Una casa e un lavoro: le basi dell’autonomia, per tutte e tutti. Ma questo “minimo sindacale”, che rappresenta un diritto, diventa un’urgenza estrema per le donne vittima di violenza.
La casa: perché è un problema per molte donne vittime di violenza
Può accadere che nella casa in cui stavano con la famiglia e il maltrattante non possano tornare, perché lui ha ceduto il contratto di affitto, o l’ha venduta, o semplicemente vi risiede. Quanto al lavoro, mantenerlo e non perderlo è molto difficile se devi spesso cambiare città, oppure semplicemente assentarti per affrontare l’emergenza.
Nelle condizioni delle donne che cercano l’aiuto dei centri antiviolenza, tutte hanno molte necessità. Esiste però una sorta di graduatoria del bisogno, in base alla quale alcune donne vivono una condizione peggiore delle altre: se hanno bambini, se qualcuno è disabile, se non hanno un lavoro, se non sanno dove andare una volta uscite dal centro antiviolenza.
Regione Lombardia e Aler per dare una casa alle donne
Per tutte loro Regione Lombardia promuove un progetto di autonomia unico nel suo genere grazie alla collaborazione con Aler, i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio della rete lombarda Non sei sola. Un fondo da un milione e mezzo stanziato dalla Regione permette di rendere disponibili alloggi di edilizia popolare per le donne vittime di violenza, in cui risiedere fino a cinque anni senza pagare alcun canone (eccetto le spese vive per le bollette): nella città e provincia di Milano ne sono stati individuati 23, dopo gli 11 di Lodi e provincia. A seguire, le altre province.
La misura, proposta dell’assessore alla Famiglia, Solidarietà sociale, Disabilità e Pari Opportunità, Elena Lucchini, di concerto con l’assessore alla Casa e Housing Sociale, Paolo Franco, vuole diventare strutturale con l’obiettivo di trovare così, ogni anno, nel bilancio di Regione Lombardia, i fondi disponibili. Fondi che servono a sistemare e far emergere appartamenti di Aler che altrimenti non sarebbero stati disponibili.
La rete Non sei sola
Uno degli ostacoli principali all’autonomia delle donne una volta terminato il loro percorso in un centro antiviolenza, è infatti proprio la casa, come sottolinea Stefania Bartoccetti, fondatrice di Telefono Donna, associazione storica per il sostegno alle donne in Lombardia con cinque centri attivi: a Milano, Abbiategrasso, Magenta, Monza e Vimercate. «Il progetto copre l’esigenza più forte delle donne vittime di violenza: la casa. Nel centro anti violenza il percorso di fuoriuscita può durare fino a un anno ma, dopo, molte donne non sanno dove andare. Spetta a noi segnalare i casi più critici attraverso una relazione che viene inviata al Comune di apparenza del centro, quindi in Regione. Tutto ciò si svolge grazie alla collaborazione della rete Non sei sola, che a sua volta racchiude 27 reti territoriali con i Comuni, i centri anti violenza e le case rifugio. Ogni caso viene quindi analizzato e inserito in una graduatoria non visibile, rispettosa della privacy, che permette alle donne e ai loro bambini di trovare un alloggio».
Nel frattempo, il centro che ha ospitato la donna non l’abbandona: «Continuiamo a fornire supporto psicologico e legale, perché la costruzione di una nuova vita ha bisogno di tempo e risorse».
Regione Lombardia inoltre sostiene progetti educativi e formativi con le scuole e l’università, come spiega l’assessora Elena Lucchini. «Inoltre abbiamo promosso protocolli per il gratuito patrocinio e un’intesa con le Prefetture e le Forze dell’ordine per un’adeguata attenzione nei confronti delle vittime di violenza».