Centenari

Il club dei centenari

Dall’Ogliastra in Sardegna a Okinawa in Giappone, passando per l’isola greca di Ikaria. Si chiamano Zone Blu, sono 5 nel mondo e vantano il più alto tasso di super anziani. Viaggio alla scoperta dei segreti della longevità

Zone Blu. I segreti della longevità: il documentario

Batina è seduta su un divano rosso, con le mani in grembo. Ha appena compiuto 100 anni, ma ancora non ci crede: «Sono nata nel 1923. È sicura che sono 100?» scherza. È una signora minuta, vestita tutta di nero, i grandi occhi scuri che vibrano. Batina – che in realtà si chiama Battistina Secci Leone – vive in provincia di Nuoro, a Urzulei, 1.000 abitanti in Ogliastra, balzata agli onori delle cronache mondiali come unica “Zona Blu” europea. Una delle 5 al mondo, divenute definitivamente popolari grazie al documentario Zone Blu. I segreti della longevità, da poco disponibile in italiano su Netflix. Lo ha realizzato il giornalista Dan Buettner, che si occupa dell’argomento da oltre 20 anni: ha viaggiato attraverso la giapponese Okinawa, il centro di Nicoya in Costa Rica, l’isola greca di Ikaria e la comunità californiana di Loma Linda per capire, e divulgare, come si fa a vivere fino a 100 anni e oltre.

I centenari delle Zone Blu

In realtà tutto è iniziato, un quarto di secolo fa, dall’intuizione di un medico e ricercatore sardo, Gianni Pes, oggi considerato il massimo esperto mondiale sul tema. «All’epoca, come epidemiologo, mi occupavo di mortalità. Avevo notato che in Ogliastra e in Barbagia c’era un tasso molto basso e così ho cominciato a studiare quelle zone, riuscendo a raccogliere 20 anni di dati demografici. I risultati erano strabilianti, ma nessuno mi credeva. Eccetto il demografo belga Michel Poulain, che venne in Sardegna per verificare». I due, armati di mappa all’epoca solo cartacea, cominciarono a girare tutta l’isola. «Ogni qualvolta trovavamo un comune longevo, lo segnavamo con un pennarello di colore blu (da qui il nome “Zone Blu”, ndr). Dopo migliaia di chilometri macinati con la mia vecchia Panda, scoprimmo che questa nuvola di punti blu era concentrata nell’area dell’alta Ogliastra, fra Talana, Villagrande, Baunei, Urzulei, Arzana» prosegue Gianni Pes, che è anche docente dell’Università di Sassari.

Foto di Karsten Thormaehlen

Come si diventa centenari?

I due “cercatori” non si fermano alla Sardegna. Grazie all’intervento del National Geographic partono per esplorare il mondo intero. Obiettivo: trovare altri luoghi ad alto tasso di centenari e così cercare di mettere a sistema gli elementi in comune. «Abbiamo escluso la centralità della genetica» prosegue Pes. «Negli ultimi anni è stata sempre più ridimensionata, al punto che alcuni oggi ritengono incida solo per il 5% sulla longevità. È una buona notizia, perché significa che non tutto è scritto nel destino ma, anzi, possiamo “allungare” il nostro tempo. Come? Con l’attività fisica e il cibo sano, ma anche coltivando i rapporti familiari e amicali e instaurando un legame con le comunità di cui facciamo parte. «Dopo tanti anni di studio» conclude Pes «mi sono convinto che questi elementi, che definiamo genericamente come stile di vita, siano più importanti della genetica».

Il ruolo dell’alimentazione

Naturalmente riveste un ruolo centrale l’alimentazione, dalla regola dei centenari giapponesi (mangiare fino ad arrivare solo all’80% del senso di sazietà) a una dieta prevalentemente vegetale. «Intervenire sui fattori di rischio aiuta a vivere sani a lungo» commenta il professor Valter Longo, punto di riferimento internazionale nel campo degli studi sull’invecchiamento e sulle malattie a esso collegate. «Ciò che mangiamo può aiutare a rallentare i processi legati al passare degli anni, mantenendo un peso ideale e promuovendo la rigenerazione cellulare. Alcuni meccanismi all’interno delle cellule sono responsabili dell’invecchiamento e le nostre ricerche hanno contribuito alla loro identificazione. I cosiddetti “geni dell’invecchiamento” vengono attivati dalle proteine e dagli zuccheri: se esageriamo con tali nutrienti, li favoriamo» spiega Longo, direttore dell’Istituto sulla Longevità alla University of Southern California e del programma di ricerca Longevità e Cancro presso l’Istituto di Oncologia Molecolare IFOM di Milano.

