In Italia i nuclei familiari con un solo genitore sono 3,8 milioni e 8 volte su 10 questo genitore è una mamma. Nessuno si sognerebbe mai di dire che stiamo parlando di madri inadeguate eppure, se sui tuoi documenti è scritto “nubile”, non puoi adottare e non puoi sottoporti a una procedura di procreazione assistita. Per esaudire il desiderio di avere un figlio da single, l’unica possibilità è trovare un uomo che ti aiuti, anche a sua insaputa. Oppure mettere sul piatto migliaia di euro, volare all’estero e prenotare una fecondazione eterologa in clinica.

Mamma single e fecondazione, cosa dice la legge

Evita, oggi 40 anni, ha scelto una terza via. Mesi fa ha avviato una battaglia legale con il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni per chiedere che lei e tutte quelle come lei possano accedere ai trattamenti di Pma in Italia, nel rispetto delle leggi. «La famiglia tradizionale nella mia storia semplicemente non è arrivata» racconta. «E a un certo momento della mia vita mi sono confrontata con il fatto di non aver trovato la persona giusta. Ma anche con quel desiderio profondo di maternità, con la convinzione di avere molto da dare a una creatura che nasce e che inizia il suo percorso nel mondo. La mia non è la ricerca di un figlio a tutti i costi. È la battaglia contro una norma che sembra volermi punire: siccome non hai trovato un partner, non ti accettiamo come madre».

Diritti e nuovi bisogni della società

Con questo pensiero fisso in testa Evita ha portato il suo caso davanti al tribunale di Firenze. Lo scorso settembre i giudici hanno sollevato la questione di legittimità sulla legge che regola la procreazione assistita, la 40 del 2004, nella parte in cui nega alle donne sole di accedere alle tecniche di fecondazione.

La tesi è chiara. «In un ordinamento che tutela la famiglia monogenitoriale e che stabilisce che chi partorisce è madre, non importa come suo figlio sia stato concepito, la norma che vieta a una donna questa possibilità con la fecondazione assistita è discriminatoria». Sono le parole di Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, che difende e coordina il team legale che assiste Evita. La sentenza della Corte Costituzionale è attesa dopo l’udienza pubblica dell’11 marzo. Ma, lascia intendere l’avvocata, la questione non è solo di diritto: in gioco ci sono i bisogni di una società ormai profondamente mutata.

Avere un figlio da single: siamo madri come tutte le altre

«Se da una parte le madri single sono sempre esistite, quella che veniva indicata come famiglia tradizionale ha lasciato posto a nuove forme di relazioni affettive. A essere cambiato è il contesto culturale e sociale. È proprio la consapevolezza di questa trasformazione a spingere le donne a rivendicare il diritto di scegliere. Oggi la famiglia ha tante forme. Molte donne come Evita ci hanno chiesto aiuto e abbiamo conosciuto tanti figli cresciuti da madri sole: non c’è differenza da quelli con due genitori e le mamme single sono mamme come tutte le altre. Decidere di avere un figlio da sole comporta una presa di coscienza maggiore, dedicarsi all’accudimento sapendo dall’inizio che un partner non c’è. È una scelta d’amore». Una scelta che, dicono i dati, sembra sempre più frequente, ovunque.

Quando è possibile l’adozione per una mamma single

Secondo Cryos, la più grande banca del seme e degli ovuli mondiale, circa il 50% delle donne che ordinano il seme di donatore presso le loro strutture è single. Sono mosse dalla stessa aspirazione che spingerebbe tante a prendere con sé un figlio in adozione, altra possibilità negata in Italia, a meno, anche in questo caso, di percorrere un sentiero laterale.

L’unica opzione è ricorrere all’art. 44 della legge 184 del 1983 che consente l’adozione “in casi particolari”, per esempio se dopo un periodo di affido è stato costruito un legame profondo. «Ma proprio questo meccanismo crea storture e forzature» racconta Karin Falconi, responsabile per l’associazione M’aMa – Dalla Parte dei Bambini del progetto Affidiamoci (affidiamoci.it). Creato per assistere anche donne sole in percorsi di questo tipo: il 15% delle famiglie M’aMa è costituito da single affidatarie e tra loro un piccolo ma fortunato 5% ha adottato o ha avviato, attraverso la stessa associazione, il ricorso all’art. 44.

Come funziona l’affido?

