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Calendula: il sole di fine inverno

Pianta autoctona incredibilmente facile da ospitare, è bella, buona, utile e protagonista di tanti racconti etnobotanici

Calendula: un fiore, tante storie

Calendula trovata in mezzo ad altre erbe in giardino. Si è riseminata da sola l’anno scorso

Mi sono accorta di lei, la Calendula (Calendula officinalis) per caso, quando il mio Giardino Felice era ancora un luogo amico delle piante, ma piuttosto ostile alle persone. In un angolo esposto al sole, stranamente non ricoperto da quel groviglio di rovi e passiflora che impedivano l’accesso, nel mese di Febbraio di quasi dieci anni fa il suo appariscente fiore giallo-arancio mi sembrò un miracolo, una apparizione: com’era possibile che una corolla così bella potesse colorare un pezzo di paesaggio in inverno? In effetti solo vivendo qui per anni e in tutte le stagioni ho capito che, in questo clima mite, non c’è mese che non ospiti qualche bocciolo in fiore.

La calendula si autosemina molto facilmente. Ogni anno ne trovo di nuove in giardino

Molto più tardi invece imparai che quella Calendula che vidi per la prima volta da me, i cui eredi si sono accomodati un po’ ovunque, visto che ora il giardino è più adatto alla loro silhouette un po’ cortina che spesso negli incolti si fa sopraffare da altre erbe spilungone, era una “officinalis”, la classica coltivata per uso fitoterapeutico, e non una “arvensis”, più diffusa come spontanea in tutta Italia, specie al sud.

Ciò significava che qualcuno (un animale, un essere umano o magari lei stessa con l’aiuto del vento) l’aveva portata sino a qui. Quanto ho fantasticato su questo viaggio, sul motivo dello stesso o sulla sua casualità, caratteristica per altro alla quale credo poco, specie quando mi riferisco a piante e fiori.

L’etnobotanica: una disciplina affascinante

Calendula che sta sbocciando

Sarà per questo fatto, o forse più probabilmente perché tutto ciò che riguarda il mondo vegetale mi incuriosisce da matti, ho scoperto quella che col tempo è diventata la mia più grande passione: l’etnobotanica.

Sapete di cosa si tratta? Perché il parolone può ingannare, ma in realtà è tutto molto semplice e molto curioso. L’etnobotanica è lo studio dei significati simbolici e metaforici con i quali le persone “investono” le piante. Significati, credenze, classificazioni che spesso sono locali e circoscritte ad un territorio, anche minuscolo. Io la spiego così: l’etnobotanica è una specie di diario comunitario che raccoglie le testimonianze del rapporto tra persone e piante. 

Piccoli fiori spontanei in giardino

Non è meraviglioso che esista una cosa così?

Ps: se volete qualche esempio di questa disciplina legato alla Calendula, passate direttamente al capitolo sulle curiosità.

Autosufficiente, edule e officinale: la pianta perfetta

Quando parlo di vegetali come lei, mi piace raccontarli in modo trasversale, perché se vi dovessi dire solo come la si ospita in un Giardino Felice, finirei la mia storia in poche righe (e vi annoierei a morte, perché la Calendula è davvero facile facile).

Rispetto al fatto che è una tipa tosta e autosufficiente, voglio aggiungere due info in più: è una erbacea perenne, che spesso viene coltivata come annuale. Infatti soprattutto nelle zone dove l’inverno è più rigido, lei per sopravvivere “perde” tutta la sua parte aerea, per poi ricacciare appena arriva la bella stagione. Quindi se nel vaso non la vedete più, non pensate che sia morta, si sta solo proteggendo con una specie di letargo, proprio come fanno alcuni animali. 

