patrocinio permette a chi non può pagare un avvocato, per esempio per separarsi, di ottenerlo dallo Stato, con dei requisiti di reddito. Se la donna è vittima di un reato di genere, il gratuito patrocinio viene concesso indipendentemente dal reddito

Uno dei motivi per cui le donne che vorrebbero separarsi non lo fanno, è economico: in molti casi non hanno soldi per pagare un avvocato. Eppure esiste il gratuito patrocinio, cioè la possibilità che lo Stato paghi le spese legali.

Gratuito patrocinio: quando è utile in sede civile

«Il gratuito patrocinio è utile in sede civile per esempio per avviare una separazione, o in caso di provvedimenti di sospensione della potestà genitoriale» spiega l’avvocata Cristiana Coviello, esperta in reati di genere. «Occorre dimostrare di non guadagnare più di 12.838,01 euro all’anno, da quanto risulta nella certificazione dei redditi. Se la donna vive ancora con il marito, il reddito del marito non fa cumulo. La domanda di gratui patrocinio si presenta presso l’Ordine degli avvocati. E se lei invece non ha un reddito, basta depositare un’autocertificazione».

Gratuito patrocinio in sede penale: per tutte

Per le donne vittime di reati di genere, questa misura invece non vede limiti di reddito. «Con la ratifica della Convenzione di Instambul la legge sul patrocinio a spese dello Stato ha previsto previsto la deroga ai limiti di reddito: anche se una donna guadagna 50mila euro all’anno, ne ha diritto come chi ne guadagna 5mila» prosegue l’avvocata. «Lo prevede la legge 115 del 2002, poi modificata, che all’articolo 76 elenca i reati in cui si può ottenere: si tratta di stalking, revenge porn, maltrattamenti, violenza sessuale in tutte le forme (per esempio di gruppo), prostituzione minorile, adescamento di minori, mutilazione degli organi genitali. Chi è vittima di questi reati, viene difesa a spese dello Stato». La domanda in sede civile si deposita presso l’ordine degli avvocati, mentre per i procedimenti penali direttamente al giudice davanti al quale pende il procedimento. In entrambi i casi l’avvocato, scelto sempre dalla donna, deve essere tra quelli inseriti in apposite liste presso gli ordini. Deve essere una/a professionista con almeno cinque anni di attività e un certo numero di procedimenti alle spalle».

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La denuncia: alcuni avvocati chiedono soldi

Un avvocato/a abilitato al gratuito patrocinio, ha il divieto assoluto di prendere soldi dalle vittime. «Mi capita spesso di accogliere donne che riferiscono di colleghi/e che, nonostante il gratuito patrocinio, chiedano un compenso in nero. Si tratta di un reato. Il fatto è che, purtroppo, chi lavora col gratuito patrocinio, a parità di procedimento, viene pagato dallo Stato la metà nei processi civili, e un terzo in quelli penali, e tutto ciò alla fine del procedimento stesso, quindi anche dopo anni» prosegue l’avvocata. «Questo non è certo una scusante, ma aiuta a inquadrare il fenomeno».

Il limite

Il gratuito patrocinio ha un grosso limite, che va sanato. «In caso di reati di genere, dopo la sentenza di condanna del giudice, esiste la possibilità di esercitare un’azione civile per il risarcimento del danno (per esempio i danni morali), che in sede penale non viene quantificato» dice l’avvocata. «L’azione di richiesta del risarcimento del danno, però, non rientra nel gratuito patrocinio, quindi occorre pagarsi l’avvocato, iniziare il procedimento con spese vive di bolli e pagare per esempio una consulenza psicologica per stabilire il danno morale. È evidente che si tratti di una falla nel nostro sistema che andrebbe sanata».

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