«L’affido è nato come istituto a carattere temporaneo, per durare al massimo 2 anni, durante i quali il minore mantiene i rapporti con la famiglia biologica, che nel frattempo deve essere sostenuta per recuperare le proprie capacità al fine di permettere il ritorno del figlio in casa» spiega Falconi. «Come io stessa cerco di far comprendere a chi si rivolge a noi, non può essere una scorciatoia per l’adozione, un sistema per avere un figlio da single in modo definitivo. Nella pratica, però, il ritorno in famiglia non si verifica quasi mai: nel 75% dei casi l’affido si trasforma in quello che viene chiamato “affido sine die”, spesso fino ai 18 anni del ragazzo».

Queste mamme affidatarie diventano per anni la famiglia a tutti gli effetti di figli che però non vengono riconosciuti come tali, né dalla società né dalla legge. Una genitorialità sospesa, con tutto quello che può significare quando i protagonisti della storia sono ragazzi e bambini con disabilità gravi o un passato di grave abbandono, di violenza e grande sofferenza. Sì, perché questi sono gli unici minori che i tribunali spesso affidano alle donne sole. E per certi versi sembra un paradosso: non sei considerata giusta per avere un figlio da single, ma sei quella che viene accettata quando bisogna dare un tetto e amore ai bambini più difficili, quelli che richiedono più forza, più impegno e più generosità.

La storia di Francesca

È il percorso compiuto da Francesca, che a quasi 50 anni ha preso con sé una ragazza poco più che adolescente. «La mia non è stata una scorciatoia né una decisione d’impulso» premette. «Ho sempre saputo che l’adozione mi era preclusa, ma da anni accarezzavo l’idea di accogliere qualcuno, anche in via temporanea. Il mio era un bisogno di dare amore e supporto, di essere un riferimento, ed ero ben consapevole del fatto che questo avrebbe comportato fatica. A chi mi chiedeva se ne fossi sicura ho risposto di sì, la motivazione era talmente forte, la decisione così ragionata, così come la consapevolezza di ciò che andavo ad affrontare, che una volta deciso sono partita».

Francesca ha seguito corsi preparatori per genitori affidatari, affrontato il percorso con i servizi sociali di zona e lo psicologo per l’idoneità. È stato subito dopo, 4 anni fa, che ha letto l’appello su una bambina già grandicella in comunità, con un passato di maltrattamenti e abbandoni, per cui si cercava una famiglia affidataria. Ha risposto. «Mi dicevo: non farti illusioni, ché poi arriva la coppia, invece alla fine ci siamo incontrate.

“Saremo una famiglia”

L’ho amata subito e lei ha amato me, ma ha un’estrema necessità di cure e di affetto, non si esce facilmente da un passato come il suo. Ci sono i silenzi, le arrabbiature, le litigate…Qui nessuno è perfetto e lei ha molto bisogno di essere seguita e ascoltata, ma contiamo sul supporto di tutta la nostra rete: la mia famiglia, che mi dà una mano se non ci sono, gli amici, lo psicologo che ci segue, l’associazione». La ragazzina è stata da poco dichiarata adottabile e Francesca non nasconde la felicità: ha avviato le pratiche per la richiesta. «Saremo una famiglia, forse non mi chiamerà mai mamma, ma io ho fatto questa scelta per dare amore a chi ne aveva bisogno e ora abbiamo una casa, il nostro gatto, gli amici, gli zii». Si dice che per crescere un bambino serva un intero villaggio. E questo è il loro.

Un titolo per approfondire: viaggio alla scoperta della Pma

Per pagare due tentativi di fecondazione assistita all’estero, Chiara ha speso 15.000 euro e ha dovuto chiedere un prestito alla madre. Ha realizzato il suo sogno, ma sa che non può mai mollare la presa, come quando ha rischiato di perdere il posto all’asilo nido perché il formulario del suo Comune non contemplava la dicitura “madre single”. La sua è una delle tante storie raccontate in Come nascono (davvero) i bambini oggi (Edizioni Mimesis), scritto dalla giornalista Raffaella Serini: un viaggio nel mondo della Pma attraverso interviste a esperti e testimonianze, per capire meglio di cosa si tratta e chi sono i nuovi genitori. «Un tabù di cui si discute tantissimo, su cui c’è tanta cattiva informazione, e su cui, paradossalmente, tutti hanno un’opinione» osserva l’autrice. Ogni anno circa 3.000 coppie vanno all’estero per la Pma e tra queste ci sono anche donne single, che Serini ha intervistato. «Persone consapevoli, che hanno fatto scelte ponderate. La Pma è un percorso impegnativo, non solo dal punto di vista finanziario. Lo è fisicamente ed emotivamente, perché dall’esito incerto. La società è pronta? Lo sarà quando avremo “normalizzato” la fecondazione assistita».