Il cane è un amico fidato

Oggi, mentre sto scrivendo, Maya, il mio pastore belga di 8 anni, è accucciata sotto la scrivania. Così era ieri, così sarà domani, così sarà quando leggerete questo articolo. Come ogni mattina, siamo già state a fare una lunga passeggiata in mezzo ai campi, le ho tirato decine di volte la palla, abbiamo incrociato i suoi amici. E poi, tornate a casa, lei ha mangiato i croccantini dalla sua ciotola mentre io facevo colazione. Le giornate iniziano sempre in questo modo, con qualsiasi tempo e con qualsiasi umore. Pioggia, neve, freddo. Con l’alba che fa capolino o col sole caldo, come in questi giorni. Non potrei rinunciarci per niente al mondo. Non potrei fare a meno di svegliarmi col suo scodinzolare gioioso e i suoi occhi a mandorla felici di vedermi. Della sua presenza tranquilla mentre lavoro da casa o del suo sedersi di fianco ai fornelli, orecchie ritte e sguardo vigile, in attesa che cada un pezzetto di cibo. Maya mi fa compagnia, mi dà serenità. E so che chiunque viva con un cane prova le mie stesse sensazioni.

Il cane è un balsamo contro l’apatia

Ma quand’è che i cani sono diventati così indispensabili per il nostro (buon)umore? Quando si sono rivelati un balsamo contro la noia, l’ansia, l’apatia? Se lo chiede anche lo scrittore Simon Garfield: «Con quale grado di tacito consenso noi esseri umani ci siamo arresi e abbiamo accettato che la nostra vita domestica – l’orario di lavoro, la pulizia dei tappeti, la scelta del posto in cui andare in vacanza – da un certo punto in poi fosse condizionata dalle esigenze di un animale che un tempo provvedeva a sé stesso? Quando e perché i cani hanno smesso di frugare tra i rifiuti in cerca di cibo e si sono piazzati sul divano?». Leggo questo passaggio di Il migliore amico del cane (Ponte alle Grazie) – un libro che si è guadagnato un posto nella mia piccola tribuna d’onore, lo scaffale sopra la scrivania – e mi ricordo che in fondo siamo soprattutto noi che abbiamo bisogno di questi adorabili coinquilini.

cani felici

Siamo soprattutto noi che abbiamo bisogno di un cane

Noi che durante la pandemia ne abbiamo scoperto il potere salvifico. In Italia, leggo su Internet, sono stati 3,5 milioni quelli che hanno comprato un pet durante o appena dopo il lockdown di marzo 2020. E 8.100 sono i cani adottati, dice l’Enpa. Un incremento del 15% rispetto agli anni precedenti, un numero che continua ad aumentare. Lo vedo con i miei occhi: vicino a casa c’è un grande canile che accoglie randagi e cuccioli abbandonati, e ogni pomeriggio una moltitudine di volontari li va a prendere per una passeggiata, qualche coccola, un po’ di giochi. Ci sono mamme con bambini, ragazzi, anziani. Li “adottano” senza portarli a casa, perché magari non hanno lo spazio o la possibilità di occuparsene quotidianamente. O forse perché ancora stanno prendendo confidenza con questa strana creatura a quattro zampe che richiede un grosso impegno, di tempo e di cuore, ma che ti ripaga con così tanto affetto e lealtà da farti sentire a volte “ingrato”. E anche confuso sul perché di tanta riconoscenza, che nel tuo profondo non credi di meritare.

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«Dio, fammi diventare la persona che il mio cane crede che io sia»

recita l’esergo di un altro libro, La saggezza dei cani di Elli H. Radinger (Sem). Tutte le volte che lo leggo sorrido per la verità contenuta in questa frase. Il cane ti gratifica, ti fa sentire migliore perché per lui o lei sei il centro del mondo, ti fa stare coi piedi per terra, pensare all’essenziale, al qui e ora, ai bisogni del momento. Una volta la scrittrice Donatella Di Pietrantonio mi ha detto che i suoi cani la riportavano alla concretezza della realtà. Forse perché, con la vita che fa, sempre a immaginare e a cercare di far volare la mente, c’era bisogno di qualcuno che la riconducesse sul sentiero. Per altri il cane è il “richiamo della natura”, ne apprezzano il lato un po’ selvaggio che, nonostante stia per la maggior parte del tempo rinchiuso in un appartamento, riesce a mantenere. Altri ancora ne ammirano la forza, l’eleganza, la socievolezza. Per molti, moltissimi, è il compagno fidato. E con lui, o lei, si instaura un rapporto simbiotico. La filosofa Ilaria Gaspari non si separa mai da Emilio, preso al canile: «Un incrocio forse tra un golden retriever e un corgi». Lo porta sempre con sé, anche alle presentazioni dei libri. Lo scrittore Paolo Cognetti e il suo Lucky non sono cane e padrone, ma «amici inseparabili» dice. Mentre Linus di Radio Deejay racconta le gesta del suo labrador su Instagram. La scelta di un cane può essere ponderata o guidata dal destino: uno come Alain Delon o una come Coco Chanel non potevano che unirsi a un alano, immenso ed elegante, come le loro personalità. Romy Schneider accarezza un dalmata, chic, sensibile e iperattivo. Mentre Marlon Brando amava i cani piccoli e giocherelloni, e Alberto Moravia preferiva la tranquillità del boxer. Ma chi sceglie chi? Se vale la teoria delle razze di La carica dei 101, per cui a un certo punto padrone e cane diventano una cosa sola, nell’aspetto, nel carattere e nei movimenti, allora è proprio il destino. Del resto, una delle mie migliori amiche, proprietaria di un cane anche lei, un setter frangiato che rispecchia un po’ i suoi capelli, mi ha detto che Maya mi assomiglia. Sarà perché ci vede sempre insieme e non riesce a separare l’una dall’altra. Ma una cosa so di certo. Quando ho visto Maya per la prima volta, col suo muso nero, fiera, vivace e un po’ nervosa, ho detto: ecco, questo è il mio cane!