app morti

Restiamo collegati, anche dopo la morte

App per comunicare con i morti. Avatar di amici o familiari deceduti da poter riabbracciare. Sembra fantascienza, invece è una realtà che l’Intelligenza Artificiale ha già creato. La domanda è: a quale costo?

Una donna chatta al computer, l’espressione è tesa, concentrata, mentre le lacrime scendono sul suo volto. La macchina da presa si sofferma su quella immagine. Una voce dice: “Se avessi la possibilità di parlare con qualcuno che è morto, lo faresti?”. Non è un film di fantascienza, ma la realtà raccontata da un documentario, Eternal You, presentato a gennaio al Sundance Film Festival.

Mostra come esista già un mercato di servizi e app che consente di entrare in contatto con i morti, grazie all’Intelligenza Artificiale: compagnie che creano avatar di persone decedute che sono in grado di riprodurne i pensieri, i modi di dire, persino la voce, e con cui si può interagire.

I due registi, Hans Block e Moritz Riesewieck, sono entrati nelle stanze dei computer, hanno intervistato chi offre questi servizi e come lo fa, hanno parlato con chi li usa per capire cosa li spinge loro emozioni e le loro impressioni, con lo scopo di aprire un dibattito su quali sono i limiti già superati dalla tecnologia, l’impatto sulla società odierna e futura.

App e morti: Project december

Una di queste compagnie si chiama Project December. È una start-up creata da un designer di videogiochi Jason Rohrer, e sulla sua pagina web promette di farti parlare con chi vuoi. Incluse le persone scomparse. Josh, un giovane americano che appare nel documentario, è un cliente che chatta regolarmente con la sua ragazza del liceo, morta prima di finire la scuola per una malattia incurabile, e sembra non farsi problemi a relazionarsi con questa sua “amica immaginaria”. Come è possibile che ci riesca? La start up attinge a una banca dati immensa: oltre a foto, video, mail, chat, social, diari e tutto ciò che viene fornito dal cliente.

Una specie di seduta spiritica 4.0, così verosimile e potente da creare angoscia. «I computer stanno diventando sempre più sofisticati nell’imitare la vita umana, le emozioni e i tratti della personalità» dicono Hans Block e Moritz Riesewieck. «È una tecnologia che però presenta tanti rischi e conseguenze, e la cui portata ancora non riusciamo a comprendere».

HereAfter e Yov: le app con cui i morti non se ne vanno

HereAfter è invece un’app che si può scaricare dagli store online. È un intervistatore virtuale che raccoglie i ricordi. Nella presentazione c’è un simpatico video che spiega come puoi arricchire il tuo diario orale – chiamiamolo così – con foto o altro. L’app viene poi collegata con chi vuoi, amici o membri della famiglia, ognuno dei quali può a sua volta arricchire questo diario con diversi contenuti, aggiungere ricordi, aneddoti e pensieri. Il tutto a favore di chi rimarrà una volta che non ci sarai più. E infatti la presentazione finisce con l’immagine di un bambino che sul suo smartphone parla con un nonno che presumibilmente si trova nell’aldilà.

Ancora più impressionante è quello che fa la start-up Yov: attingendo ai dati digitali di una persona, riesce a creare una “Versona”, la sua versione virtuale o meglio, stando a come pubblicizzano l’idea sul loro sito, la sua essenza. Una volta creata, la Versona può interagire attraverso tutti i canali, compreso il telefono.

Il caso Meeting You

Ma dove stiamo andando? Per capirlo basta ricordare il caso che ha fatto molto discutere, della mamma sudcoreana Jang Ji Sung nel 2020. L’avatar della figlia, Nayeon, di soli 7 anni, morta nel 2017, è stato ricreato grazie a una trasmissione tv, Meeting You, che ha spettacolarizzato il desiderio della madre di volerla riabbracciare almeno un’altra volta. L’immagine di Jang Ji Sung che tenta di afferrarla in un limbo virtuale, si trova su YouTube, la sua voce rotta dall’emozione e le lacrime sono stati considerati da molti una pornografa dei sentimenti.

Sulla possibilità di dire ancora una volta addio alla persona amata prima di lasciarla andare per sempre è incentrato anche il film Another End con Gael García Bernal e Bérénice Bejo, che abbiamo intervistato. Il regista Piero Messina lo ambienta in un futuro prossimo, che potrebbe davvero essere domani, e anche lui apre a una serie di riflessioni etiche. Nel film, tutti i dati di una persona “assente” – la sua mente – vengono trasferiti nella mente di un “locatore”, in pratica un altro individuo che, per un certo lasso di tempo, si presta a questo scambio di identità.

L’importanza di lasciare andare

Siamo ancora nella fantascienza? «Esperienze di questo tipo nascono dal desiderio di eternare una relazione» spiega Laura Campanello, analista e filosofa che ha scritto Ricominciare (Mondadori) e si è occupata del tema del lutto. «Ma nulla dura per sempre, anche le relazioni. L’unica cosa che vive finché siamo vivi è il ricordo: il lutto serve a mantenerlo senza che diventi troppo doloroso. Oggi stiamo spostando il limite sempre più in là, al punto che se una relazione non finisce, se diventa irreale, paralizza l’unica realtà che abbiamo, cioè l’esistenza».

Continua. «Continuare a chattare o parlare con chi non c’è più è una sospensione temporale eterna, un limbo che distrae dall’impegnarsi in qualcosa che nel mondo esiste ancora: una realtà ricca, concreta, meravigliosa, nuova. Non ci permette di vivere, di guardare avanti, di andare oltre, di evolvere. Il che è terribile perché è anche una proiezione personale: ti chiedo quello che voglio sentirmi dire, mi costruisco un mondo parallelo fatto di fantasie, timori, desideri, che sono miei. Mentre imparare a lasciare andare qualcosa che non c’è più permette di ritornare a vivere».

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