statua donna che allatta

La statua della donna che allatta: perché se ne parla

A Milano una speciale commissione tecnica respinge da una piazza pubblica la donazione di una statua di donna che allatta: «Rappresenta valori non universalmente condivisibili». La questione diventa subito ideologica. Perché?

Nell’Italia che non fa più figli, la statua della donna che allatta, proposta per essere collocata nella centrale piazza Duse a Milano, fa molto discutere. Perché? 

Le motivazioni della commissione tecnica

Proviamo a fare ordine. I figli di Vera Tiberto Omodeo Salè, artista scomparsa nel 2023 a cento anni, vogliono donare a Milano una statua molto cara alla mamma: una donna che allatta. Una speciale commissione tecnica (Milano è uno dei pochi Comuni a esserne dotato), che ha il compito di valutare le opere d’arte da installare in città, ha bocciato la scultura. Le motivazioni: «La scultura rappresenta valori rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, ragion per cui non viene dato parere favorevole all’inserimento in uno spazio condiviso». Da qui il suggerimento di donarla a un ente privato, dove «sia maggiormente valorizzato il tema della maternità, qui espresso con delle sfumature squisitamente religiose».

Le motivazioni? Una forzatura

Il sindaco di Milano, Beppe Sala, non parla della scelta di piazza Duse ma ha una posizione netta rispetto alla possibilità di installare la scultura in un luogo visibile a tutti: «Chiederò alla commissione di riesaminare il parere: mi sembra una forzatura sostenere che non risponda a una sensibilità universale». La figlia dell’artista, Serena, si chiede «quali siano i messaggi e i valori non condivisibili dal momento che la statua è del tutto priva di riferimenti religiosi: non procederemo alla donazione se la statua non sarà visibile alla cittadinanza». E aggiunge: «Le motivazioni del Comune sono surreali, in città ci sono solo due statue dedicate a donne e questa è anche stata realizzata da un’artista. Inoltre una figura parzialmente nuda non mi sembra affatto un soggetto religioso».

Da una parte valori Lgbtq+…

Secondo il critico d’arte Vittorio Sgarbi la posizione dei tecnici del Comune «è inaccettabile perché il tema della maternità è universale e comunque l’iconografia della madre che allatta è trasversale a tutta la storia dell’arte, basti pensare alla Madonna con bambino rappresentata da duemila anni. Tutti veniamo da una madre e l’idea che questo valore sia da respingere riguarda solo la mancanza di sensibilità da parte di chi si trova a decidere a Milano su questo tema. La presa di posizione della Commissione è pretestuosa e segue tematiche Lgbtq+ che niente hanno a che fare con l’arte». Sembra insomma che la commissione dei tecnici, per non escludere nessuno (chi non può avere figli, chi non li vuole, chi vorrebbe ma essendo maschio non può, chi essendo maschio deve andare all’estero per averli), voglia evitare che la statua sia appaltata da uno spazio pubblico.

… dall’altra valori pro maternità

Dall’altra parte, c’è chi invece ci vede l’esaltazione della maternità, da piegare in senso opposto. Tant’è che Regione Lombardia, attraverso l’assessora alla Cultura Francesca Caruso, fa sapere «di essere pronta a ospitare l’opera». Non perché sia religiosa, ma perché rappresenta il valore della maternità, su cui il governo sta puntando, spingendo le giovani donne a fare figli. Per la ministra Eugenia Roccella infatti «in Italia non si fanno figli per un problema culturale». Per questo quindi la statua di Vera Omodeo piace alla politica che governa: perché ricorda alle donne il valore della maternità.

Ma la statua è “solo” una donna che allatta

Nel solito clima rissoso a cui ormai siamo abituati, ci conforta almeno vedere come l’arte non sia marginale, ma parte della nostra vita, occhio prezioso per leggere la realtà, piena di stratificazioni e complessità ma, molte volte, anche più semplice di quanto ci sembri. Come in questo caso. «In questa statua vedo semplicemente la valorizzazione dell’allattamento al seno, che sinceramente è un aspetto positivo. E non mi pare si voglia strizzare l’occhio a chi i figli non può averli» dice la delegata del sindaco, Elena Lattuada. «Se poi vogliamo prestarci a strumentalizzazioni politiche, e pensare che possa essere un incentivo a fare figli, allora piuttosto garantiamo alle donne il post maternità. Le donne non faranno certo più figli perché una statua rappresenta una donna diventata mamma».