Semi di calendula inconfondibili con la loro forma a falce

Se invece la coltivate in campo, in pochi anni la ritroverete un po’ ovunque: il suo seme molto riconoscibile, a forma di lancia, ha una altissima germinabilità, anche nei luoghi più ostili. Poi, se la seminate per la prima volta, offritele un luogo in pieno sole. A terra, una volta assestata, riesce a fare tutto da sola, senza bisogno di voi (leggi: irrigazione, concimazione, potatura…). Ospitata in vaso invece va aiutata con un po’ d’acqua, ma non eccedete perché le piace stare all’asciutto. 

Calendula: un fiore multifunzione

La Calendula è un’altra delle mie amiche verdi “all-you-can-eat”: le foglie cotte o crude, i petali un po’ ovunque e non solo per abbellire i piatti ma per colorarli e dargli sapore, i boccioli sott’aceto come fossero dei capperi… È fonte di vitamina C e, la sua tonalità lo conferma, di carotenoidi.

Insalata di fine inverno con rucola e petali di calendula

Infine è tra le piante più impiegate in fitoterapia, specie per uso esterno: le creme che la contengono sono altamente nutrienti e protettive/calmanti per la pelle, ideali per ustioni e bruciature, punture di insetti e meduse.

Uso i petali di calendula per le mie insalate colorate insieme a quelli di nasturzio borragine e aglio selvatico

Il suo olio essenziale è molto potente (sconsigliato per esempio in gravidanza per gli effetti tonici sull’utero): se la coltiverete in maniera naturale, io vi consiglio di preparare un oleolito, una soluzione fai-da-te molto più blanda. Se mai vi cimenterete, provate a farlo con olio biologico di uva -praticamente inodore- invece che olio di oliva, dall’aroma decisamente più marcato, che sovrasta il profumo delle botaniche delicate e per molti è troppo forte.

Pillola verde: una pianta per amica

La Calendula non solo è buona ed utile per noi, ma anche per il nostro orto, frutteto o giardino. In pratica è una pianta che aiuta altre piante.

Le corolle di calendula attirano gli impollinatori, per questo è buona regola metterle anche nell’orto biologico

I suoi fiori appariscenti attirano gli impollinatori, che poi si fermano anche su altre specie meno sgargianti (come molte corolle delle orticole, ecco perché la si mette tra pomodori, melanzane, peperoni…). Inoltre dalle sue radici emana una sostanza che allontana i nematodi del terreno (parassiti che causano danni alle colture). È quindi un toccasana per la lotta biologica nell’orto naturale.

Infine, la Calendula è la “pianta di compagnia” del melo: i contadini di una volta la seminavano ai suoi piedi, per scoraggiarne i parassiti.

Calendula: curiosità etnobotaniche

Bellissima varietà di calendula multipetalo

Ho raramente incrociato un fiore “comune” (comune nel senso di autoctono, largamente diffuso o di facile reperibilità) così ricco di aneddoti, curiosità, piccole e grandi storie intrecciate a quelle degli esseri umani. È forse per questo che, quando parlo di etnobotanica, lo cito spesso.

Fiore con diverse corone di petali e in formato XXL

Iniziamo col suo nome, datogli da Linneo, padre della nomenclatura binominale: proprio grazie a lui le piante e gli animali ora hanno un nome universalmente riconosciuto. Calendula deriva dal latino “calendae”, parola con la quale i romani indicavano il primo giorno del mese. Perché chiamarla così? Lei fiorisce in continuazione più o meno tutto l’anno.

Calendula e nasturzio sono tra i fiori eduli più utilizzati per le mie insalate colorate di primavera.

Ora un detto: viene chiamata anche “zafferano dei poveri”, perché può colorare le pietanze con la stessa tonalità, ma costa molto meno. E una leggenda: alla Calendula si ricollega la prima frode alimentare di cui si hanno tracce, già nel Medioevo. Si usavano i suoi petali per rendere più giallo il burro autunnale, povero di vitamina A, facendolo così sembrare più ricco e nutriente.

Mazzolino di fiori di campo con calendule

Infine, piccola storia triste, il suo significato nel linguaggio dei fiori: pene d’amore, dispiacere, dolore. Magari non offritela in regalo, ma circondatevene comunque, non vi deluderà.

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