Foto di Karsten Thormaehlen

Il decalogo della longevità

Basandosi su ricerche scientifiche e cliniche, Longo ha elaborato con il suo team un decalogo della longevità. «Avere una dieta varia, bere oltre 2 litri d’acqua e consumare i pasti nell’arco di sole 12 ore al giorno, fare attenzione a cenare almeno 4 ore prima di andare a letto. Ma anche camminare un’ora al giorno e fare 150 minuti di esercizio fisico alla settimana. Sono tutti elementi fondamentali per restare in salute e vivere a lungo» spiega Longo. Ancora più precise le indicazioni nutrizionali suggerite dalla dottoressa Romina Cervigni, responsabile scientifica della Fondazione Longo: «Consigliamo di adottare una dieta vegana con l’aggiunta del pesce, facendo attenzione a evitare quelli che rischiano di avere un alto contenuto di mercurio, come tonno e pescespada. Suggeriamo di prediligere i legumi come fonte di proteine e di preferire i carboidrati complessi come verdure, legumi e cereali in chicco, riducendo al minimo gli zuccheri semplici, che si trovano comunemente nel saccarosio, e i grassi saturi come quelli che si riscontrano in burro, carni e formaggi grassi».

Un regime nutrizionale molto simile a quello che ogni giorno Batina – come la maggior parte dei grandi anziani oggetto della ricerca – è abituata a seguire. «Mangio sempre molto poco. Le cose che preferisco sono le verdure del mio orto e la pasta ripiena, i nostri culurgiones. Li cucino ancora io, e sempre da sola mi rifaccio il letto. Poi, chiacchiero tanto. Parlo con tutti e dico sempre la stessa cosa: una regola per la longevità non esiste. Ma essere curiosi aiuta» racconta, pronunciando svelta le parole.

I segreti dei centenari: relazioni umane e curiosità

E in effetti la curiosità accomuna tutti gli ultracentenari, insieme all’appartenenza a comunità coese e a una forte ragion d’essere. Un sentimento che in Giappone è definito “ikigai” e in Costarica “plan de vida”. «Alzarsi al mattino consapevoli di quello che si dovrà fare è un passaporto per invecchiare bene» riflette Pietro Mereu, regista del documentario Il Club dei Centenari e direttore del Longevity Fest di Porto Cervo, ovviamente in Sardegna, di cui è anche ideatore «per cercare di comprendere le radici antropologiche e culturali del fenomeno. Con i miei lavori ho capito che l’esistenza di chi abita queste aree si giova dell’isolamento dai grandi flussi economici e dalla frenesia. I centenari sono persone estremamente tranquille, la vita rurale le tutela dallo stress. Oggi la ricerca scientifica sul tema è molto attiva, e credo che questi laboratori a cielo aperto aiuteranno a capire come sta cambiando il mondo». Certo è che l’aspettativa di vita, complici i progressi della medicina e della farmacologia, si allunga costantemente: se nel 2015 c’erano quasi mezzo milione di centenari nel mondo, si prevede che entro il 2050 ben 3,7 milioni di persone supereranno il secolo di vita.

Foto di Karsten Thormaehlen

Immortalità: aspirazione o illusione?

L’aspirazione all’immortalità, o al vivere il più a lungo possibile, sembra così sempre più vicina. «Si tratta di un’illusione» riflette il filosofo Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, che ha esplorato a più riprese il tema con volumi come Il libro delle emozioni e I miti del nostro tempo (entrambi Feltrinelli). «La giovinezza è un mito. E anche la longevità a tutti i costi lo sta diventando. Il volto di una persona è il primo segno per interpretare una società. Da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. Eppure rimanere legati a idee biologistiche, economicistiche ed estetiche così diffuse in Occidente ci influenza negativamente. Arrivati a 50 o a 60 anni, è il momento di cominciare un altro tipo di terapia. Quale? Quella che James Hillman chiama “la terapia delle idee” ed è fatta di pensieri più che di ambizioni di eternità». Una terapia che in tutte le Zone Blu viene già praticata in momenti collettivi, come accade in Sardegna, dove la base dell’esistenza è legata alla famiglia, o in Giappone, dove pietra miliare delle giornate sono gli incontri in quello che i residenti di Okinawa chiamano “moai”: ovvero, gruppi di persone che si impegnano l’una verso l’altra per l’intera esistenza.

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