Più si usa il cervello, meno invecchia. Questo vale, a maggior ragione, se si fa un lavoro che richiede un certo sforzo cognitivo. A confermarlo è uno studio norvegese, che ha analizzato diverse professioni individuando quella che porta al minor deterioramento delle risorse cognitive e scoprendo che si tratta dell’insegnamento. I docenti, dunque, potrebbero mantenere maggiormente giovane il proprio cervello. Ecco perché.
Lavorare “col cervello” ne rallenta l’invecchiamento
I ricercatori dell’University Hospital di Oslo in Norvegia, guidati da Trine Holt Edwin, hanno preso in esame 7.000 persone impegnati in 305 differenti professioni. L’obiettivo dell’analisi era la misurazione del grado di stimolazione cognitiva dei partecipanti durante il lavoro. In particolare hanno osservato quanto il loro cervello fosse “impegnato” quando eseguivano compiti manuali di routine, compiti cognitivi, di routine e non, insieme a compiti di analisi o di rapporto interpersonali. Il team di esperti ha poi suddiviso i partecipanti in quattro gruppi, in base al grado di stimolazione cognitiva che avevano mostrato, per poi sottoporle a un test di memoria, dopo i 70 anni, per valutare un eventuale deterioramento cognitivo.
Gli insegnanti hanno meno deterioramento cognitivo
È emerso che, nel gruppo con le prestazioni cognitive maggiori, la professione più comune era quella dell’insegnante. Questo ha portato a concludere che proprio il docente riesce, grazie al suo lavoro che impegna in modo particolare il cervello, a rallentarne l’invecchiamento. Al contrario, tra chi era stato postino o custode, quindi meno impegnato cognitivamente, si è vista una maggior percentuale di deterioramento delle facoltà cognitive, come memoria, ecc.: 42% contro il 27% registrato tra chi svolgeva professioni con esigenze cognitive elevate.
Mettere alla prova il cervello fa bene
«La stimolazione sul lavoro in diverse fasi della vita è collegata a un rischio ridotto di un lieve deterioramento cognitivo dopo i 70 anni», ha spiegato il responsabile Trine Holt Edwin, aggiungendo: «I risultati indicano che lo svolgimento di un lavoro che mette alla prova il cervello ha un ruolo cruciale nel ridurre il rischio di deterioramento cognitivo». I ricercatori hanno anche preso in esame fattori come l’età, il genere, il livello di istruzione e lo stile di vita, concludendo che la professione che richiede attività cognitive più basse comporta un rischio più alto (pari al 66%) di deterioramento cognitivo lieve rispetto a quella che necessita di elevate prestazioni cognitive.
Perché gli insegnanti usano di più il cervello
«Che la stimolazione delle attività cognitive permetta un minor impatto sull’invecchiamento era noto, ma questo studio aggiunge qualcosa in più, soprattutto per la metodologia usata e per la conclusione. Non stupisce, però, che quella dell’insegnamento sia una professione ad alto impatto cognitivo: per poterla svolgere, infatti, occorre prima avere appreso e poi aver modulato i contenuti imparati, per poterli trasmettere infine sotto forma di insegnamento», spiega Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria. «L’insegnamento è una professione complessa, non impegna solo la cognitività – il che è piuttosto evidente – ma prevede appunto due fasi: la prima, di raccolta delle proprie informazioni; la seconda di modulazione e trasformazione in contenuti da insegnare», sottolinea Trabucchi.
Le professioni che “fanno bene” al cervello
Come spiega ancora lo psicogeriatra, «Probabilmente è proprio il doppio passaggio che richiede particolare impegno cognitivo e che giova al mantenimento del cervello in condizioni migliori, nonostante il passare degli anni». Oltre all’insegnamento, però, anche altri lavori possono impegnare il cervello in modo analogo: «Penso, ad esempio, alla professione del medico, che richiede anch’essa la continua modulazione tra la propria conoscenza pregressa, quella frutto dell’esperienza e la capacità decisionale. Anche in questo caso, come in altri analoghi, infatti, si richiede un doppio passaggio, anche se evidentemente in quella dell’insegnamento è particolarmente importante». Mantenere il cervello più “giovane” anche una volta andati in pensione, però, è possibile per tutti.
Non andare in pensione con il cervello
«A prescindere dalla professione passata, è importante non mandare mai in pensione il cervello! Si può ed è sacrosanto smettere di lavorare, ma non esiste un “giusto riposo” per il cervello, perché questo rischia di portare a effetti negativi, come la perdita di memoria, ad esempio, oppure la depressione», ricorda il presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria. Ma quali sono le attività più indicate per non invecchiare a livello cognitivo? «A dispetto di quanto si possa pensare non è la semplice lettura. Leggere il giornale o un libro va bene, ma poi andrebbe sempre rielaborato il contenuto, magari raccontandolo, possibilmente a voce alta a qualcuno».
Guardare e “raccontare” la tv
Lo stesso vale, a maggior ragione, per la tv: «Va bene ascoltare un programma tv o vedere anche un film, ma noi psicogeriatri consigliamo sempre, al termine della visione, di provare a riassumere a voce alta, con altre persone, ciò che è stato detto il senso di ciò che si è visto, la trama, le emozioni che ha suscitato, le idee che vi sono contenute, ecc. Solo in questo modo – precisa l’esperto – si sviluppa una maggiore attività cognitiva, che altrimenti rischia di essere passiva e poco efficace».