Quanto accade insomma è surreale. Da una parte c’è una commissione troppo inclusiva che, per essere “moderna” e non spingere la mistica della maternità, ne nega la presenza in un luogo centrale. Dall’altra, c’è una politica che non vede l’ora di salire sul carro dell’ideologia, e se ne appropria per sostenere le tesi del governo in carica. In mezzo, come sempre, le donne, chiamate a “ricordarsi” di fare figli.

Il NO delle femministe a cancellare la differenza sessuale

Ma le donne non “dimenticano” di fare figli, anzi: rivendicano che i figli li fanno loro, attraverso il loro corpo, e che negare lo spazio alla statua vuol dire negare il femminile, a favore di un’inclusività ridicola. «Al di là dell’episodio in sé, quel che preoccupa è il suo significato simbolico: la volontà di rimuovere la maternità quale funzione di un corpo sessuato di donna e lo spirito materno di cura nei confronti della figlia o del figlio» spiega la senatrice Valeria Valente sul suo profilo Instagram. «Da femministe, abbiamo lottato tanto affinché la maternità non fosse un destino, ma una libera scelta consapevole di ogni donna. Perché le donne potessero essere e fare tutto ciò che vogliono e quindi anche diventare madri, se lo desiderano. Dobbiamo sempre tenere a mente, però, che nasciamo tutte e tutti da un corpo di donna e dalla volontà di quella donna specifica di dire sì alla vita. La cancellazione della differenza sessuale è per me inaccettabile e non può in alcun modo essere il presupposto per sostenere altre battaglie».

Le statue dedicate alle donne: poche e sempre nude

Intorno alle statue femminili, di battaglie da combattere in realtà ce ne sarebbero tante, a partire dal fatto che in Italia le poche statue di donne sono sempre nude. Come quelle dedicate a Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, le giornaliste uccise in Somalia e in Afghanistan, rappresentate nude ad Acquapendente (Viterbo). O la più famosa Spigolatrice di Sapri, una popolana rappresentata con le fattezze di oggi più che di ieri, e strizzata in un abitino aderente. Oppure il Monumento al tortellino di Castelfranco Emilia, con una donna spiata dall’occhio lascivo dell’oste che poi, ispirato, avrebbe creato il tortellino. Di esempi ce ne sono altri e contro questo modo maschile di rappresentare le donne nell’arte e nell’urbanistica si batte da anni l’associazione Toponomastica femminile, impegnata a intitolare piazze e strade alle figure femminili, assai poco presenti in Italia. Qual è il punto? «Non vedere rappresentate le donne, fa pensare che le donne non siano valide, competenti o importanti, tanto da non essere visibili. E questo accade anche per i nomi delle strade e delle piazze. Ogni cento strade dedicate a maschi, ce ne sono i media solo otto dedicate a donne, che sono sempre sante, beate, suore, figure mitologiche, in coda letterate, scienziate, artiste» spiega Sara Marsico, socia e referente per il progetto sulle madri costituenti. «La statua della maternità della Omodeo non ghettizza né le donne-mamme né qualsivoglia minoranza, anzi valorizza la presenza delle donne in un luogo pubblico. Di questo passo – conclude Sara Marsico –  in nome dell’inclusività stiamo diventando peggio degli americani».  

Il vero problema è la donna rappresentata nel solito ruolo di cura

Basta quindi avere una donna rappresentata per smorzare le polemiche? Non proprio. Ludovica Piazzi, attivista dell’associazione Mi riconosci? e storica dell’arte (curatrice con l’archeologa Ester Lunardon del libro Comunque nude. La rappresentazione femminile nei monumenti pubblici italiani), va oltre: «Non conta qui il valore universale della maternità, ma il fatto che la giovane che allatta, poco vestita, si ritroverebbe tra 120 statue di uomini vestiti di tutto punto, sui loro piedistalli, e con un’autorevolezza che proviene da loro stessi. Colpisce quindi non tanto il fatto che la maternità offenderebbe chi non può o non vuole figli, quanto il fatto che si perde un’occasione importante per rappresentare la donna in un modo diverso dal solito ruolo di cura». Davvero pensiamo che vedere la statua possa spingere le donne a fare figli? O che possa dare fastidio a chi i figli non li ha? «Ancora una volta si dimostra una visione idealizzata della maternità, un valore da difendere ad opera di politici maschi che poi nel concreto fanno ben poco per agevolare le famiglie». Già, perché i figli non li fanno solo le donne. 

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