Milano è una città cara
Quando, un mese fa, lo scrittore Jonathan Bazzi si lamentò sui social di quanto costasse mangiare a Milano dopo essere stato in rosticceria, quasi nessuno si scandalizzò. Anzi, si sollevò un coro di proteste contro il caro-prezzi. Il post dell’autore milanese era l’ennesima prova di un sentire diffuso, un’altra voce che dimostrava quanto questa città sia faticosa per molti. Non solo per il problema degli affitti di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti. È più complicato. Milano è indubbiamente una città dalle mille possibilità, dove studiare, trovare lavoro, innamorarsi. Dove tutto accade. Ma in cambio chiede tanto. Soprattutto negli ultimi tempi, quando al luccichio che l’aveva contrassegnata negli anni dell’Expo e con l’esplosione della Design Week e della Fashion Week, è subentrata un’altra immagine: meno patinata, più opaca. «Milano è entrata in una spirale degenerativa» dice Jonathan Bazzi «e da un paio d’anni la situazione è peggiorata: i prezzi si alzano sempre di più, se non hai entrate eccezionali fai fatica».
Milano è una città che mantiene poco di quello che promette
Per molti ragazzi è così. «La Milano che emerge dai racconti firmati dai giovani del concorso ScriviMi è una città che provoca rabbia e mantiene poco di quello che promette, a dispetto dell’immagine che dà di sé» spiega Giacomo Papi che, con Alberto Rollo, ha curato l’antologia La pelle di Milano (Mondadori). «È una Milano dove non c’è più differenza fra il giorno e la notte, dove si sta poco in casa e si esce tanto, dove la droga e l’alcol hanno una parte importante nell’umore della città. Insomma, non è un’immagine edificante».
Negli ultimi 10 anni Milano è stata “the place to be”
Eppure negli ultimi 10 anni Milano è stata “the place to be”. L’unica metropoli europea in Italia. «È come se dal 2010 alla pandemia avesse vissuto la sua Belle Époque: un equilibrio forse irripetibile fra ricchezza, dimensioni, attrattiva, modernità». Sono gli anni in cui sono sorti i grattacieli a Porta Nuova e City Life, la Fondazione Prada, in cui andavi in giro e sentivi parlare tante lingue straniere. «Quando però si è risvegliata dal lockdown era cambiata: prezzi alle stelle, bar aperti coi tavolini esterni fino alle 3 di notte, gente che dorme per strada. Quello che forse oggi manca alla città è un freno, anche all’idea del cibo e dell’alcol come forma culturale» continua Papi. Anche la percezione è cambiata: «Milano è sempre stata una città tolemaica, con le cerchie che definivano le varie classi sociali» spiega Papi. «Negli ultimi 15 anni è diventata invece policentrica: si sono accesi i quartieri, basti pensare a piazza Gae Aulenti e al quartiere Isola, ma anche alle periferie dove nasce la trap, anche quella una forma di cultura. Oggi non c’è più un centro come quello che ha vissuto la mia generazione, ma percorsi periferici, tangenti, diagonali».
Le sue periferie andrebbero rivalutate
Proprio le periferie andrebbero rivalutate. «Io credo ci sia stata grande trascuratezza negli ultimi anni» dice Marco Balzano, che a Milano ha ambientato il suo nuovo romanzo, Cafè Royal (Einaudi). «Non si è mantenuto quel rapporto, vitale per ogni città, che è la dialettica tra centro e periferia. Si è lasciato che questi due mondi procedessero ciascuno sul proprio binario senza creare un percorso virtuoso di scambio. Le periferie, da sempre laboratori di nuova umanità e nuove idee, non hanno passato questa ricchezza al centro, che continua a proporre le solite cose, i soliti appuntamenti». Un grande spreco di possibilità, spiega Balzano, soprattutto da quando, dopo l’Expo, sono arrivati i turisti. «L’ideale sarebbe che alcuni eventi importanti venissero organizzati in periferia, dove ci sono pochi luoghi di aggregazione e il rischio di ghettizzazione è molto alto. È difficile per esempio che uno studente che abita in Comasina o a Baggio vada a fare il classico in centro e, viceversa, è difficile che chi vive lì ma vuole fare il perito elettronico vada in periferia». Anche se ci sono posti bellissimi da scoprire, e il centro è sempre meno abitato. E la disillusione di chi arriva sperando di realizzare un sogno? «Milano è un buon banco di prova: siamo in tanti a fare tutto. Se sei veramente bravo, o se non lo sei affatto, lo capisci. Mentre spesso la provincia ti offre illusioni più facili» conclude Balzano.
Nella Milano dei Navigli c’è ancora l’idea del quartiere dove si conoscono tutti
La Milano dei Navigli è invece al centro di Le cose che ci salvano di Lorenza Gentile (Feltrinelli). «Da una parte i quartieri oggi cercano di mantenere la loro identità, c’è una resistenza all’omologazione, alla gentrificazione» osserva l’autrice. «Ma dall’altra la spinta è così forte da farci domandare: fino a quando riusciremo a resistere?». Cosa si perderà allora? «I posti che hanno una storia uniscono le persone, ci si incontra, si scambiano idee, si fa solidarietà. Senza, viene a mancare il rapporto umano e l’identità del quartiere stesso. Ora stanno emergendo le falle di questo “sistema Milano”: è tutto bello e moderno ma dove ci sta portando?».
I nuovi libri
Le cose che ci salvano (Feltrinelli) si svolge nelle case di ringhiera sui Navigli, perché l’autrice Lorenza Gentile crede nell’umanità della vita di quartiere.
Café Royal (Einaudi) è ambientato in via Marghera. «Volevo raccontare di persone sulla soglia di una crisi, di una svolta» dice l’autore Marco Balzano.
La pelle di Milano (Mondadori) è un’antologia di 15 racconti scelti tra gli oltre 300 – scritti da giovani tra i 18 e i 35 anni – arrivati al concorso ScriviMi del Laboratorio Formentini.