Si allunga la scia di sangue versato da giovani, vittime o protagonisti di episodi di violenza molto efferati: aggressioni, violenze, ma anche omicidi. Dopo il triplice omicidio di Monreale, si sono aggiunti accoltellamenti in Veneto, in Lombardia e in Campania, spesso per futili motivi: diverbi, risse fuori dai locali o dagli stadi per scontri tra ragazzi appartenenti a tifoserie diverse. Perché? Lo abbiamo chiesto a una psicologa e criminologa che si occupa anche di adolescenza.

Anche i minorenni protagonisti delle recenti aggressioni

I casi più recenti non conoscono confini o differenze geografiche: uno ha riguardato Bergamo, un altro è accaduto a Castelfranco Veneto, ma solo pochi giorni fa si era verificato un triplice omicidio in Sicilia, a Monreale. Protagonisti sono sempre giovani e giovanissimi: a Napoli, per esempio, è un 14enne l’autore di un accoltellamento nella zona della movida. A colpire è soprattutto il fatto che i motivi delle aggressioni, anche mortali, sono quasi sempre futili: a volte si tratta di diverbi per motivi calcistici, come nel caso dei tifosi di Inter e Atalanta che si sono affrontati a Bergamo; in altri sono “parole di troppo” o rivalità amorose.

Omicidi commessi da minorenni quasi triplicati

Se gli scontri tra giovani non sono una novità recente, lo è il fatto che aumenta la criminalità giovanile. Secondo l’ultimo rapporto del Servizio analisi criminale della Polizia Criminale, infatti, mentre negli ultimi 10 anni gli omicidi volontari sono calati del 30%, i reati commessi da minorenni sono quasi triplicati. In particolare, tra il 2023 e il 2024 la percentuale degli omicidi volontari commessi dai minori è passata dal 4% all’11%. A raddoppiare, inoltre, è il numero delle vittime salite dal 4% al 7%.

Perché crescono gli omicidi dei minorenni

«Purtroppo l’esperienza, anche seguendo i figli di coppie separate o nelle quali ci sono situazioni conflittuali, ci indica che nel tempo si è indebolito il ruolo delle agenzie educative, cioè la famiglia e la scuola, ma anche altri adulti che circondano il minore: oggi l’azione di contenimento degli adolescenti è inferiore rispetto al passato, per molti motivi e non solo rispetto alle situazioni di maggior disagio dei giovani», spiega Roberta Catania, Psicologa Psicodiagnosta Clinica e Forense, e Criminologa.

Genitori e adulti meno presenti

Come spiega ancora Catania, l’adolescenza rappresenta da sempre un momento delicato nella crescita: «È la fase in cui si consolidano gli schemi infantili per diventare adulti e anche in questo periodo della vita – forse soprattutto in questo periodo – occorre fornire ai ragazzi un “contenitore” ai loro impulsi ed emozioni disorganizzate. Gli adolescenti vivono la sofferenza, ma anche altre situazioni, come problematiche: senza una guida si troveranno a doverle gestire da soli o chiederanno aiuto a un compagno o a un gruppo, non sempre con risultati adeguati», sottolinea l’esperta.

L’equilibrio tra autonomia e regole

Per il genitore, quindi, rimane importante essere presente e fornire regole, pur lasciando una certa autonomia di crescita al figlio: «Si tratta di un equilibrio difficile, reso ancor più faticoso da raggiungere oggi per una madre e un padre, perché sempre di più gli adulti tendono a sentirsi inadeguati o temono, imponendo delle regole, di scontrarsi con i figli o che questi li contestino, gli rinfaccino di essere troppo severi o di non voler loro bene – spiega Catania – Ma i conflitti sono educativi, insegnano ai giovani a fare un passo indietro quando necessario o a gestire i No della vita e la frustrazione».

Non temere di essere “cattivi genitori”

La paura è spesso di non sentirsi dei “buoni genitori”: «Ma non esistono genitori “buoni” o “cattivi”. L’amore per i figli o dei figli non deve essere subordinato al rischio di trovarsi in contrapposizione. Questo rientra nella normalità del rapporto coi figli, che tra l’altro non è mai identico con figli differenti: un altro equivoco, infatti, è pensare di dover ricorrere allo stesso metodo educativo aspettandosi un identico risultato, perché ciascuno è differente. Non è semplice, ma il consiglio è di mettersi in discussione e, se si è in difficoltà, chiedere supporto ai professionisti», osserva la psicologa e criminologa.

Le differenze territoriali

Sempre secondo il report della Polizia è la Campania la regione dove si sono contati più omicidi nel 2024 (55), seguita da Lombardia (45), Lazio (30), Sicilia (26) e Puglia (24). Non va comunque meglio in Emilia Romagna (23 omicidi), Toscana (20), Veneto (19), Piemonte (18), Sardegna (16), Marche (11), Calabria (7) e Umbria (5). Le aree dove ne sono segnalati meno sono invece Basilicata, Liguria e Trentino (4), Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia (3), Molise e Valle d’Aosta (1).

La differenza tra piccoli centri e grandi città

La distribuzione territoriale rimanda una fotografia che non tiene conto, però, delle differenze tra piccoli centri e grandi città. «Anche se possono esserci differenze nel tipo di reato, quel che si nota è che spesso i casi di cronaca che arrivano dalle grandi città interessano singoli individui, che compiono da soli gesti anche eclatanti senza che necessariamente alle spalle ci sia una grande organizzazione. Nei centri più piccoli, invece, ci può essere una situazione di gruppo che diventa di “branco”, dove a volte a prevalere è la logica della sopraffazione, del potere. Chi agisce da solo, invece, spesso lo fa sulla scia di un suo disagio, che non riesce a condividere con nessuno, né in casa né a scuola né con gli amici», suggerisce Catania.

I giovani non sanno più divertirsi?

La sensazione è che i giovani non riescano più a divertirsi senza violenza: «Il problema credo sia che sta venendo meno il concetto di piacere sano, legato a emozioni positive, sia negli adulti che negli adolescenti – dice l’esperta – In particolare gli adolescenti, che vivono un momento di grande disorganizzazione in cui sono al massimo sia le sensazioni positive che quelle negative, sentono il bisogno di soddisfare i loro desideri o di superare le loro frustrazioni in modo frettoloso e dunque anche potenzialmente inadeguato. Invece, il piacere sano è legato all’attesa, all’idea di faticare per ottenere poi una gratificazione. I social, in tutto questo, alimentano questo bisogno di ottenere tutto e subito, perché lasciano pensare che si possa fare, quindi spingono a compiere azioni anche rischiose, pur di arrivare a un risultato».

Come si può arginare la deriva

«Credo occorra un cambio di prospettiva, da parte delle agenzie educative, puntando sulla prevenzione che è più utile della mera repressione – sottolinea l’esperta – È chiaro che se viene commesso un reato è giusto intervenire, ma più che inasprire la repressione, dovremmo cercare di agire perché questi episodi non accadano. Per farlo, però, non si può demandare al solo giovane la responsabilità, per esempio obbligandolo esclusivamente a seguire corsi con presunti esperti che gli dicono come comportarsi. A volte sono i genitori, gli insegnanti o gli stessi educatori a non avere competenze adeguate, a non conoscere davvero il mondo dei ragazzi o dei social. Serve, quindi, maggiore conoscenza e coinvolgimento da parte degli adulti».